Leggete questo saggio, purché siate pronte e pronti a stapparvi le
orecchie dalla cera di ciò che, sulle sirene, fino ad ora pensavate di sapere!
Dopotutto, forse, Ulisse vinse perché le
Sirene al suo arrivo tacquero: indignate, per lui in verità mai cantarono...
*****
Dedico questo saggio a ogni donna che abbia temuto di aver
perso la sua voce.
E lo dedico alle Sirene e al loro canto, che
fu urlo – straziante – gettato e inghiottito nel silenzio, ora di nuovo in
vita.
*****
in sich hat und an die Ohren weht,
so als whäre ihre andre Seite
der Gesang, dem keiner widersteht”.
“Da quel silenzio che tutto lo spazio
immenso ha in sé e nelle orecchie spira,
quasi fosse la faccia opposta del silenzio
il canto cui nessun uomo resiste”.
Introduzione
Hanno viaggiato dalle sfere celesti di Platone al deserto
biblico, fino al purgatorio di Dante, uguali e mutate, simili fra loro quanto
diverse, ma tutte accomunate dall'elemento che è loro proprio: la voce.
Quello che le riguarda è un enorme puzzle mitico di racconti e leggende
polimorfi (2).
Che sia canto infinito, stridulo o sibillino richiamo
dall'informe mondo sotterraneo, voce celestiale e solenne che giunge dalle
stelle o semplice mutezza, in ogni caso è di suono (e
silenzio) che si parla.
Il demonico musicale (1), il chorus diaboli(N1) accostabile al daimon tipico della letteratura hillmaniana (3), a sua
volta ispirato alla saggezza di Socrate/Platone (4)(5).
La sirena non è infatti soltanto una creatura mitologica e non è
nemmeno da confinarsi a materia da fiaba.
La sirena è quella arcaica
presenza occulta che in noi canta, la voce interiore portatrice della verità
atavica del mondo e dell'inconscio collettivo.
In ogni luogo e in ogni tempo le
si è descritte in molti modi eppure, le Sirene – Ninfe delle acque – sembrano
abbracciarsi inscenando una stessa, unica danza sul pelo dell'acqua di un
passato perduto tra i flutti, intriso di un tessuto di memoria palpabile, appena oltre i
nostri occhi.
Le sirene possono svelarsi nei luoghi più profondi: inabissate, dimenticate,
talvolta ferite, finanche mangiate, per poi essere amate, bandite in quanto
streghe, alle quali potrebbero essere assimilate per motivi di facile deduzione:
donne-uccello, donne-pesce.
Dov'è il confine?
Le streghe (e la loro assonanza con un certo tipo di uccello notturno) sono probabilmente
loro eredi ma, più specificatamente, sono le donne stesse (tutte) ad esserlo.
Il simbolismo che le riguarda proviene infatti della Grande Madre, che vede nell'elemento acqua e
nell'elemento aria (nonché nel suo sembiante aviforme e ittiomorfo) forse, le
sue più profonde appartenenze; poiché l'acqua è vita uterina e l'utero cosmico
della Dea Madre ne è la onnicomprensiva genitrice.
La sirena, nella cultura
classica, è dipinta come spaventosa, assassina, seduttiva ammaliatrice che attira a sé gli
uomini per ingannarli; ma ella è, allargando lo sguardo, incarnazione
dell'amor fati e di quel desiderio innato nel cercatore e nella cercatrice (prossimi alla consapevolezza della vacuità dell'esistenza terrena) di
ricongiungersi al regno che si trova oltre il velo di Maya, il regno della
morte delle certezze, di cui la sirena è viva, eterna, evanescente
protagonista, regina indiscussa.
Forse l'uomo ne ha sempre temuto il canto,
poiché è la creatura nella quale si delinea, per eccellenza, il mistero del femminile.
Partecipe di due o più nature, nella sirena coesistono aspetti alchemici che trascendono i limiti umani.
Lei è sopra ma è anche sotto, è una ma è
plurale: vola alta nel cielo in forma d'uccello, fino alle stelle – ove pare
essere nata, secondo alcune ipotesi genealogiche – per poi rigettarsi in
mare, dove sparisce nella profondità delle acque salate per dileguarsi (sovente bandita, inascoltata).
“Le Sirene sono demoni del suono che ipnotizza,
pietrifica, priva di memoria”.
Laura Mancini, Il Rovinoso
Incanto, Storie di Sirene Antiche, Il Mulino, Bologna, 2005 (pp. 65-72 Cfr: 2)
Avevano voce di giglio, tersa come il cristallo, un canto di
miele (2), dolce come il coro di profetiche api (2); sono le Klagefrauen (2) (signore
del lamento, in tedesco) suono che esiste nel cielo, nel mare, sulla terra e produce
l'armonia delle sfere, si incarna nel sibilo del vento e nel fragore delle onde
del mare (2, p.60).
Il canto è ciò che delle sirene non è mai mutato, al di là
di ogni congettura mitologica, letteraria, zoologica e teratologica.
Nessun
essere umano avrebbe mai potuto eguagliare le loro impossibili emanazioni della voce, il loro incanto...
Il Sogno di Polifilo, fig.33, C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, 2017 (pp. 89 - 90)
Omero ne collocava due – tre, secondo alcune traduzioni – sulla terra inverdita, il prato fiorito.
Virgilio le pose sugli scogli – forse nelle magiche isole della Bretagna, forse nella “Ile de La Seine”, dimora delle più antiche Fate della Francia, scatenatrici di violente tempeste.
Un tempo forse vissute, in un gruppo di sei, sul Tempio di Apollo di Pito, nella profetica Delfi – dette Keledones (“cheledónes”) o “Iunghes”, “le Incantatrici” – dove brillavano ricoperte d'oro nel meriggio e d'argento nel cuore della notte, irrorate dalla luce della dea Selene, portando a morte i naviganti.
Il fulmine di Zeus incenerì il tempio, ma loro risorsero, come fenici.
In Apollonio Rodio, nelle Argonautiche (vv.891-894), vivevano sull'Isola detta “Bella Antemoessa” – forse l’Etolia o l'India – uccidendo col canto chiunque vi approdasse.
Ma anche le Isole Ebridi potrebbero essere state una valida dimora delle sirene: antiche e moderne ipotesi sembrano altresì convergere in generale sull'Italia Meridionale.
Lo Stretto di Messina, dopotutto, nella “geografia odissiaca” (più metaforica che reale) nondimeno l'Isola di Circe, si trovava nelle fauci dei “mostri” marini Scilla e Cariddi.
Un'altra collocazione plausibile è Babilonia – le Sirene sono compagne di Lilith – che si impone come loro reame nella geografia dei testi apocrifi.
Al di là di tutto, sono quasi tutti d'accordo nell'affermare che le sirene siano giunte da un mondo altro. Secondo Esiodo, in effetti, sarebbero figlie di Sterope, una delle sette sorelle Pleiadi, che un tempo erano fanciulle, trasformate da Zeus contro la brama ostinata del gigante Orione, che ne era ossessionato – un mito ricorrente anche tra gli aborigeni d’oltreoceano, dove figurano come sette sorelle in fuga dal guerriero patriarcale, mettendosi in salvo a vicenda poiché legate da un amore indissolubile, come ripreso nella famosa versione originale della fiaba della Sirenetta di Hans Christian Andersen. Vennero dunque concepite come costellazione, apparendo nella prima metà del mese di maggio – segnando la bella stagione – e guidando i marinai egizi e cananei della prima storia israelita con la loro immensa luce, che indicava la rotta da seguire.
Le sirene popolano altresì come astri la filosofia di Platone e il pensiero di neoplatonici e neopitagorici sino ai razionalisti.
Nel Timeo (IV sec. a.C.), sia le Parche filatrici che le Sirene figurano nella schiera di donne che lavorano, filano, reggono, sorvegliano il destino “intonando tutto ciò che accade”. Tra le pagine del celebre filosofo greco, le Parche cantano sulla armonia delle Sirene, che hanno una “posizione elevatissima” – simile a quella degli angeli, i quali, a differenza delle sirene, con le quali purtuttavia condividono un consistente “corredo originario”, hanno avuto un destino più fortunato poiché non hanno dovuto nascondersi, giustificare la loro stessa esistenza a chi per secoli ha cercato di vivisezionarla.
Nello specifico le Sirene, nel Mito di Er, sono otto, partecipi della armonia celeste e della “serenità dell'oblio”: mentre Anananke, (dea Necessità); faceva ruotare otto cerchi concentrici, ossia gli otto cieli antichi, sopra ciascuno era accovacciata una sirena.
Ognuna emetteva una nota fissa e tutte e otto insieme formavano l'armonia del cosmo.
Per il filosofo neoplatonico Giamblico le sirene erano collocate nella tetrade armonica nell'Oracolo di Delfi.
La tetrade, per i pitagorici, era una arcana costituzione numerica che sprigionava l'armonia intera della musica.
Il mito delle “sirene celesti” potrebbe avere origine altresì nella prima storia israelita, dove i marinai cananei/fenici usavano sempre l'aspetto delle Pleiadi come orientamento per l'inizio dell'estate, la stagione dei commerci nel Mediterraneo.
Questa pratica venne in effetti portata avanti dai Greci, Romani e altri fino alla adozione del vapore, dove i motori sostituirono il vento come fonte primaria di energia.
Se l’ipotesi secondo cui la dea della Siria ugaritica Asherah – una forma della semitica (fenicia/cananea) Astarte/Afrodite – sarebbe associata alle Pleiadi fosse certa, ella, così come la sirena, sarebbe una versione cananea di Sopdet, la stella egizia, dea associata alla costellazione Sirio, la cui elevazione eliaca indicava l'inizio della stagione delle inondazioni ogni anno. Questa connessione tra Asherah e le Pleiadi converge saldamente Asherah all'ittita Ishara, che era la Madre dei Sebitti, le sette stelle. Ishara era, d’altra parte, la parola semita per dire “trattato” e come tale era la dea dei giuramenti.
Forse è per questo che rivolgiamo i nostri giuramenti alle stelle, dalle quali ci sentiamo guidate e spinte da una fiducia atavica ad affidarci a loro?
Il testo più antico sopravvissuto di Ishara proviene dalle rovine dell'era sumera dell'Elba nel nord-ovest della Siria, tuttavia, fu successivamente adottato dagli Hurriti e poi dagli Ittiti come Ishara, dagli Accadi come Ashara e dagli Ugaritici cananei come Ushara. Anche l'Isola di Avalon del ciclo bretone e arturiano, idealmente, potrebbe avere un lontano sostrato mediterraneo, sia per analogie linguistiche che culturali.
Avalon, delucida Luciana Percovich in “Oscure Madri Splendenti” – la famigerata “insula promorum” – deriva da “aval” che in bretone significa mela.
Il suo nome si trovava addirittura come toponimo della Campania – matria indiscussa della “genia canora delle sirene” – detta “Abella”, nota per le sue produzioni di mele (in Virgilio, Eneide), che richiama a sua volta la forma “Apellon” – Creta, Sicilia – accanto ad “Apollon”. In effetti, ogni isola abitata da donne, “topos” evocativo di un mito universale, potrebbe essere stata “la” Isola delle Sirene, intese come voci sommerse delle antiche donne di magia, sacerdotesse, di cui queste creature sono espressione, dato che potrebbero essere una estensione delle madri nutrici e galattofore della preistoria, le madri uccello e in generale le madri ctonie tipiche della Europa Antica illustrata da Marija Gimbutas.
Le stesse Madonne del Latte (Virgo Lactans) recano il corredo delle primitive sirene, “colte” nell’atto di allattare i loro piccoli nelle opere di artisti medievali – ad esempio, nel Soffitto dei Semidei del Pinturicchio del 1490, collocato nel Palazzo dei Penitenzieri di Roma – come nel folklore e in varie “epifanie” a cavallo tra realtà e fantasia pervenute da diari di viaggiatori alla ricerca di nuovi mondi…
Il tema delle Isole dei Beati, o “Isole Fortunate”, che si trovano nel Mare Occidentale, oltre i luoghi dove tramonta il sole, è uno dei più frequenti che ricorrono nella mitologia europea e oltreoceano: siano esse dimore di fate, eroi o defunti, certo è che la coscienza collettiva le ha adattate alle proprie esigenze o evidenze metereologiche e cosmogoniche. Le Sirene – mi piace dirlo – sono figlie del tempo e dello spazio dove sono state concepite, pensate, idealizzate, nella ricerca del simile o nel desiderio del “diverso”, esotico, che appartenesse al “mondo altro” tanto anelato, e spesso mai trovato.
Ne “Il Ramo d’Oro” di James G. Frazer si legge che l'astronomo Bailey azzardò l'ipotesi per cui il Culto della Luce ebbe origine nelle regioni artiche – dato che per metà dell'anno erano al buio e la luce deve aver ricoperto un ruolo fondamentale in chiave di sopravvivenza – le cui mitologie, guarda caso, secondo gli studi riportati dal celebre Elias Lönnrot; hanno un cuore asiatico, e quindi di “reminiscenza sirenica”, per azzardare un termine.
Ci incuriosisce che uno dei nomi con cui gli irlandesi hanno chiamato queste isole è “Tirfo Thuinn”, “La Terra Sotto Le Onde”.
La famigerata Avalon – fraintesa da molte e molti e “inflazionata” – è semplicemente la più famosa e ricorrente di esse, ma non la sola né l'unica possibile.
“Tale regno può svelarsi senza preavviso in qualsiasi luogo, luminoso e scintillante, e sparire con la stessa rapidità. Le sue frontiere di crepuscolo, foschia e illusione ci circondano e, come una marea che si ritira, possono momentaneamente svelarci la Terra delle Fate prima di chiudersi nascondendola di nuovo” (7).
Le evidenti allusioni al luminoso e allo “scintillante”, nonché alla metafora della marea e all’elemento crepuscolare, non fanno che ricordare un legame con le sirene, i loro epiteti e tratti, nonché le loro dimore ambivalenti: creature alchemiche per eccellenza, protagoniste della famigerata “coniunctio oppositurm” junghiana, dove le sirene si collocano in quanto “axis mundi” in grado di connettere le forze ctonie a quelle celesti: argento e oro, ombra e luce, nella sconfinata doppiezza che le riguarda, soprattutto nelle rappresentazioni bifide – tipiche della manualistica medievale – che fanno di loro le creature “di confine” e “completezza aurea” per eccellenza, esattamente come le stelle, le sette sorelle che, talvolta, per sperimentare il mondo umano hanno percorso un ponte fino alla terra…
Del resto, la corda d’oro da cui discende Emmu – la madre del cielo nonché Orsa Maggiore, tipica del mito artico/ balto-finnico – rappresenta il femminile sacro che talvolta si disvela, irrorando della sua luce poche e pochi fortunati capaci di cogliere quel filo magico che tesse la trama della terra a quella del cielo.
Anche l'Isola di Pohjola del mito baltofinnico – alla quale si ha provato a donare una collocazione geografica, dato che per certi versi sembra avere connotati di precisi luoghi che includono attualmente territori della Lapponia e dell'antico Kainuu – è più ovvio pensarla come una terra immaginaria, ma non per questo irreale: identificata come il centro della terra del Nord, nonché la Regione Polare, la terra degli sciamani Sami, che nasce etimologicamente da “Pohja” che significa fondamento, fondo o base (forse assimilabile a radice) e da origine alla parola “Pohjios” che significa Nord.
Nella prefazione al Nuovo Kalevala, Lönnrot definì il popolo di Pohjola come un “gruppo separato di finni”. Quella isola era un gelido villaggio noto come “Kylmakyla” e “terra divoratrice dei maschi”, detta “Miestensyoja”, chiaro segno del fatto che, in tempi remoti e insondabili, le donne/sciamane finniche appartenevano a una sorta di casta divina, elevata – come le sirene elevatissime di Platone – dalla terra profana degli uomini, che era invece la terra di Kaleva.
Tale terra viene descritta come una isola “sospesa”, dove l'antica voce della Grande Madre forse può ancora esprimersi, in segreto, udita e scorta soltanto da pochi valorosi eroi capaci di giungervi e varcarla con dignità – alla ricerca delle fanciulle più belle e luminose, si racconta – senza recare offesa alla Grande Signora delle donne.
Secondo le leggende, vi si poteva accedere soltanto con incantesimi/canti chiamati “runot” che, con tutta probabilità, erano conosciuti e potevano essere pronunciati solo da donne. Tracce della famigerata landa delle donne magiche, si trovavano anche in Erodoto, in Ippocrate che localizza una Terra Hyperborea incognita sotto l'Orsa Maggiore o Stella Polare, oltre i Monti Rifei; in Plinio, che narra di un luogo detto “ges Kleithron”, “serratura della terra”, oltre che nelle tradizioni di molti popoli eurasiatici che narrano della medesima “terra nordica di difficile accesso”.
Un'altra plausibile dimora femminile nel “mitico nord stellare” potrebbe essere quella della giapponese Amaterasu – similmente al “Fensalir”, “la sala delle profondità marine” abitata da Frigga/Freya, anche detta “Syr” o “Mardoll” (splendore del mare) presso alcune tribù germaniche, con indubbio legame etimologico con le sirene, considerate le sue conclamate origini asiatiche pre-eddiche.
Nel Fensalir, Frigg vive con le sue nove ancelle tessitrici, che tessono i destini dei mortali.
Non mancano dee sumere connesse alla storia delle sirene e sappiamo che nei loro racconti delle origini “la regalità discese dal cielo”, prova un testo in cuneiforme composto tra il 2100 e il 1800 a.C., che aveva lo scopo di gettare le basi dell'unificazione del territorio di Sumer, sito nella Mesopotamia meridionale che, peraltro, risulta essere una culla di dee primitive alla base della figura della sirena.
“Tutto questo significa che, in sostanza, le Sirene erano un collegio di nove sacerdotesse lunari orgiastiche, custodi di un santuario oracolare insulare”. Robert Graves, La Dea Bianca, p.482
La parola Sirena deriva dal tardo latino “sirena”, nonché
dal greco “seiren”, plurale seirenes.
“Les Sirènese”, le Sirene. Il singolare tedesco “Sirene”,
l'inglese “siren”, lo spagnolo “sirena”, il portoghese “sereia”.
Sono diverse le ipotesi formulate su quale sia la più
autentica provenienza del termine o, per meglio dire, tutte le etimologie
possibili, che sembrano in qualche modo “contaminarsi” fra loro. Affacciarsi
alle Sirene, significa accettare una verità che sta nel mezzo – loro stesse
sono creature di medianità e delicata incertezza. Tutte contengono
altresì descrizioni del paesaggio visivo, acustico, naturale, umano in cui la
sirena fa la sua comparsa (1, pp.27 - 34).
Esichio di Alessandria menziona un tipo di gufo detto
sirena (24, p.482), in effetti, Sirena potrebbe anche derivare dal greco “syrizo”,
che significa zufolare, fischiare, o dal sostantivo “seira”, che significa
corda, laccio, il che non sembra casuale, poiché la sirena è anche colei
che avvince, lega (1, pp.27 - 34).
Robert Graves le chiama “coloro che prendono al laccio” (24,
p. 482)
Kurt Latte, filologo tedesco, cita l'aggettivo “seirios”,
che significa letteralmente “incandescente”, evocando probabilmente il
meriggio.
Tale incandescenza evoca una citazione sita in Aurora
Consurgens (pt.2, in “Artis auriferae”, vol.1, p.212) che recita “Ignis
noster est Aqua”, “la nostra Acqua è Fuoco”, in riferimento agli elementi
alchemici necessari alla forgiatura della famigerata pietra filosofale (interiore).
Nelle sirene si evince allorché una natura duale, una
di fuoco – i greci le associavano al sole del mezzogiorno, ora in cui
intonavano il loro canto – e una acquatica – abitatrici di isole, mari od aree
lacustri.
Un incontro fra forze, “come sopra così sotto” (8) che vede,
nella Sirena, la perfetta coninunctio oppositorum(9) cui alchimisti e
occultisti hanno spesse volte anelato, per lo più fraintendendone l'enigma
profondo…
L'etimologia più condivisa per la nostra amata Sirena sembra
essere, a ogni modo, il radicale semitico “Sir”, nonché la parola “sirein”,
che letteralmente si traduce con magico canto o incantamento (1,
pp.27 - 34).
“In-canto”, è in effetti il “canto che giunge dall'interno”,
da una profondità insondata.
In Giambattista Vico, precisamente nella Scienza Nuova, si
fa riferimento alle sirene in quanto “Sir”, citando pertinentemente la Ninfa
Siringa di Ovidio e attribuendole la stessa provenienza, collegandole entrambe
ai versi con cui comunicavano Siri e Assiri (1, pp.27 - 34).
In tedesco le si possono chiamare “Meerfrauen”, nonché signore
del mare.
I termini inglesi sono Merfolk, Mermaid e Merman, che
risalgono alla radice indoeuropea mori- o mari-, che significa “mare”.
Da questa antica radice il tedesco ha derivato la parola Meer,
mare; il latino mas, maris, l'inglese mere (lago, mare) e
il francese mer (10, p. 51).
Dette anche “Maremaind” in Danimarca, “Meriminni” in
Germania, mentre in Francia sono conosciute anche come “Morgans” o “Morgens”.
Morgen in tedesco significa “mattino”: forse vi è una
relazione con Venere/Lucifero, con la Stella del Mattino, date le numerose
allusioni mitologiche alle sirene in quanto stelle portatrici di luce e
al loro legame con Venere/Afrodite e con ciò che risplende; del resto, non
mancano ipotesi che le vogliono connesse sia alle Pleiadi, agli Astri, che alle
mitiche Isole Britanniche…
Anche “Morgana”, figura magica di rilievo nel ciclo
arturiano, deriva dal gallese antico e significa “cerchio del mare”. Il nome è
composto dalle parole “mor” (mare) e “cant” (cerchio) (10).
In India sono conosciute come “Matsyanaris” (10, p.52),
ninfe con coda di pesce. Un'altra curiosità vuole che “Mardoll”, che significa “splendore
del mare”, sia anche uno degli epiteti della dea pre-eddica Freya, così
chiamata presso alcune tribù germaniche (6, p.195).
Meretrice
Forse già ipotizzato da Kenneth Grant (Cfr. S1 ), la parola meretrice, derivata dal latino meretrix ed a sua volta da merere ossia guadagnare; significa quindi colei che guadagna; potrebbe essere intimamente collegata alla stessa radice indoeuropea mori/mari sopraddetta, ed essere dunque a stretto contatto con le signore del mare; tanto è vero che nel corso di questa ricerca si scopriranno dee protostoriche di origine mesopotamica e non solo, legate alle sirene, per cui venivano svolti atti sessuali sacri per la comunione con la Grande Madre (in un secondo momento concepiti come atti di prostituzione dal patriarcato romano prima e giudaico-cristiano dopo; che non si distanziano poi di molto, rispetto al ruolo di cui hanno privato il femminile mitico, diverso dal femminile mito-logico riscritto dagli uomini). Inoltre, se si considera l'attribuzione patristica e medievale di meretrice o donna ingannatrice e infida che è stata cucita sulla figura della sirena (identificandola con prostituita, nonché qualsiasi donna che fosse indipendente dalla cinta del matrimonio) il senso di tutto ciò diviene più ampio e il cerchio si chiude.
“In verità esse – le sirene – furono meretrici”.
Maria è la forma latina del greco biblico Μαρία – María – a
sua volta giunto dall'ebraico Miryam. Mutuato anche nel greco Mariam è poi
giunto all’italiano Miriam.
La teoria più plausibile è che Maria possa avere
una origine egizia, ossia da “mry” o “mr” che significano “amata” e “amore”. Ed
è in effetti alla egizia dea Iside, nel suo carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine
Maria deve il suo bell’epiteto di «Stella Maris». Qualcuno ha interpretato
Maria con il significato di “mare amaro”, nome composto da mar “amaro” e yam
“mare”. Tale teoria venne riportata in un'opera di San Girolamo e tratta
dall'Onomastica di Origene e Filone, ma pare sia stata esclusa per la sua
inconcretezza.
Altre interpretazioni basate di nuovo su termini ebraici, fanno
derivare Maria da Mara – che significa “signora” o “principessa” – e da mari –
“forte” o “che governa” – da Marah – “desiderata per figlia” (di
etimologia incerta) o da “mirra” che verrebbe da mor, oppure “mirra del mare”
– da mor e yam – “signora del mare” – da mari e yam – e “goccia
del mare” – da mar e yam.
Quest'ultima ipotesi fu trascritta anche da San
Girolamo ed era presente in un manoscritto di Bamberga di fine XIX secolo come
“stilla maris”, come testimoniato da diversi studiosi quali Varrone,
Quintiliano, Aulo Gellio.
Quando i latini scambiarono nelle trascrizioni
dall’ebraico molte “i“ con le “e”, l'espressione si tramutò in “stella maris”,
“stella del mare”, «che resta una delle interpretazioni più diffuse del nome ed
è tuttora uno dei titoli della Madonna».
In effetti, si legge in Frazer, ne Il Ramo d’Oro (p.461): “nell’arte la figura di Iside con bimbo Oro al seno somiglia
talmente alla Madonna col Bambino che qualche volta ha ricevuto l’adorazione di
inconsapevoli cristiani”.
Prendendo in considerazione altresì i seguenti punti, si potrebbe azzardare ad affermare una verità altra e più profonda: molte iconografie medievali
e alchemiche delle sirene le ritraggono nell'atto di allattare e le sirene
sono a indicare le correnti di potere sotterranee individuate dagli Etruschi prima, dai
Celti poi sul nostro territorio su capitelli nelle pievi e chiese di tutta Italia e Europa. Secondo Douglas N. , in effetti, ne La Terra delle Sirene (p.12) si legge “le Madonne sono «tutte»
antiche reincarnazioni di sirene, regine del mare con le loro corone
scintillanti in capo” e nel retaggio della egizia Iside, nondimeno la Madonna Nera; c'è lo
strascico di “Sopdet”, la “stella guida” degli egiziani associata a Sirio (in
Frazer Iside è anche ricordata come «Sochit» o «Sochet» che vuol dire campo di grano).
Come già visto, Iside Sopdet è assimilabile alla Dea stella Asherah dei marinai cananei vista nel
paragrafo sulla dimora delle sirene e conosciuta e venerata con molti nomi in
tutta la culla asiatica; portata nel Mediterraneo per via dei traffici
di scambio e quindi per diffusionismo.
Essendo le dimore delle sirene (lo abbiamo visto) fra le altre, sono proprio «le stelle», le famigerate Pleiadi da cui
sarebbero giunte come figlie di Sterope, secondo Esiodo fra gli altri, o dove,
al contrario, si sarebbero nascoste, secondo altre versioni di un mito
millenario che interessa non solo l’Europa ma anche quelli aborigeni
oltreoceano; e considerando che oltre le Madonne della
campagna (quali del latte, della neve e delle grazie) v’è il volto della
nutrice greca primitiva per eccellenza, «Demetra», che a sua volta ha radici nel mito di Iside «del campo di grano» e «stella maris», tutto assume un senso ancora più ampio.
Si confermano cioè le intuizioni che hanno spinto L'Antro di Claudia nella
ricerca: la sirena è stella, «stella guida»; ma è anche Madre (Stella Maris,
Maria, Madre e vergine per eccellenza); Principessa/Fanciulla/Regina/ «Vergine
del mare», lo abbiamo visto in Mer-maid; ed è anche – come Iside, assimilata a
Cerere nel culto dei contadini primitivi di tutta l’Europa, nondimeno Demetra/Persefone – «madre dei campi» e del raccolto.
Ciò è provato sia dal
fatto che le sirene rapaci, con zampe d’uccello, nel mito greco e romano sono
accostate a Persefone/Proserpina – con la quale le sirene, negli scritti di Nicolas Flamel,
condividerebbero la dimora del prato fiorito ai piedi del Monte Etna e che
aiutano a sfuggire le ire del dio Plutone/Ade – sia dalla eccezionale
congruenza tra l’ambiente della campagna e del raccolto e la “sirena”.
In questo dà indicazioni importanti un
mito slavo di reminiscenza primitiva, che ho scoperto per caso, dove esistono tutt’oggi le leggende delle
“sirene dei campi”, che sembrerebbero la prova di cui avevo bisogno per definire i tratti di un incredibile ed esaustivo, quanto
inusuale ritratto dove Madre che allatta, Stella Guida/Iside/Cerere;
Demetra e la sirena «coesisterebbero in una unica incredibile Madre nutrice,
stella e sirena»; che a questo punto potremmo assimilare alla Dea Bianca di Robert Graves...
Nelle usanze contadine slave (eredi e partecipi dei medesimi
culti del fuoco e della luce dei contadini primitivi del resto dell’Europa, che
è possibile conoscere nella ricerca che trovate qui, La Dama Bianca, L'Antico
Culto della Luce e Le Vere Origini del Natale e dell'Epifania) esistono del
resto delle corrispettive figure materne del grano, nonché “lo spirito del
covone” che come nell’Europa occidentale veniva fino agli anni Sessanta ancora
“intrappolato” nelle bamboline d'orzo o grano, che poi sarebbero state bruciate
nel focolare durante le Dodici Notti; simbolo ed esorcizzazione della “Baba” dei campi, che aiutavano a propiziare con nuovi
abbondanti raccolti.
Avendo la fortuna di conoscere tante donne e, ognuna
appartenente a tradizioni od origini diverse, per evitare illazioni; mi sono
confrontata con la ricercatrice Nataŝa Cvijanović, secondo la
quale le “sirene dei campi” citate poc'anzi in relazione a Demetra; potrebbero
essere identificate con le “Vile” (non manca evidenza nella mia ricerca delle
cosiddette sirene delle foreste, fra l’altro, sempre di tradizione slava;
diverse dalle più conosciute Rusalki, di cui trovate notizie in calce alla ricerca).
“Ne deduco che le Sirene sono le stelle del mare e le
Stelle (compreso il Sole del mezzogiorno, orario in cui intonano i loro canti) sono le sirene del cielo.
Forse, protagoniste della forma più primitiva di rito femminile, quello del
«rispecchiamento»; per parafrasare Luisella Veroli, archeologa dell'immaginario”.
Claudia Simone
Grecia Classica
Premessa: Omero non precisò mai l'aspetto fisico delle sue
due sirene, ma in una copia risalente all'ultima traduzione dell'Odissea,
vennero descritte come donne uccello.
Ciò probabilmente corrisponde alla
profonda influenza che il mito orientale ebbe sulla Grecia. Del resto, come
enunciato nella ricerca intitolata Il vero mito di Demetra e Persefone e cenni sulle Madri dell'assolato campo biondo fino alla parentela con le Sirene; la mitologia greca
risentì molto dei Misteri di Iside, finanche, secondo Diodoro, vennero cambiati
solo i nomi... Una delle spiegazioni genealogiche le vuole giovani Ninfe,
trasformate in uccelli dall'Ira di Demetra (simili alle arpie).
In questo
contesto si assiste al brutale ratto di Persefone a opera di Ade e al
conseguente dolore implacabile della madre Demetra, dipinta nella mitologia greca come una megera vendicativa e crudele, ma scavando nel mito primitivo,
precedente la mito-logia patriarcale, si scopre un racconto del tutto diverso,
dove Demetra, straziata dal dolore per la scelta della figlia di scendere nel
regno infero a guidare le anime dei defunti con la sua fiaccola, vagherebbe
frigida e addolorata per metà dell'anno gettando l'inverno sulla terra, senza
per questo diventare perfida o vendicativa.
Secondo una personale
interpretazione e rispetto ai tratti delle sirene finora disvelati, in questo
contesto, potrebbero essere state mira di una degenerazione del loro sembiante che potrebbe aver assimilato le sirene alle anime infere figuranti nella narrazione originaria della discesa di Persefone nell'Oltretomba.
Dopotutto, le sirene sono oscure
messaggere di morte, Seelenvogel, ossia “uccelli dell'anima”. Le sirene greche erano infatti simili alle spaventose
Lamie o alle Empuse, vampire sanguinarie della tradizione greca, assimilabili al
sacro femminino infero e orrorifico quale quello della Dea Ecate o della
Lilith...
“Vieni, celebrato Odisseo, grande gloria degli Achei, noi
conosciamo tutto ciò che avviene sulla fertile terra”.
Odissea, 12, vv.
158-200
Qui ossa putride tutt'intorno all'isola verdeggiante delle due
sirene, avrebbero lasciato intendere la loro sete di morte.
Le sirene sarebbero
in questa chiave di lettura, Eden del sapere, recanti la stessa falsa promessa
del serpente biblico(2), peraltro creatura ctonia, una delle forme di dee
preistoriche più significative, intimamente connessa alle sirene, come delucidato nei contesti sopra menzionati.
Premesso che, secondo quanto illustrato ne La Dea Bianca di
Robert Graves (cfr. 24 p.482) Odisseo/Ulisse altro non sarebbe che una controparte di
Crono; è nel Libro XII (vv. 184-194) dell'Odissea di Omero (11), che l'incontro
di Ulisse con le Sirene, che stanno adagiate sul prato, viene descritto.
Ed è
nella loro voce che risiede il loro limpido incanto, detto “ligure aoide”, ossia
il limpido canto dell'aedo, l'antico cantore greco (1).
“Intorno è un
mucchio di ossa di uomini putridi, con la pelle che raggrinza” ma Ulisse,
messo in guardia dalla Maga Circe, comprese di dover utilizzare uno stratagemma
per evitare di venire avvinto dal loro canto che Omero chiama anche phtongos,
che secondo la filologia starebbe a indicare una emissione di voce
inarticolata, come un grido di guerra che genera terrore e sgomento (1), un
richiamo che giunge da un abisso di morte.
Si tratta dunque di un suono inesprimibile da
una sola voce, un intonare di carattere prelinguistico (1), ritmico, non
melodico (come il suono di un tamburo, forse).
Simile al suono prodotto dall' auliskos, piccolo
strumento a fiato con cui Pindaro nel secondo partenio tenta di imitare il kompos,
nonché lo “strepitio da sirena” (1).
Nell'Antologia Palatina si parla invece di
lalos, termine che indica un rumore continuo e monotono, simile al
gorgogliare di una cascata o al frinire di una cicala o alla lallazione dei
neonati.
Si tratta dunque di un suono, come detto, prelinguistico, che precede
e supera la parola e di cui le sirene sono detentrici.
La voce delle sirene
greche è dunque un suono diffuso che non utilizza le parole, ma non
significa che non ci parli (1).
Ovidio nelle Metamorfosi (che tracciano alcuni epiteti
dispregiativi come del resto fece Orazio) narra che invece sono state le Ninfe
stesse a chiedere agli dei di concedere loro le ali, affinché potessero volare
sopra al mare per ritrovare la loro compagna scomparsa, Proserpina, la
Persefone latina.
Sofocle le definisce korai (forse in relazione
all'etimologia di Kore, epiteto di Persefone in quanto significa fanciulla).
Euripide le chiama Parthènoi, nonché le vergini, in relazione alla
etimologia di Parthènope (colei che ha fattezze di una vergine) una delle
sirene ammaliatrici che si sarebbe suicidata per l'insensibilità di Ulisse al
suo canto e a quello delle sorelle, Ligea e Leucosia.
In entrambi i casi le
sirene figurano come messaggere del lutto, compagne di dolore.
Anche Elena di
Troia si rivolge alle sirene in Euripide, quando è prigioniera ed esiliata in
Egitto presso Teoclimeno.
Quando viene a sapere delle sventure che stanno
avvenendo in patria, il coro di prigioniere greche descrive il pianto di Elena come
uno strazio di disarmoniche strida (1).
Il verbo stridere, deriva dal
latino strix ed è intimamente collegato allo stridere degli uccelli
notturni, nonché alle Streghe, anche se l'etimologia è ancora incerta (12).
L'infausto destino toccato alle donne accusate di stregoneria, nonché alle
sirene, a ogni modo, sembra soppesato da una legge karmica, da una giustizia
naturale a cui chiunque, dal momento che sceglie di non rispettare la sacralità
delle creature della Grande Madre oscura, è destinato:
l'incontro con una rappresentante di questo popolo mostruoso raramente resta
impunito.
Gli uomini che hanno tentato di possedere o anche solo di inseguire
una sirena, sono andati in contro ad un fato micidiale.
Persino in Dante, nel
Purgatorio, Canto XIX (Cfr:1) le Sirene sono collocate come creature di mezzo,
figure del peccato che ammaliano e corrompono e, anche qui, poste in antitesi
della angelica e apollinea Beatrice. Dante le incontra sul far dell'alba, dove
la creatura balba, balbuziente e gobba si trasforma in un roseo essere
aggraziato per sedurlo (anche se egli verrà salvato dalla grazia (2 p.50)).
Secondo
Servio la madre delle sirene era Calliope, poiché era la musa con la voce più
bella. secondo Plinio il Vecchio le sirene erano le creature antropofaghe,
riprese poi dalla manualistica medievale, dove emergono anche nei racconti sulla
meravigliosa India.
Per il poeta greco antico Apollonio Rodio, nelle
Argonautiche, erano figlie di Tersicore.
Anche Igino (14) diede la colpa a una
Demetra definita iraconda: riteneva che le Sirene fossero figlie della Ninfa
Melpomene e del fiume Acheloo e che, errando alla ricerca della scomparsa
Proserpina, si imbatterono nella terra di Apollo, e fu lì che vennero
trasformate in uccelli per volontà di Cerere (Demetra), come punizione per non
aver salvato Proserpina.
Fu loro preannunciato che solo se un marinaio non
fosse rimasto lambito dal loro canto, e fosse passato oltre la loro isola,
sarebbero potute sopravvivere. Quell'uomo fu Ulisse, e quel luogo che sorge fra
Sicilia e Italia si chiama Sirenide, poiché da esse prese il suo nome. Eustazio
diede la colpa ad Afrodite, dato che le sirene erano pura sterilità,
rifiutavano l'amore maschile, non erano soggette al dono della procreazione
della dea cipride(2).
Secondo Luciano nacquero dal sangue delle corna del fiume
Acheloo che gocciolò nel mare quando Eracle gliele strappò.
Secondo Apollodoro,
mitografo del I sec. postumo agli Alessandrini, il padre era Acheloo e la madre
Melpomene, musa ispiratrice della tragedia.
Per Sofocle erano figlie di Forco
messaggere del regno infero, esseri alati e psicopompi a cavallo tra Eros e
Thanatos, alla stregua di Caronte; traghettatrici tra questo e l'altro mondo...
Per Euripide, infine, erano vergini alate,
creature che contaminarono anche il Romanticismo Tedesco.
La Voce
“Estinguere la volontà in chi ascolta, è questo che fanno
le sirene”.
Agnese Grieco, Atlante delle Sirene
Ma la voce delle sirene è anche nenia, canto sciamanico,
rituale, cadenziato, composto di suoni reiterati e prolungati (1) che
crea in chi ascolta uno stato ipnotico, rapendone la coscienza ed elevandolo
ad altro stato di percezione.
Il canto delle Sirene è quindi un ponte per un mondo altro.
Le voci sciamaniche sono,
probabilmente, ciò che delle sirene è rimasto.
La voce delle Sirene che è anche
la voce di tutte le donne che, danzando in sintonia e con le dita intrecciate
sul pelo dell'acqua, vivificano il suono del tamburo che proviene dal magma della terra.
Secondo Maurice Blanchot, il canto delle sirene era un canto
che non soddisfa chi ascolta, poiché lascerebbe appena intendere le sorgenti di
felicità da cui proviene (15), una sorta di canto ibrido, un accennare alla
natura altra, intangibile, segreta.
In un certo qual modo le sirene sono
puro adesso, è inutile sfidarne l'ascolto pensando di poterlo protrarre in
qualcosa di futuro, stabile.
Con le sirene va abbandonata ogni aspettativa,
permettendo loro di esprimersi, qui e ora, probabilmente nell'unico attimo in
cui è dato sentirle poiché, con tutta probabilità, spariranno prima ancora
che ci si renda conto di averle ascoltate, gettando l'altro nella vacuità
dell'esistenza, in un eterno. inguaribile abbandono.
Ispirazione, dunque, attimo che vola
nell'immaginario della mente restituendosi in breve a se stesso, un lampo di
luce nel buio della notte, loro sono le sirene.
Racconta Blanchot: “Le
sirene sono la promessa, mai menzognera, di una, impossibile, pienezza a
venire. Quella delle Sirene è la storia di una voce che non dice, semai mostra
all’infinito dove andare” (15).
Nella visione dell'autore le
sirene sono tutt'altro che ingannatrici, piuttosto conducono i naviganti a
quella meta che è abisso; fatto di confini pericolosamente permeabili tra
sensibile, reale e immaginario (15).
Forse fu per questo che le sirene
sparirono, poiché riconobbero che gli esseri umani non erano ancora pronti a
nuotare con loro in quell'abisso, così tremendamente pervaso di verità, armonia
e rivelazione, potente antidoto acquatico e femminile ai mali del mondo, che
gli uomini, si sa, hanno ampiamente rifiutato.
Le sirene sono anche le possibilità inenarrate, regno del potenziale,
che a primo impatto potrebbe sembrare incompleto (un difetto nel canto che tuttavia lo rende unico (15)).
In un
certo senso ci troviamo di fronte al tentativo di confinare il genere femminile
a ciò che è ctonio, potenziale, incompleto, difettoso e per diretta conseguenza
sbagliato.
Le sirene sono infatti le donne viste e descritte dallo sguardo
degli uomini.
Ad esempio la Ninfa Eco, costretta nel mito patriarcale a riascoltare
infinitamente le ultime parole pronunciate prima di essere trasformata in
pietra da Era poiché troppo ciarliera, non potrà più parlare, costretta a
quella impossibilità di esprimersi di cui ci rende partecipi anche Friedrich Nietzsche ne l’Aurora (16).
Così dice Ovidio, Eco si nasconde nei
boschi e non si vede su nessun monte, ma sta dappertutto, dovunque, ciò che di
lei vive è il suono (17).
Anche la Ninfa Sir-inga, è collegata etimologicamente al canto siriaco, alla musica, al suono, ed è infatti nelle Metamorfosi di Ovidio che si fa trasformare dalle sue sorelle in un ciuffo di canne piuttosto che cedere alle lusinghe di Pan che, accostando le canne alla bocca; farà nascere uno strumento da cui emanerà un meraviglioso suono, detto ancor oggi flauto di Pan proprio a causa del canto della ninfa intrappolato al suo interno.
Secondo Hélène Cixous(Cfr: 1) (icona del pensiero femminile, che propone una visione della musica, del suono, del canto e della voce) anche in un uomo la voce che canta è donna.
C'è un senso di lei, nella consistenza della voce.
In questo contesto, dunque, il canto sirenico (che precede e trascende la parola) si delinea come bacino del femminile, mentre il logos starebbe a simboleggiare il potere del maschile, il compiuto che tenta di avere la meglio sull'incompiuto, sulla evanescenza del sogno.
A ogni modo, questo è solo un altro tentativo molto in voga di confinare la donna/sirena a un lato delle due polarità, dimentiche e dimentichi che la sua energia si trova in entrambi i generi.
Seguendo le orme di Blanchot, è soltanto grazie all'astuzia
e al calcolo che Ulisse sarebbe riuscito a vincere il canto delle sirene.
Se egli non avesse ricorso agli
espedienti, senz'altro la voce delle sirene avrebbe avuto la meglio, dato che è
più antica del dio della parola (15).
Con tutta probabilità sono state proprio le
sirene a scegliere di lasciarlo andare. Dato che, in fin dei conti, ognuno deve
avere ciò che merita, fosse anche vivere e credere (e far credere) di vivere o morire da eroe; ignorando le segrete verità che quel lontano giorno non si udirono, quando ci si rese volutamente sordi di fronte alla sirenica, onirica, voce custode
di segreti, mai rivelati, delle sirene.
Le Sirene nelle Argonautiche
Afrodite e Bute, l'unico uomo che sopravvisse al Canto
Nelle Argonautiche, un altro eroe, Orfeo, sconfigge
le sirene ricorrendo all'espediente della cedra, facendo sì che il suono da lui
emesso con lo strumento fosse più forte e diffuso del canto del loro canto.
Soltanto il marinaio Bute non resisterà al canto, ne sarà
raggiunto e verrà salvato dalla splendida Afrodite, colei che è bianca schiuma
di desiderio, ispirazione e canto prolifico; ma che, secondo il mito delle
argonautiche, sarebbe nemica di quelle creature vergini e non inclini
all'amore matrimoniale.
Chiaramente qui è un uomo, a parlare. A fare in modo che le donne
stiano contro le donne, dipingendo Afrodite come una sorta di Dea giudicante
rispetto a come le altre donne dovrebbero avvicinarsi all'amore e alla sessualità.
Così come avviene nel ratto di Persefone, queste narrazione (che purtroppo sono le più gettonate) sono
soltanto le ombre di miti delle dee precedenti; proiettati sul muro della della caverna tipica della filosofia platonica. In realtà la storia è ben diversa. Afrodite, madre primigenia di tutta la creazione perenne
(18) era votata alla sua indipendenza, proprio come le sirene. Notoriamente
collegata sia ai fiori che alle erbe che all'acqua, creatrice della rugiada
mattutina; era ella stessa genitrice e generatrice della schiuma del mare,
proveniente dall’Asia (18) e non (come vuole il mito patriarcale) un prodotto fuoriuscito dai genitali recisi di Urano! Nel mito
originario la dolce Afrodite non era menzionato alcun odio nei confronti di nessuna sirena, dato che
non sono neppure citate nel contesto. A ogni modo sono parte di lei, o
sono ella stessa, le sue lacrime, i suoi umori, forse, il suo primo ed eterno
vagito, si potrebbe supporre?
A ogni modo, è logico pensare che Orfeo (a
differenza di Ulisse) abbia quantomeno affrontato le sirene sullo stesso piano,
utilizzando cioè uno stratagemma acustico, forse in virtù del fatto che sia lui
che le sirene, narra Apollonio Rodio, erano figlie e figli di una Musa: secondo il poeta
greco antico, come visto poc'anzi, le Sirene erano figlie di Tersicore,
protettrice della danza e della poesia corale, e Orfeo figlio di Calliope.
Condividevano inoltre una natura sotterranea, ctonia, per via del fatto che
Orfeo avesse un naturale potere ipnotico sugli uccelli ma anche sui pesci (18).
La rilettura Kafkiana del Mito
“Questa immensa impossibilità di parlare, che ci coglie
all'improvviso, è bella e agghiacciante: ne è gonfio il cuore. O ipocrisia di
questa muta bellezza! Quanto bene saprebbe parlare, quanto male anche, se
volesse!”.
F. Nietzsche, Aurora, in Opere, edizione italiana diretta da Giorgio
Colli e Mazzino Montinari, vol. v, tomo I, trad. it. di Ferruccio Masini e
Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1964, p.211 (Cfr:1).
L'etimologia della parola silenzio è da ricondursi al verbo
latino silere, che significa tacere, non far rumore, da cui il
sostantivo silentium, assenza di rumori o di suoni, ma potrebbe anche
essere legato alla radice indoeuropea si- (legare) che ritroviamo in alcune
parole del sanscrito come si-nami (io lego).
Nel silenzio è insita forse l'idea
del legare, intrecciare, unire – gli opposti, ad esempio – cioè l'idea di
creare un canale di “risintonizzazione” con un mondo altro, di cui le sirene
sono custodi e che per essere colto richiede di rendersi imparziali
all'ascolto.
In effetti, come si vedrà nella vicenda della Iguana Estrella di Anna Maria Ortese
e nella letteratura orientale ottocentesca, alcune sirene comunicano con lo
sguardo e non con il canto.
A sconvolgere la “kulturgeschichte” creatasi
nel corso delle epoche sulle sirene, rispetto a ciò, è stato Franz Kafka nel Novecento (19), che ha donato loro una rivincita su Ulisse.
Ciò che emerge dalla
sua opera breve intitolata Il Silenzio delle Sirene (frammento stampato nel 1931) è una
rilettura del mito, dalla quale nascono spunti di riflessione dove le sirene
possiederebbero un'arma ancora più temibile del canto: il loro silenzio.
Mentre
Ulisse è convinto di aver vinto servendosi di stratagemmi umani un canto che umano non è;
la verità è che queste sirene – artiste coscienti di loro stesse, direbbe
Bertolt Brecht nel 1933(20) – potrebbero aver scelto di non cantare affatto!
Secondo Kafka
sanno che Ulisse non può essere sconfitto con il canto, ma soltanto col
silenzio, unica arma di fronte a tanto avversario; mentre nella lettura di
Brecht (per cui diventano metafora dell'arte stessa che si concede al pubblico, personificato in Ulisse) la loro arte non andrebbe certo a vendersi a chi
vuole viverla con sordità o disattenzione.
Le sirene non avrebbero mai intonato
la loro vivifica verità dinnanzi a uno stolto incapace all'ascolto e, forse, è
proprio in virtù di una tale stoltezza, che si sono di proposito assopite,
occultate, gettandosi nell'abisso piuttosto che svendersi all'eroe patriarcale.
Kafka potrebbe essersi identificato nelle Sirene a tal punto da averle rese
specchio di sé(19) poiché, proprio come queste si sentono inermi davanti
all'eroe (che in fin dei conti vince grazie a un equivoco) nella convinzione di averne sabotato
il canto mentre, in verità, ha vinto solo perché tacevano; così Kafka si sentì, da bambino, di
fronte alla conoscenza.
Durante una lezione, a scuola, venne raggiunto dalla
consapevolezza che non avrebbe mai potuto imparare abbastanza e che, seppure
avrebbe imparato, non sarebbe mai riuscito ad esprimere (con la voce) quella
parte della conoscenza che è ineffabile, intangibile, un soffio – psyché
– un canto, che forse tace.
Un silenzio che grida, il canto delle
sirene la cui eco visse nella sua gioventù tormentata (19).
Le sirene sono il contenitore di ciò che, spesso, non può essere cantato, per la impossibilità di esprimerlo.
Ecco perché, chi è abitato da quel
canto, si sente spesso emarginato, respinto, diverso, sbagliato o incompleto; poiché
in esso vive l'inesprimibile imperfezione che la moltitudine non vuol vedere.
Le sirene sono, dopotutto, portatrici di verità che, in un certo senso, è bene
che restino segrete.
Come le antiche sacerdotesse custodivano gelosamente i
loro misteri, anche oggi, “il canto”
è dato a poche e pochi e ancor meno sono coloro che, pur avendone accesso, si dimostrino abili ad ascoltarlo e trarne
insegnamento.
La sirena è icona di una eterna
malinconia, a cavallo fra due o più nature, destinata, forse, ad essere
incompresa.
Il suo canto involontariamente ferisce ciò che sfiora.
La sua forza è
così grande da non potersi contenere: forse non ci sono più orecchie in grado di ascoltare ed è questo, forse, un motivo per
cui hanno scelto di rendersi invisibili, nascondendosi nelle rocce, nelle
fonti e, in fin dei conti, nelle stelle, lassù, dove brillano le Pleiadi – sirene
celesti – dove cielo e mare si sposano, partecipi di una natura insondabile.
Dalle Ali alla Prima Coda di Pesce, XIII Sec.
Le sirene sono state definite monstrum, creature di confine tra essere umano e
animale, coloro che, per eccellenza, mettono in crisi le concezioni darwiniste,
proprio in virtù della loro incollocabilità.
Nella manualistica medievale
avevano denti aguzzi con cui divoravano uomini malcapitati e incarnavano le
persone false e bugiarde, libidinose e lussuriose.
Paracelso, medico alchimista
svizzero, le riteneva pesci mostruosi, (diversi dalle Ondine), a cavallo tra
umani e animali, alla stregua di spiriti elementali della natura come le Ninfe,
le Silfidi e le Salamandre (2. p57).
Nel Liber Monstrorum, VIII sec., un
autore anglosassone misterioso fu il primo a diffondere l'immagine della sirena
con la coda di pesce.
Era il periodo dei bestiari medievali e trattati
mitografici e racconti di mirabilia. Contemporaneamente venivano poste sui
capitelli delle costruzioni ecclesiastiche e ritenute, forse erroneamente, come
si spiegherà in seguito, a memento dei tormenti infernali, così come erano
utilizzate nell'araldica e per forgiare sigilli fino all'epoca rinascimentale.
Appariranno anche su scudi per intimorire i nemici, come gli antichi gorgoneia.
Nel II sec. d.C.; nel Physiologus, un trattato minore che parla del canto che
uccide i naviganti, emerge ancora la loro natura infida. Ebbero a ogni modo un
posto d'onore nella manualistica medievale.
La funzione dei bestiari fu quella
di ricordare l'antico e preconfigurare il moderno: le Sirene furono ponte e
confine; tali manuali straziarono le membra del mito per consegnare le sirene
alla scienza (2, p.50).
Nel bestiario medievale del trovatore anglonormanno
Guillaume Le Clerc, Le bestiaire divin opera in versi composta intorno
al 1210 (Cfr:1 p. 33), le sirene figurano in due categorie specifiche: ossia
donne per metà pesce nel primo caso e per metà uccello nel secondo.
Per gli
studiosi si è reso difficile identificare un momento decisivo di passaggio
dall'una o all'altra forma ma pare che fu alle soglie del Medioevo che i padri
della chiesa diedero loro squame, fu così che persero le ali del tempo
mitico.
Forse per via dell'influenza di Proclo e delle sue sirene generatrici
poseidoniane (2, p. 44) – che illustrava a fianco alle sirene celesti guidate
da Zeus e alle purificatrici di Ade – o forse per contaminazione col mito di
gorgoni e tritoni o dal mito di Giove e la balena, o forse parse semplicemente
più plausibile dare coda alle creature che da sempre vivevano in prossimità del
mare e abitavano le profondità...
Dal XIII avranno sempre, indistintamente, coda di pesce.
Atlante delle Sirene, Agnese Grieco
Nella letteratura cristiana del Medioevo è avvenuto il
cosiddetto furto della voce (2, p. 38) ad opera dei padri della chiesa.
Nella visione cristiana — frutto di secoli di furti dalla cultura ellenica, olimpica e pregreca — le sirene sono diventate sinonimo di sapere pernicioso e satanica seduzione(2).
I padri della chiesa soffrivano di Kalliphonia ossia la fobia per il piacere voluttuoso causato dal suono. Teodoreto di Cirro, esponente della patristica greca li chiamava discorsi da Sirena. Nella patristica latina — in Servio e Isidoro — erano meretrici, incarnazione delle tentazioni del mondo; nella vulgata di Girolamo, nella traduzione della bibbia greca, erano demoni. Anche fra alcuni neoplatonici non mancarono epiteti: per Porfirio (III sec. (2 p.28) le sirene erano frutto di tentazione; appetiti carnali che ostacolano il viaggio dell'anima verso l'armonia.
Nel Simposio di Platone (Cfr:2 p.27) figurano come ingannatrici (sennonché verrà loro restituita una immagine positiva dallo stesso, in altre opere).
Parlare di Sirene significa guardare le donne attraverso la lente degli uomini, influenzata dalla Weltanschauung evangelica, che per secoli le ha deturpate dei loro attributi originari, in primis quello del nutrire, di essere madri delle acque dai seni gravidi (che, parallelamente, venivano occultati anche dalla scelta di vietare le iconografie delle Madonne del Latte che dalla seconda metà del Cinquecento vennero bandite dal Concilio ecumenico di Trento).
Le Sirene hanno subìto l'asprezza dei peggiori epiteti ed è qui che, a ogni
modo, sono emersi aspetti che le collegano direttamente alla Antica Dea
Serpente o ad altri animali come il toro (che le accosta alle dee boomorfe come Iside, di conseguenza alle Matronae
Transalpine, che figuravano in trono affianco a questi animali) poiché in
alcune raffigurazioni le sirene sono state dotate di corna, nonché creature
viste come sataniche a cui erano attribuiti tutti gli animali ctoni, sebbene le
sirene per R. Caillois (1936) siano per definizione demoni meridiani,
custodi della magia del mezzogiorno, l'ora in cui si apre un varco tra il regno
dei vivi e dei morti, l'ora che sarebbe prescelta dai demoni per le loro
apparizioni.
Le sirene sono, peraltro, le creature dell'oro, del sole e della
luce, anello di congiunzione tra i due mondi: incantatrici, psicopompe e dotate
anche di dolcezza, possedenti la capacità di risorgere dalle ceneri come
fenici.
Nel medioevo la sirena era altresì allegoria della vanità, del vizio e
del peccato. Infatti, è a partire da questo tempo che le sirene non saranno più
raffigurate con lo strumento musicale in mano, ma stringendo lo specchio,
prerogativa considerata femminile e diabolica dai padri della chiesa,
probabilmente a causa del fatto che nell'Era della Roccia Madre (21) le prime
sacerdotesse della Grande Madre si servivano dell'acqua delle coppelle scavate
nelle pietre sacre, per scrutare i propri genitali alla luce della luna piena; rispecchiandosi.
In senso metaforico, la sirena è allora la donna
che guarda la donna sacra: colei che, attraverso il rispecchiamento, scruta il
mistero del femminile in se stessa, evocandolo nel proprio corpo, sin dalla
notte dei tempi.
Lo specchio (erroneamente interpretato e attribuito alle sirene dai padri della chiesa in
quanto simbolo di vanità) è nella concezione junghiana indispensabile
strumento di navigazione sul sé, poiché solo specchiandosi nelle proprie acque
è possibile trascendere da esse, diventando impersonali osservatori e creatori
consapevoli.
Questo, un concetto introdotto da Arthur Schopenhauer, che
identificava l'intelletto con lo specchio, come metafora del non identificarsi
con le proprie idee e la percezione superficiale di sé (9, p. 117), per
accogliere la rotondità che secondo Paracelso gli è propria.
Altri strumenti
delle sirene sono il pettine (probabilmente, in relazione al loro legame con
le dee che tessono, annodano e snodano i capelli del fato; non a caso, come visto nella analisi etimologica, le sirene sono anche coloro che tengono al laccio o che legano e reggono l'armonia celeste insieme alle Parche(fatae) filatrici che
verranno spiegate più avanti) e la conchiglia, tanto è vero che secondo un
intervento del celebre psichiatra Raffele Morelli, l'ascolto è in effetti una
prerogativa di natura ctonia e femminile.
L'orecchio non ha forse la forma di
una conchiglia? Potremmo dunque definire l'esperienza dell'ascolto come una
opportunità profondamente guaritrice, ponendo l'orecchio (conchiglia) gentilmente
al cospetto del mare della consapevolezza che sopraggiunge dall'interiorità riscoperta.
Gli strumenti musicali delle sirene sono invece generalmente il flauto, l'antico aulos,
la tromba, la lira, l'arpa.
Aria e acqua: gli elementi delle Sirene dalla Mitologia Baltofinnica all'India Vedica
Le numerose metamorfosi di cui sono capaci è dall'acqua che traggono potere, e sono pertanto immutato spirito femminile primigenio che immane e al contempo trascende l'acqua per farsi aria (come avviene alla povera Sirenetta di Hans Christian Andersen).
Lo stesso soffio vitale che ha creato il mondo potrebbe essere di natura sirenica.
Non mancano del resto filosofi greci che hanno tentato di dimostrare come tutto venisse dall'acqua e come tutti gli animali fossero, originariamente, pesci. Anassimandro di Mileto ipotizzò che l'essere umano stesso derivi dai pesci...
Non sono assenti poi testimonianze di figure umane incise di tipo ittiomorfo scoperte nel Tadrart Acacus (c).
La sirena, se a lei si pensa
in quanto creatura con la coda di pesce, è allora una delle prime forme di
femminile che nutre, anima stessa del mondo, essere primordiale che nel
medioevo vive a cavallo tra la natura selvatica primigenia della donna e la sua
progressiva mutilazione ad opera della mentalità patriarcale.
Nella mitologia
baltofinnica, non di meno nella musicale lingua della Lapponia arcaica,
esistono uno e più termini — emo, amanta, emonen — dove madre,
signora e genitrice letteralmente coincidono con la concezione di una forza
acquatica dalla quale ogni sostanza in principio otteneva sostegno, solidità,
energia.
Per facilitare la comprensione, si può pensare al Wyrd della
cultura norrena, oppure all'energia alchemica del Vril della
Germania occulta, o ancora al Prana della cultura induista. Pare che il
cantore ed eroe del Kalevala, Väinämöinen, intorno a cui verte l'intera
epopea incentrata su ciò che è rimasto dei miti artici e baltofinnici; fu la mascolinizzazione di una entità ab origine
femminile il cui mito precedette la mito-logia del guerriero e che si chiamava
Vein Emonen, letteralmente la madre delle acque, lo spirito guardiano
delle acque o forza delle acque.
Vein Emonen era molto più più di una dea, era
la forza progenitrice anche di ciò che è divino, la sorgente, letteralmente.
Il
termine è di origine finlandese e non sembra un caso che le due parole fossero
state confuse, (per similarità del suono, senz'altro) ma potrebbe anche essere
stato un atto consapevole, tipico delle storpiature create dalle culture
patriarcali indoeuropee, che hanno fatto questo un po' ovunque e in ogni
storia, attingendo da dee preesistenti che hanno soppiantato, per
ricreare mitologie a immagine e somiglianz dei loro nuovi dei, ai danni delle donne e dei
loro attributi e caratteristiche originari che sono via via andati sbiadendo.
Väinämöinen sarebbe quindi una mascolinizzazione dell'espressione del segreto
acquatico femminile della creazione.
Nel Protokalevala, nel Vecchio e
nel Nuovo, così come nei canti tradizionali baltofinnici, v'era del resto un
uovo, estensione di una matrix divina femminile primordiale legata a una natura
ornitomorfa; che sappiamo essere la primissima forma di madri e sirene
allattanti, come approfondito in seguito.
Sembra non si sia trattato solo di
diffusionismo, ma anche di alcuni fattori predominanti e spesso ignorati: in
primo luogo, l'eredità delle culture artiche, del Vicino Oriente, le influenze
della Via della Seta che hanno portato elementi delle culture nomadi delle
steppe già influenti sulla Finlandia in tempi arcaici; in secondo luogo, i runot
kalevaliani sono, con tutta probabilità, la eco di rotte millenarie con al
centro un tema che ha un cuore asiatico arcaico: l'uovo.
Nel Nuovo Kalevala, la
fanciulla dell'aria Illmatar, riflette nel suo corredo la Vein Emonen sopra
citata, ma anche, per parallelismo, assimilata alla Sakti indiana,
rappresentazione dell'immanenza divina come energia creativa femminile che
emerge dal Satapatha Brahmana vedico/indiano (b).
L'uovo e l'uccello sono due miti estremamente arcaici, attestati il primo nel Mediterraneo
Orientale, in India, in Cina, in Giappone, nel Pacifico e nel Perù; il secondo
è nordico, presente in Europa orientale, in Asia centrale e settentrionale e in
America del Nord.
“Le sirene fanno appello alla voce ma non alla parola, privando
chi ascolta delle sue certezze”.
Claudia Simone
Le sirene sono creature assai poco cartesiane, che diffidando
del logos (1) — pur conoscendolo a fondo —
poiché prediligono il canto. Non è nell'arte oratoria e logica, cioè,
che le si può scorgere od incontrare, ma il loro luogo è un luogo di confine,
una terra di mezzo, ove si esprimono attraverso forme di comunicazione che
fanno appello alla voce, ma non alla parola. Un suono informe, forse, poco
chiaro alla mente conscia, ma capace di penetrare a fondo le acque inconsce
di chi ascolta.
Probabilmente anche in Socrate viveva la natura della sirena, poiché
egli, come una torpedine marina, metteva in crisi l'interlocutore che dopo
essere stato sottoposto a colloquio col maestro se ne tornava alla sua vita
totalmente cambiato, stordito, privato delle sue certezze, a causa
dell'apertura del vaso della conoscenza che il filosofo, con la sua indagine maieutica,
evocava. Nella celebre arte oratoria di Socrate, indagabile nel Fedro di Platone (5), in verità muse
e sirene vengono entrambe assimilate alle cicale e al loro canto.
Secondo il
sapiente greco, una volta le cicale erano esseri umani che quando queste nacquero furono talmente storditi dal
piacere di cantare che scordavano cibo e bevande e neppure si accorgevano di
morire.
Da costoro nacque la famiglia delle cicale, alle quali le Muse
concessero il dono di non avere necessità di nutrirsi appena nate, così che
avrebbero potuto cantare immediatamente e fino alla morte, fino a farsi
messaggere delle fanciulle divine per riferire loro chi le venerasse sulla
terra.
A Tersicore riferirebbero coloro che la venerano con le danze, a Erato
con i canti d'amore, a Calliope e Urania con l'arte della filosofia e della musica, dato che queste due, che presiedono alle cose celesti, possiedono il
canto più soave e conoscono tutti i discorsi divini (5 pp.76-77). L'antropologa
del mondo antico Angela Biella sottolinea che il canto delle cicale rimanda a
riti funebri, e in effetti la ricerca archeologica ha confermato la presenza di
di cicale in avorio all'interno delle tombe dei bambini ma, soprattutto, in
quelle di fanciulle (1).
Ciò prova che la cicala, nel mondo antico, era senz'altro
simbolo del sacro femminino.
Secondo lo storico Pausania (2, p.21) fu Era a ordinare lo
scontro tra Muse e Sirene, dove le seconde impallidirono e sconfitte dal canto
delle muse, vennero dalle ultime addirittura spennate (22).
Secondo una
versione del mito, dalle loro piume ne avrebbero creato i logoi, nonché
le parole, da cui, secondo Eustazio di Tessalonica è nata la
discussa espressione omerica épea pteróenta (1), che letteralmente
significa parole alate, nobili, che trascendono.
Le vincitrici, le Muse, si
identificano dunque nelle fanciulle apollinee che hanno la meglio sulle
selvatiche, mutanti, goffe sirene, usignoli dalle ginocchia d'arpia, come le
definisce Licofrone (1).
Le muse, orchestrate dal plettro di Apollo/Elios,
incarnerebbero (in questo contesto) quel femminile ammansito dal potere
maschile, diversamente dalle informi creature ctonie, le sirene, eterne vergini
selvatiche e inassoggettabili, simbolo della donna libera.
Forse è possibile
scorgere, in questa narrazione viziata dal patriarcato che pone le donne contro
le donne, il rifiuto di quelle figure femminile che non si sottraggono a loro
stesse per concedersi alle regole maschili che via via nel corso delle epoche
sono andate consolidandosi, nel progressivo allontanamento dal maschile sacro
delle origini: chi meglio delle sirene poteva incarnare lo spirito della Femme
Fatale tanto temuta, capace di far venir meno l'uomo all'amor fati tipico del
pensiero nietzschiano e alla ragione?
Come specifica la celebre studiosa delle
sirene Agnese Grieco, sarebbe impossibile riuscire a giustappore tutti gli
elementi che si potrebbero considerare sull'argomento, tuttavia le sirene
meritano molta attenzione, per essere una fra le più antiche incarnazioni del
sacro femminino disinibito e incorrotto; lontano da tutti quegli attribuiti (spesso decisi dai maschi) che nella mitologia classica sono stati
cuciti alle donne.
Nella figura della sirena canonica (lontana dalla vera
fanciulla acquatica primigenia) è andato a poco a poco a identificarsi una
proliferazione di aberrazioni scritte dall'uomo sulle donne. Nel Medioevo,
secondo le parole di Severino Boezio (1), è stata la filosofia a contribuire
alla cacciata delle sirene (come avvenuto per le famigerate streghe).
Le Sirene, definite dallo stesso anche meretrici,
ucciderebbero le abominevoli e fruttuose biade della ragione, a differenza
delle Muse che, invece, curano e guariscono; in quanto fanciulle del suono
orchestrato dallo spirito apollineo, a scapito delle sirene che potrebbero
essere considerate alla stregua del puro dionisiaco; libere ed estatiche.
Anche
le sirene Wagneriane sono un esempio di come le sirene siano state assimilate –
come del resto la selvatica Dea preromana Diana, poi regina delle streghe – al
regno di Satana, al male, ai piaceri della carne intesi come bassi e vergognosi.
Le sirene, qui, sono infatti
consolatrici del desiderio dell'uomo, creature che, in questo senso, divengono
delle pallide comparse sullo sfondo di un palcoscenico maschile; dove si
oppongono alla presunta maturità apollinea, rifiutando il
matrimonio.
Le sirene non sono funzionali all'uomo e ai suoi bisogni ma
preferiscono, piuttosto, servire un'altra divinità: la musica.
Sono votate al
canto, alla libera espressione di sé stesse.
Indipendenti, efficienti solo
all'elemento a cui appartengono.
Si evidenzia altresì che, ab origine, anche
Apollo era incarnazione di una divinità ctonia/lunare(S1), slegata dal principio
apollineo che conosciamo.
Se non altro è colui che attraverso un processo di
metamorfosi ha viaggiato fra i vari piani dell'esistenza per integrare
attributi inizialmente scissi.
Nell'alchimia, il potere magico sprigionato dalle antiche
vergini del mare è stato talvolta mantenuto intatto.
L'armonia dei principi
cosmici persiste nella sirena quanto in Mercurio – deità soggetta
all'antropomorfizzazione del concetto di aqua mercurialis, nonché argento vivo, acqua informata, l'Anima Mercurii che nel Figurarum
Aegyptiorum Secretarum del XVIII sec (2, p.73) è rappresentata da una
sirena con ali d'uccello e coda biforcuta, poiché sono entrambi creature a
cavallo tra più nature: acquatica e alata e sono entrambi sfuggenti e
incorruttibili. Colui che ridiede veramente vita all'alchimia, arte antica nata
forse nell'India Vedica tra VIII e VII sec. a.C. (2, p.72); fu C.G. Jung (9).
Nella sua celebre opera Psicologia e Alchimia le Sirene appaiono come archetipi
tra i simboli e principi universali da lui raccolti, dove assunsero significato
positivo, poiché creature integranti il Mercurio comune, la vergine; lo zolfo
nascente, il pesce e il mercurio filosofico, nonché il sale della sapienza.
Ergo, le sirene incarnano la superlativa congiunzione degli opposti, poiché
sono, per eccellenza, la creatura doppia (ma non scissa); completa delle due
nature: quella lunare e quella solare.
Come detto, le sirene sono infatti
demoni meridiani, creature del mezzogiorno, ma anche incarnazione del femminile
acquatico, inconscio e onirico.
Nel Libro di Azoth “Des Philosophes” (2, p.73)
dalle mammelle della sirena sgorgano in rivoli d'oro il sole e in rivoli
d'argento la luna.
Nel Mutus Liber (Il Libro Muto) appare invece una
piccola sirena che si muove nell'onda nera del terzo circolo, come rifratta
immagine di Iside (2, p.72).
Altro esempio sono le Sirene ciceroniane:
Cicerone è forse l'unico autore antico ad aver donato loro le parole che
meritano.
Nella sua voce incarnano infatti la conoscenza a cui l'antropos è
incapace di resistere.
L'Ulisse di Cicerone, scegliendo di ascoltare il loro canto
(23), va in contro al proprio autentico sé, alla voce interiore. Il che,
potrebbe essere lo sfondo su cui lo stesso Jung avrebbe basato gli studi
dell'individuazione del sé(9), scenario in cui il Daimon nella
concezione Hillmaniana (3) potrebbe identificarsi nelle sirene stesse; in
quanto messaggere della voce interiore (vocazione e volontà innata) che non deve, né mai potrebbe, sottrarsi
all'ascolto; dato che ignorare il canto “siriaco” che veicola la volontà
animica, causerebbe inevitabilmente malattia, condannando il cercatore o la
cercatrice a un destino che non appartiene.
La voce della sirena interiore; che
nell'alchimia si identifica nell'Anima Mundi (seppure concepita ab origine dai
neoplatonici con accezione di diversa natura) è anche predestinazione, canto
che narra in anticipo le trame che l'inconscio intesse sulla via.
La Sirena è
anche voce della Grande Madre, anima collettiva, macrocosmo canoro; che reclama
e risale i flutti delle acque, sovente tormentate, delle microcosmiche
coscienze individuali per riemergere, sempre rinnovata e completa, dalla spuma
del mare della interiorità.
“Benché io abbia un corpo freddo come quello di un pesce,
il mio cuore arde come quello umano. Questa è la prova che ti amo”.
Libro
d'Ombra, Pianto di Sirena, Jun'ichiro Tanizaki, cfr.1 p.243
Molte delle iconografie sulla sirena, la raffigurano
bicaudata (o bifida) ossia con una coda che termina in due estremi, che
talvolta si attorcigliano l'uno all'altro, a legarsi, intrecciandosi creando (forse) il simbolo dell'infinita continuità, simile all'ouroboros tipico del
tema alchemico.
Presenti nelle allegorie illustrative medievali, nonché nei
bestiari, le sirene bicaudate potrebbero essere l'apoteosi del tema
alchemico junghiano della “unione degli inconciliabili”; matrimonio di acqua e
fuoco (9, p.148) a incarnare le loro molteplici capacità; così come la cauda
pavonis, in quanto unione di tutti i colori, è simbolo di totalità (9 p.220).
Nelle Uraltes Chimysches Werk di Eleazer, 1760, viene illustrata, ad
esempio, una Melusina bicefala (9, p. 57) (spesso la sirena, in alchimia,
viene chiamata indistintamente Melusina): si vedano a tal proposito i sogni dei
pazienti di Jung.
A ogni modo si iniziò ad avere un massiccio incremento di
queste figure mitiche in vari tipi di rappresentazioni soprattutto in epoca
etrusca e romana(d), nonché rintracciabili nel Medioevo Romanico tra X e XIII
sec., con doppia coda di pesce o di altre creature ctonie, talvolta tenuta in
alto tra le mani a formare un arco, allegoria simbolica presente in rilievi su
muri e pavimenti di chiese e pievi cristiane.
Diffusa in Irlanda, dove peraltro è – ipoteticamente – assimilabile alla
Scheila-na-gig; in Francia – dimora della principessa Melusina per eccellenza –
in Spagna, Svizzera e non di meno in Italia.
Nel V-IV sec. a.C. in ambito
etrusco la si trovava in palazzi nobiliari e stemmi.
Sebbene siano assenti
rilevanze mitologiche che la contemplino a tutto tondo; si evince che le
sirene, in particolare le bicaudate; hanno una natura doppia: protagoniste del
canto armonico, ad esempio; non potrebbero emettere le loro armonizzazioni
senza essere dotate di una intrinseca pluralità (come si evince in Platone ove
sono in otto a intonare la sublime armonia celeste).
Anche Omero concepì una
sirena duale, quasi che le sirene siano caratteristiche di una “forza-sirenica
gemellare” (e); simile per la sua potenza alla “Vein Emonen” – forza acquatica
femminile primigenia – che emerge dagli studi sulla mitologia baltofinnica
svolti dall'Antro. Secondo alcuni studiosi, dar
loro due code, potrebbe anche essere stato un modo per integrare le loro due
nature, una ittiforme e l'altra ornitomorfa; così da restituirle alla totalità
che spetta loro.
In questo modo, sono stati anche riprodotti i loro due arti
inferiori originari della mitologia greca e la doppiezza relativa alle loro
ali, in quanto creature celesti/stellari nella prima storia israelita e
donne-uccello in quella greca.
Eliminare la doppiezza inferiore dando loro univoca coda di pesce, del resto, ha
significato eliminare l'elemento femminile sessuato; l’accattivante e il seducente
insito al potere della vulva che, probabilmente, con la presenza di due arti
distinti ritrova spazio nella sirena, completandola di un aspetto non da poco e restituendole l’atto sessuale (che è anche una forma di canto).
Secondo gli
studi di psicosomatica della cantante Sonia Spinello; le corde
vocali, che hanno la forma della lettera V o di una farfalla; sarebbero organo
di corrispondenza dei genitali femminili.
Una creatura femminile privata della sua libertà
e/o integrità sessuale; è una creatura che perde al contempo anche la sua voce:
voce, e vulva sono intrinsecamente legate.
Come avrebbe potuto, del resto, la sirena, incarnare i tratti della
meretrice descrittivi della concezione patriarcale cristiana medievale se non
avesse avuto due arti e, quindi, una vulva? Sarà tra il X ed il XIII sec. che
la Sirena avrà quasi sempre doppia coda, a ogni modo, e la lettura del suo
simbolismo verrà approfondita sia da mistici che cristiani.
Anche Giano,
tendenzialmente bicefalo; che con le mani saldamente si tiene i piedi, ad
esempio raffigurato sull'ingresso del Duomo di Modena (e), potrebbe essere
rappresentativo di una sirena bicaudata: si rammenti che il dio, secondo
attendibili fonti, fu già una mascolinizzazione della dea preromana Diana!
Si
pensi che Giano – quale Dio degli ingressi e dei trapassi – richiamerebbe la
natura di Diana in quanto volto della Dama
Bianca rilevata in area celto/germanica, nella quale si identificano anche
Perchta/Befana/Santa Lucia e Frigg/Freya che sono, tutte, legate alla soglia,
dee con che possiedono le chiavi di accesso ai mondi oltre il velo.
La etimologia del glifo
della runa Perth, ad esempio; è etimologicamente legata alla strega alpina (nonché dea preindoeuropea dell'Inverno e della luce) Perchta; è
infatti una serratura, un portale che separa i mondi.
Macrobio (390-430 circa)
ci dice che Giano è anche detto: Gemino (e), perché come il Sole esso sarebbe
padrone “dell’una e dell’altra” parte del cielo: interessante che, la nostra
Diana preindoeuropea (venerata nella Gallia Cisalpina con cippi e are che la affiancano alle Matronae celtiche) fosse proprio, fra le altre, una dea della luce e della
vegetazione, legata quindi per stretta conseguenza a un simbolismo solare.
Inoltre, in latino, porta si dice “juana”, dal sanscrito jana, da cui Diana,
Giana, Domus de Janas.
“Juanua coeli” era infatti un epiteto delle dee, poi
passato alle litanie della Madonna (22, p. 57).
Ad ogni modo è di doppiezza e gemellarità che
si parla, legata a una natura primigenia femminile non scissa, ma completa di
tutti gli elementi della materia, che peraltro trascende. Un'altra iconografia
femminile alla quale la sirena bicaudata è “somigliante” è presente nel tempio
di Chakray Amman (21), una dea dell'amore indigena il cui idolo in pietra nera
rappresenta una donna nuda con le gambe divaricate e un fior di loto al posto
della testa, sita in Tamil Nadu.
Qui, tutt'oggi è celebrata durante il festival
in onore di Amma Vasai – madre luna nera – che si celebra in maggio (guarda caso, nel periodo in cui le sirene celesti semite e le Pleiadi annunciavano ai marinai egizi/cananei l'arrivo della bella stagione).
Chakray
Amman è nel mito l'unica delle quattro sorelle sorprese nude a fare il bagno
che non si piega alla volontà di Khrisna (incarnazione di Visnu) che vorrebbe
proibirglielo ed è per questo che la dea ritrae la testa trasformandola in fior di
loto.
Persino Visnu stesso si scuserà con lei, nel luogo dove ora sorge il suo
tempio, simbolo del matriarcato e dell'incorrotto potere femminile anche
proprio alle sirene, che non si divaricano in base al desiderio maschile ma
seguendo, di volta in volta, la loro volontà.
Non di meno, nella leggenda della
principessa medievale Melusina (di cui si trovano tracce più o meno evidenti
nei testi al punto 1, 2, 9, 21, 10 delle note in calce alla ricerca) è presente il
tema del bagno del sabato – che forse ha origine nelle trasformazioni del sabba
delle streghe argomentato da M. Murray o allo Shabbat ebraico – proibito allo
sguardo maschile al quale è precluso di vederla nella sua mutazione in creatura
“mostruosa”, perlopiù raffigurata con coda di serpente.
Il simbolismo duale
della melusina e della sirena bicaudata si riferisce anche alla capacità della
donna di collegare mondi tra loro differenti: ad esempio, portando la vita
dall'interno del suo corpo al mondo esterno, durante la gravidanza; unendo l'ambiente acquatico
uterino a quello terreno, materiale. Nel mito di Melusine si scorge il processo
di integrazione di tutte le parti, imprescindibile all'individuazione del sé, e
alla maturità ove la scissione si dissipa e il tutt'uno ama e trascende.
“Che dal suo buio lui la veda,
mio riverbero prezioso e indocile,
mio segreto, stupore del non accaduto,
per colmare il taglio, da quel mondo al mio”.
(21 Cfr: N2)
Il segreto di Melusina, qui, potrebbe anche celare il mistero del ciclo mestruale, in tempi passati negato all'uomo (e da egli
demonizzato) in quanto visto con sospetto e ritenuto parte femminile da vergognare.
Un'altra immagine che, a nostro avviso, richiamerebbe l'atto
delle braccia alzate a tenere le due code – che, in questo caso, sono
accompagnate da ali e da arti che terminano in zampe d'uccello – è
l'iconografia di Inanna, dea alchemica per eccellenza; che nel mondo
patriarcale non si comporta da brava moglie, madre asessuata, figlia
ubbidiente, ma è ancora una iniziatrice con il potere – da sirena – di attraversare
entrambi i mondi, senza scindersi tra quello solare e quello lunare.
Inanna è
in continuo movimento, viaggia, come l'anima mercurii nell’alchimia, come la
sirena bicaudata; a cavallo tra più nature (21, pp. 83 - 84).
Ella ha
conquistato i sette “me” nel regno delle acque e del suo custode, Me.
Inanna ha
inoltre sette teste, quindi una “natura plurale” come le sirene.
Viene assimilata alla luna – che guida le maree – e a (Venere) Afrodite; dea di
origine asiatica da cui le sirene stesse si sono generate.
I suoi miti e riti,
sumeri, hanno origine nei racconti orali della Mesopotamia, con insediamenti
più antichi relativi al 5000 a.C.; e quindi sono antecedenti le città-stato
tipiche del patriarcato (21, p. 84).
Attraverso la dominanza babilonese, tale
Inanna sumera e prima ancora mesopotamica, venne però assorbita a Ishtar, con
accento sulla prerogativa ispiratrice bellicosa, dove i tratti originari della
dea – in cui dominava l'amore tra gli opposti – verranno banditi (21, p.84).
Un'ultima figura che si potrebbe accostare all'immaginario della sirena bicaudata
e quindi “divaricata”, è quella di Tlazolteotl che partorisce, iconografia
della cultura azteca, XIV sec. (6, p.93, figura 6).
A Lucca, sulla facciata della Chiesa di San Michele, in
foro, sull'architrave del portone principale, sotto San Michele che trafigge il
drago, figura una sirena bicaudata, che indica una forza duplice, dovuta a un
incrocio di acqua sotterranea, nonché un punto a forte impatto geomagnetico.
Ciò non sorprende, se si considera San Michele (così come San Giulio) simbolo
per eccellenza dell'eliminazione ed esorcizzazione del segreto femminile, considerato
demoniaco; e sin dalle origini attribuito a creature ctonie quali serpenti,
lucertole, e rapaci notturni; demonizzati dalle religioni
giudaico-cristiane.
Su una colonnina,
fra l'altro, figura una piccola sirena bicaudata con aureola e ali, che reca il
messaggio spirituale che l'energia, in quel punto, è particolarmente solenne.
La
presenza di corsi d’acqua sotterranea era rappresentata nei capitelli dei
luoghi sacri rispettivamente dalle sirene e dai draghi (f).
Non è difficile, in
effetti, immaginare che le sirene siano connesse alla rabdomanzia, nonché
l'abilità di cogliere le linee d'acqua insite nelle profondità del suolo,
simili alle linee temporali di potere chiamate ley line (10 pp.115-117), utili
anche a informare l'acqua di specifici messaggi e incanti.
Tali
linee sono tradizionalmente punti di potere elevatissimo, su cui, non a caso, i
nostri antenati erigevano i loro templi – poi sottratti e fatti propri dalle
confessioni religiose venute dopo – per preservare in essi una energia segreta.
All'interno di queste linee vi scorre l'energia tellurica della Madre-terra, ma
si dice che vi sia canalizzata anche l'armonia celeste, ossia punti energetici
di incontro tra gli assi dell'universo che si trovano nella maggior parte delle
cosmogonie delle origini – alberi cosmici – quanto nell'alchimia; da cui il
famoso motto, attribuito a Ermete Trismegisto (assimilabile a Toth), del “come
sopra così sotto” (8).
La maggior parte degli edifici sacri della cristianità,
sono stati costruiti per assorbire quella energia sprizzante, attribuita al
culto della Madonna ma che, in realtà, incarnerebbe la madre oscura e
sotterranea delle origini, rappresentata da un serpente che scorre tra gli
anfratti della terra.
La “Wouivre” o “Woëvre” (f) è lo specifico nome che
questo serpente - e la sorgente guizzante - aveva tra i Galli.
Ora chiamate
correnti telluriche, possono essere punti di comunicazione tra correnti di
suoli di nature diverse, oppure provenire come “vene” dal profondo magma/cuore
terrestre. Probabilmente nei territori delle Gallie i celti si radunavano in
questi luoghi e ci vivevano in prossimità per assorbire la benevolenza
sprigionata dalla terra e assicurarsi buoni raccolti. Infatti tali faide
sorgive venivano segnate con pietre particolari.
I Menhir ad esempip, dal bretone men e
hir “pietra lunga”; avevano lo scopo di attrarre magneticamente a
quelle vene le energie celesti, anche dette “correnti del drago”, per via della
loro estrema potenza nell'incedere fra terra e cielo sull' Axis Mundi, che,
come approfondito dagli studi passati sulla mitologia baltofinnica che trovate in questo sito; era percorsa dagli sciamani artici nella loro tenda, che la
risalivano come una scala per portare messaggi divini, ricevuti in connessione
con tale asse, durante i loro riti, canti e pratiche.
Tutt'oggi, in Europa,
frequentemente nel Nord così come in Italia, sono proprio serpenti, uccelli,
centauri, tritoni barbuti, arpie o sirene bicaudate (ad esempio Pavia, Como, nella
Tuscia, Bari, Lucca) – risalenti al medioevo romanico quanto agli etruschi – a
svolgere su angoli, mura o capitelli, la funzione di quei Menhir.
Non è forse,
la Sirena, come visto negli scorsi approfondimenti, la creatura che, per
eccellenza, incarna l'armonia della doppiezza(f), nonché colei che ha in sé
l'argento della “aqua mercurialis” e al contempo la scintilla d'oro delle
stelle e del sole; che ogni elemento ha integrato e, pertanto, connette e al
contempo trascende?
Loredana Mancin, antropologa del mondo antico, crede nella
ipotesi etimologica secondo cui il termine sirene deriverebbe da “seirenes”, al
plurale; che compare nella versione greca del Libro di Isaia ed è usato per
tradurre il termine “tannim” , con cui indica misteriosi animali che emettono
suoni acuti, inquietanti (non dissimili, probabilmente, dallo stridere; dal
latino strix; che è stato attribuito alle streghe in epoca medievale, in
quanto volerebbero sulle scope, alla stregua di rapaci notturni).
Le sirene,
infatti, sono esse stesse custodi del mistero femminile, magiche incantatrici.
L'antropologa sopraddetta ricorda, fra l'altro, che questi animali sono
assimilabili anche alle civette e ai serpenti, legati alle Dee infere per
eccellenza.
Vi sono anche delle sirene nella tradizione giudaica – in Michea
(1.8), Geremia (50.39), Giobbe (30.29) Isaia (13.21,22; 34.13; 43.20) – che
danzano insieme ai demoni fra le rovine di Babilonia, similmente alla
mistificazione fatta sulla figura di Diana, luminosa dea della vegetazione di
origine preindoeuropea degenerata nella compagna del diavolo cattolico. La
parola ebraica con cui si traduce seirenes è “benot ya' anah”, che si traduce
con struzzi. Qui emerge ancora il legame tra la Sirena e le dee ornitomorfe della Europa Antica.
Anche Lilith, figura associata alle tempeste, presente già dal III
millennio a.C. nelle antiche religioni mesopotamiche, poi assorbita dalla
tradizione ebraica assieme ad altri culti e miti, durante l'esilio di
Babilonia; la ritroviamo sia nel Faust di Goethe che nel contesto biblico e fa
la sua comparsa insieme alle Sirene e agli animali del deserto.
Viene definita
anche Lamia nella Vulgata di Girolamo, ossia il mostro femminile che nel
folklore greco–romano rapirebbe i bambini (1) ma che presenta un altrettanto sostrato mitico preesistente...
Nei testi apocrifi le sirene
appaiono nel Libro di Enoch, dove sono le creature nate dall'accoppiamento di
donne e angeli scacciati.
Nell'Apocalisse Siriaca di Baruch sono chiamate al
cospetto di Lilith, di demoni e di draghi delle selve a orchestrare il lamento
del profeta coi suoi strazianti vaticini (2 p. 36).
Nell'Egitto del Nuovo Regno
erano assimilate a Ba, geroglifico dell'anima umana nel linguaggio ideografico
egizio, strano uccello dalla testa umana recante attributi simili alle sirene;
poteva essere un rapace, airone, falcone ( sia Iside che Freya, dee con corredo "sirenico" hanno un travestimento di falco!) o rondine, era assai venerato e inciso
su amuleti.
Tiamat la Madre Marina Mesopotamica
Fra le più antiche divinità femminili legate al culto delle
sirene va fatto un breve cenno su Tiamat (25 p. 80), il cui nome secondo le
ipotesi di Thorkild Jacobsen e Walter Burkert, verrebbe dall'accadico tâmtu,
che significa mare.
Madre marina mesopotamica, ab origine sumera poi assimilata
dai babilonesi, è incarnazione del caos dei primordi; dalla forma di
serpentessa o draga marina; genitrice dei serpenti da cui nacque il
famigerato Mar-duk.
Secondo D.J. Conway sarebbe simboleggiata anche dal
delfino; che rievoce l'oracolo della profetica Delfi, che
abbiamo visto essere stata, secondo alcuni studiosi classici, una delle
plausibili dimore delle sirene.
Del resto, un'altra dea alata e dagli arti
d'uccello è, come visto nell’approfondimento sulla sirena bicaudata; Inanna,
sumera, anche lei mesopotamica e forse dietrologia delle sirene greche
ornitomorfe, di cui abbiamo visto reca attributi fisici e caratteristiche
archetipiche, in quanto simbolo della indipendenza della femmina sacra e
inassoggettabile.
Ka'ahupahau e Hi'aka, Dee Marine Hawaiane
“Ka'ahupahau” (26) viveva in una grotta vicino all'ingresso
di Pearl Harbor, proteggeva le acque dagli squali mangiauomini detti “O'ahu”.
Nata da genitori umani, era una ragazza con i capelli chiari che fu tramutata
in squalo e nutrita dagli abitanti dell’Isola O'ahu e di Ewa.
Nel 1914 le si
attribuì il crollo di un ponte a Pearl Harbor poiché si disse che la dea visse
tale costruzione umana come una illecita intrusione nel suo regno. Essendo
imparentati con gli squali, gli hawaiani ne avevano molto rispetto. Alcuni
racconti parlano di lei come della “dea dalla coda che distrugge”, tipica
immagine legata alla natura infera e caotica delle sirene. Anche “Hi’aka” (26)
è una dea hawaiana prediletta della Grande Madre Pele, nata sotto forma di
uovo, similmente alla fanciulla dell'aria del mito baltofinnico “Illmatar” che,
abbiamo visto, ricalca un tema proveniente dall'Asia, quello della cosmogonia
dell’uovo, tipico dell'India Vedica.
Hi'aka, figlia di Humea e custodita tra i
seni di Pele, è anche detta “colei che appartiene al cielo”, alle nubi, alla
pioggia e alle acque dolci (come svelato nel corso del saggio, le sirene e
quindi tutte le madri delle acque da cui derivano; hanno di fatto origini acquatiche e/o celesti). A Hi’aka, come alle fanciulle delle acque; sono attribuite tempeste e
poteri di guarigione ineguagliabili. Interessante notare che Hiʻiaka è anche il
primo satellite naturale scoperto in orbita attorno ad Haumea.
Syria/Atargatis, la Dea delle Sirene dalla Siria del Nord
Elisabetta Moro, esperta di antropologia culturale, nel suo
libro Sirene, la seduzione dall'antichità ad oggi (Cfr:1) ci regala una
splendida veduta sulla potente Dea Syria – riconoscibile in Strabone e in
Plinio nei panni di Atargatis o Derceto – che secondo Michail Ivanovič
Rostovcev è la grande Dea della Siria del Nord, la quale era dotata del “canto
siriaco”, che per Giambattista Vico avrebbe preceduto la parola stessa (1).
Questa dea, di origine asiatica, assume in epoca storica svariati nomi e volti,
pur essendo una continuazione della Grande Signora degli animali della
Mesopotamia, traccia di un culto millenario – vivo e vegeto ancora sotto la
dominazione romana e bizantina – che promuoveva nei propri templi l'amore
libero e svincolato dal matrimonio (tipico del corredo delle sirene, come delucidato finora).
Syria è rintracciabile nella cretese Rhea,
fenicia Astart, accadica Ishtar (erede di Inanna ornitomorfa, come detto nel
paragrafo sulla sirena bicaudata), nell’anatolica Kybele (Freya), nell'ittita Kubaba,
nell'egea Artemis e nella sirio-palestinese Atargatis: sono tutti culti distinti,
ma intrecciati.
Riferisce Luciano di Samosata, siriano (120-80 d.C.); che
Atargatis aveva corpo per metà donna e con coda di pesce, pur mantenendo cosce
e piedi.
I latini la chiameranno “Syria”, di evidente richiamo alla sirena
anche etimologicamente, a lei era dedicato l'equinozio di primavera.
Ella
iniziava le donne al culto del sesso sacro e le erano devoti gli sciamani
transessuali che si eviravano per diventarne sacerdoti, femminilizzandosi in
onore della dea.
Persino Nerone volle iniziarsi al culto di Syria. Nondimeno
questa tradizione richiamava quella dei sacerdoti delle Artemidi asiatiche,
dove pareva che le donne, almeno una volta nella vita, avrebbero praticato la
cosiddetta “sacra prostituzione”, considerata da molti continuazione dei riti
matriarcali che sacralizzavano il sesso come uno dei modi per sperimentare il
divino; ma che aveva ab origine un'altra natura, malintesa dai pudibondi
patriarchi che hanno riscritto il mito sulle donne.
Sappiamo che anche i Galli (sacerdoti di Cibele) si eviravano (6).
Alla dea Syria erano dedicati alberi di
melograno – richiamo a Proserpina/Persefone, altro mito che abbiamo già visto
essere legato alle origini delle sirene – la colomba, la carpa e pietre
falliche erette davanti ai suoi templi .
Quando il culto di Atargatis fu
portato in Etruria e a Roma, si fuse con la dea Libera e con Dioniso (26) (non
a caso, le sirene abbiamo visto essere “creature del dionisiaco”, custodi orgiastiche).
Le dee
asiatiche e le loro sacerdotesse, dopotutto, sono rappresentate nell'atto di
stringersi i seni di esibire la yoni (termine sanscrito per la sacra vulva, da
sempre messa in risalto nelle statuette della dea madre fin dal paleolitico).
Statuette votive che le raffigurano sono state trovate a fianco a tori in
terracotta – animali, come abbiamo visto, legati alle sirene nelle
rappresentazioni dei bestiari medievali in cui figurano come “ferine”; in questo riconducibili alla Dea bianca, nondimeno a Iside nel suo sembiante boomorfo; che rivive nelle Matronae delle Gallie nondimeno oltre il velo delle madonnine agresti che hanno preso il loro posto con la crisitanizzazione.
Atargatis si è poi diffusa in tutto il bacino del mediterraneo.
Questa Dea, più
unica che rara, è ad ogni modo accostabile ad Afrodite, di provenienza fenicia,
trasformazione della semita Astarte/Asherah, le cui tracce sono presenti in
tutto il bacino del Mediterraneo e fu portata ovunque andassero i fenici.
La
provenienza da Cipro è probabilmente la più nota, perché il mito la fece
nascere dalla schiuma del mare.
Come le sacerdotesse sopra citate, anche tra i
fenici nei templi di Astarte venivano praticati riti della sacralità del sesso.
Fu ad ogni modo per via di questa bianca schiuma che le statue di Afrodite
venivano foggiate nel marmo: una delle forme con cui venne raffigurata Afrodite
è anche Galatea (6, pp.266-267) .
A concludere, la Dea Syria, sopravvissuta nei
secoli dell'arte come potenza femminile pagana più prossima alle Sirene, è
considerabile in tutto e per tutto una “Dea delle Sirene” o “Dea Sirena”.
Le Dee Preistoriche, Iside la Dea Bianca e la Sirena Galattofora
Gli attributi della sirena, come già approfondito;
richiamano quelli delle antiche Dee ctonie, ad esempio alcune tra le prime
rappresentazioni di Dee Madri nutrici, sfogliabili tra gli archivi forniti da
Marija Gimbutas (cfr.27); erano lucertole, come nel caso della Dea Lucertola
del periodo protostorico Ubaid, o se si pensa alla stessa Dea Iside
alata, Madre del mondo, Dea Egizia nutrice per eccellenza.
La Sirena è pertanto
“crocevia” di caratteristiche attribuite a molte Dee dell'Antica Europa che avevano lo scopo di nutrire e non
solo.
A Roma, nel palazzo dei Penitenzieri, è conservata un'opera del
Pinturicchio, databile al 1490, chiamata “soffitto dei semidei”, tra cui figura
fra gli altri il particolare di una vera e propria “Sirena del latte”, nonché
una sirena materna; rappresentata nell'atto di allattare il bambino - anche lui
con una coda attorcigliata che parrebbe quella di un serpente o di un sauro.
Questa è solo una delle numerose testimonianze iconografiche di madre
ctonia o sirena con bambino che allatta: le prime forme di madri nutrici,
illustrate nell'atto di allattare; nella preistoria furono proprio
aviformi/ornitomorfe, oppure madri-serpente o lucertola; tutte, “casualmente”; parte di un sembiante che riguarda la sirena a partire dal mito
delle origini ad oggi.
Sono ormai evidenti le origini delle sirene: progenitrici preindoeuropee che, dalla culla mesopotamica; si sono spostate per diffusionismo od assimilazione nel corso delle invasioni/assimilazioni indoeuropee.
Potrebbero essere proprio loro (le sirene e
le dee loro assimilabili e connesse) alcune tra le antiche madri nascoste oltre
il velo cattolico delle Madonne agresti del latte a loro volta recanti
attributi e rilevanze che lascerebbero ipotizzare una assimilazione alle
Matres/Matronae celtiche; nondimeno alla Dea Bianca di Robert Graves, la originaria madre dell'orzo e del grano che conosciamo come Demetra/Kore ma che affonda le radici nel mito egizio di Iside Sochit/Sochet(campodi grano).
Quest'ultima contiene sia la natura ferina delle sirene nel suo sembiante boomorfo, peraltro parte del corredo delle Matronae; che la loro natura celeste, nei panni di Iside Stella Maris; nondimeno presenta anche il loro aspetto d'uccello, nei panni del suo travestimento di falco.
Iside e Proserpina/Persefone
Nel Mutus Liber (1677) la sirena, come Iside, diviene acqua
mercuriale volatile riunita con lo zolfo, madre e principio delle cose.
Arrivata al colore bianco, simbolo di perfezione, dopo
essere passata attraverso il nero della putrefazione, simbolo di dissoluzione. Ovidio
e Igino le credevano connesse al mito siciliano di Demetra e Persefone (cfr. 24
p.482):
“Ai piedi del monte Etna, il cui cuore arde instancabile,
c'è un prato fiorito.
Su quel prato si possono scorgere Proserpina, la
dea-natura, la ninfa siracusana Ciane e le giovani sirene.
Stanno raccogliendo
fiori e hanno il capo cinto di ghirlande.
Profumano di erba, di cielo, di
candidi narcisi, e ancora non sanno la corruzione del talamo nuziale”.
Nicolas Flamel citato in M. Bulteau, op. cit., pp. 44 - 45, (Cfr: 2, p. 74).
Come Iside (volto di serena devozione) – dal cui mito egizio potrebbe essere giunta
Persefone in Grecia – anche le sirene non conoscono corruzione.
All'arrivo
di Plutone la luce della dea ha infatti la meglio: Proserpina è la materia
volatile che emerge dalle tenebre, nascente oro del meriggio dal cui cospetto
le sirene si librano in volo sfuggendo al signore oscuro.
Per approfondire il
legame tra Iside e Prosperpina/Persefone, si consiglia di leggere la ricerca dell'Antro intitolata Il
Vero Mito di Demetra e Persefone e cenni sulle Madri dell'assolato campo biondo fino alla parentela con le Sirene.
Le Sirene possono essere considerate anche un altro volto
delle Parche, le fatae filatrici greche del destino, intessitrici, custodi
della sapienza femminile e incarnazione degli attributi delle Antiche Dee Madri
creatrici e distruttrici, le Madri del Filato; così come le Moire romane, o le
Norne, che sono simili alle ancelle di Frigg/Freya (ne la Dea Bianca
di R. Graves le sirene sono una ennade come le sue ancelle).
Quest’ultima,
dotata – come le sirene greche di dietrologie asiatiche – di
natura aviforme e legata al miele; attributo, come si è visto negli scorsi
approfondimenti, della voce “siriaca”.
Alcuni dei nomi di Freya presso diverse tribù dei Germani, furono
“Mar-doll” e “Syr” che, abbiamo visto nel paragrafo dedicato allo studio
etimologico; essere connessi alle forme “Mermaid” e “Sirena”.
Del resto, le stesse
Matres/Matronae celtiche delle Gallie che furono venerate in epoca preromana nelle
nostre terre alpine (che abbiamo già assimilato alle Madonne del latte e quindi
alle sirene allattanti o madri ctonie, o madri uccello, di dietrologie
protostoriche) recano gli attributi delle filatrici e della Dea norrena
suddetta.
In effetti, anche le sirene bifide o bicaudate (esempio di
femminilità sacra in varie accezioni) e legate a tradizioni simboliche
alchemiche ed ermetiche che si perdono nella notte dei tempi; costellano i
capitelli di varie chiese molto diffuse nel Nord Europa, retaggio di antichi
culti legati alle linee temporali e alle correnti di potere sotterranee e fondamentale richiamo alla forza
rigeneratrice di Freya(g), che nella mitologia norrena è dea della magia e
dell'amore, della fecondità e della lussuria, protettrice delle partorienti –
come la dea Lucina di retaggio etrusco, etimologicamente connessa a Lucia/Lussi
assimilabile a Frigg/Freya, nonché al folclore celto-germanico attraversato dalla
figura della Dama Bianca, anche conosciuta come Perchta/Berchta, Fata Piumetta o Befana; che le fonti più recenti
sembrano far emergere come ereditiere della preindoeuropea Nerthus/Hertha,
venerata come madre terra dai popoli autoctoni di area nordica.
Anche
Tacito, nella sua “Germania” ricorda come alcune tribù della Germania
settentrionale, tra cui Longobardi e Angli, venerassero una madre-terra
chiamata “Nerthus”; il cui collegamento con la stessa Frigg/Freya rimane un
dato di fatto per molti studiosi delle fonti.
Frigg/Freya, la Madre dei Vani, è ciò che di più simile è sopravvissuto tra gli dei norreni e germanici di una Grande Madre.
Regina degli Aesir è infatti Freya, ora chiamata Frigga, che significa “la Frigia”.
La Frigia è la regione
montagnosa interna della Turchia nordoccidentale, dove era venerata
Kibele/Cibele.
La Frigia è dunque sia l'epiteto attribuito a Cibele quando
viene importata a Nord a ricordarne la provenienza – così come Afrodite, nata
dalla schiuma del mare a Cipro, era conosciuta come la Cipride e Artemide la Cinthia,
dal monte Cintho – sia il nome che si sovrappone facilmente a Freya.
La parola
Frigia ha a sua volta origine, probabilmente, nel termine sanscrito “prija”,
che significa amore. Tacito riferisce che la tribù degli “Aestii” riveriva la
dea Cibele come Madre di tutte le divinità. Questi ultimi erano gli Dei della
lontana “As-gard”; da “As” o “Assua”, in latino Asia; che ab origine era
l'Anatolia; plausibile matria di Freya come degli altri dei degli
antichi germani, ossia l'attuale Turchia od antica Troia (6); portati lassù al
Nord con le ondate di popoli indoeuropei, circolati dalle parti del Mar Nero,
che hanno sfiorato questa famigerata “terra di mezzo” (6) che altro non è che
la regione anatolica a Nord della Mesopotamia.
È del resto innegabile, il
legame tra il pantheon dell'Edda e la penisola anatolica (6, p. 189) ed è forse
da questa “uscita” che deriva il fatto che Frigg e Freya fossero
tutto sommato state inglobate in una stessa Dea.
Alcuni studiosi
identificarono nei Vani i popoli autoctoni e pacifici preesistenti nell'area
norrena e germanica nel Neolitico, e negli Asi un popolo indoeuropeo bellicoso;
tuttavia, secondo Dumézil e altri il pantheon germanico sarebbe da considerarsi
un corpo unico che avrebbe radici indoeuropee...
Al di là di congetture e
probabilità, su tale scissione dei due pantheon, sembra esserci ancora
oscurità.
A ogni modo, accogliamo l'ipotesi (forse non lontana dalla
verità) che ab origine Frigg e Freya possano aver incarnato una triplice Dea
dei Vani, insieme a Skadi; ricordando la trinità lunare tipica delle religioni pre-agricole che secondo la egittologa Margaret Murray sarebbe stata il perno delle origini e
dell'avvicendarsi dell'intera vecchia religione oggi ripresa (e confusa) con alcune branche del neopaganesimo.
Forse solo in seguito Frigg e Freya si sarebbero sviluppate come due
entità separate, per poi tendere comunque a unirsi per la
similitudine di funzioni ed attributi nel mito(4).
A concludere, nel Timeo di Platone (IV sec. a.C.), sia le Parche filatrici che le Sirene figurano nella schiera di donne che lavorano, filano, reggono, sorvegliano il destino “cantando tutto ciò che accade”. Tra le pagine del celebre filosofo greco, le Parche cantano sulla armonia delle Sirene, che hanno una “posizione elevatissima”. Nello specifico le Sirene, nel Mito di Er; sono otto, partecipi della armonia celeste e della “serenità dell’oblio” (2, p.26); mentre Anananke faceva ruotare otto cerchi concentrici, ossia gli otto cieli antichi, sopra ciascuno era accovacciata una sirena. Ognuna emetteva una nota fissa, e tutte e otto insieme formavano l'armonia del cosmo. Per il filosofo neoplatonico Giamblico le sirene, creature sibilline, erano collocate nella tetrade armonica nell'Oracolo di Delfi. La tetrade, per i pitagorici, era una arcana armonia numerica che sprigionava l'armonia intera della musica (2).
Il caso di Ostara/Ishtar e le Sirene Celesti dell'Equinozio di Primavera
Un'altra divinità del
pantheon nordico che potrebbe avere una dietrologia, per così dire, “sirenica” è Ostara, a cui è titolata la festa della
primavera – Pasqua in tedesco si dice “Ostern” e in inglese “Easter” – poiché il suo nome “assomiglierebbe” presumibilmente a quello della accadica Ishtar e della
fenicia Ashtart.
Più che una evidenza etimologica (non provata da alcuna fonte, bisogna dirlo) secondo Luciana Percovich ciò potrebbe essere testimonianza dei rapporti di scambio e transito tra estremo nordeuropeo
e Asia Minore/Mesopotamia (6, p.191).
Astarte – assimilabile a sua volta alla semita Asherah e alla sirio-palestinese
Atargatis, una delle dee primitive da cui la figura della sirena si è originata
– sopravvive nei panni di Afrodite (la cui origine Cipride è più recente) che l’ha assorbita.
Le sue tracce sono diffuse in tutto il bacino del
Mediterraneo dato che fu portata ovunque andassero i fenici. Si potrebbe dire
che in Afrodite rivivano tutte le dee asiatiche delle sirene primitive: culti distinti
ma intrecciati da cui la dea-sirena per antonomasia, “Syria”, si è originata
ella stessa; come continuazione ultima della Grande Signora degli animali
mesopotamica.
I latini la chiameranno “Syria”, di evidente – e già svelato –
richiamo alla sirena anche etimologicamente.
A Syria (come a Ostara) era dedicato l'equinozio
di primavera e l’arrivo della bella stagione (se non altro ciò avvicina le due dee, pure se non coincidessero) fatto simbolico già protagonista
della prima storia israelita che vedeva nelle preziose sette sorelle Pleiadi (identificazione
e plausibile provenienza delle sirene, come visto in precedenza) la principale
guida dei marinai, che si affidavano alle “sirene celesti” per affrontare le
insidie dei mari, in quanto le sette stelle annunciavano l’arrivo della bella
stagione.
*Il paragrafo non pretende di detenere alcuna verità ma racchiude un excursus personale che risponde di uno studio intuitivo, basato a ogni modo sugli studi della archeologa e fondatrice di Preistoria in Italia Luciana Percovich(6).
Tara è una delle divinità più adorate dai buddisti in Asia.
Tra le cinque Dee Tara – Bianca, Gialla, Blu, Rossa e Verde – la Tara Verde è
la più popolare(h), ma pare che il volto di nostro interesse, in questo
contesto, possa essere quello bianco (Cfr: S1).
Venerata in Nepal, India, Cina,
Giappone e altri paesi buddisti, la sua figura potente e compassionevole (molte simile, in questo, alla serenità trasmessa da Iside Stella Maris ai credenti) adorna
i muri di molte case(h).
Secondo alcune fonti Tara avrebbe origine nella
letteratura tantrica indù e nei “Purana”, le scritture religiose Indù.
Secondo
Hirnanda Shastri il suo nome figurerebbe nella letteratura brahmanica come
sinonimo della Dea Durga(h).
Uno dei suoi epiteti è “Tara Amba”, nonché Madre
Tara, la Matrona dei Mari.
I suoi devoti erano principalmente nel commercio di
marinai, navigatori e barcaioli perché i Purana la descrivono come legata ai
“corpi idrici” (d).
Un altro dei suoi epiteti, da cui prende il nome, è “Dhruva
Tara” in quanto è la stella (dhruva) principale che guida i viaggi per mare.
Nella teologia Indù appare prima del V secolo, come protettrice dei mari, forse
assimilata nel buddismo solo in un secondo momento(h).
Secondo la storia
buddista sarebbe stata accettata nel gruppo delle Shakti – le dee della energia
femminile – nel V sec. (alla Shakti è stata accostata anche la Vein Emonen finnica, la arcaica dea ed energia delle acque discussa all'inizio della ricerca).
Le prime immagini reperite in grotte buddiste dell'India
occidentale risalgono al VI-VII secolo; mentre la sua prima comparsa nelle
grotte costiere della regione settentrionale del Deccan e dell'India
occidentale rafforzerebbe il ruolo di dea protettrice dei mari.
Forse, secondo
la mitologia buddista, si originò dalla lacrima di “Avalokiteshvara” –
bodhisattva “maschio della compassione” (h) – che cadde a terra e formò un
lago. Dalle sue acque sorse un loto che aprendosi rivelò la presenza della
preziosa Tara.
Tara fu allora conosciuta come l'equivalente femminile di quel
dio, compassionevole, che si occupa degli uomini che devono “passare all'altra
sponda”, una sorta di traghettatrice bianca che connette i mondi.
Tara è forse
una delle Dee dal retroscena più felice e armonioso nella tradizione indù,
ritrae la divinità nella sua forma più bella, (h) incorrotta e serena (questa descrizione assomiglia a quella proposta da Frazer sulla dea egizia Iside/Sopdet).
Sulla
origine della versione Verde di Tara non ci sono molte certezze, sebbene i suoi
dipinti contemporanei raramente la raffigurino come la protettrice dei mari
(h).
Nel periodo delle invasioni musulmane in tutto il subcontinente dall'XI
secolo in poi, i buddisti fuggirono verso nord in Nepal e in Cina: ciò potrebbe
spiegare i paesaggi fluttuanti dove Tara Verde è ritratta, nella “tribhanga
asana” oppure seduta su un piedistallo di loto.
Il suo viaggio a nord dalla
costa del mare alle montagne, sinonimo della stella che rappresenta, anche
chiamata “Stella del Nord”, è un racconto profondamente connesso alla
simbologia delle sirene e alle sette Pleiadi dove dimorerebbero o che secondo
altri incarnerebbero, come già visto, ma messo da parte nella coscienza di
massa(h).
Anche la Stella Polare o Orsa Maggiore che guida gli sciamani nella mitologia artica e baltofinnica è un retaggio asiatico, forse per via delle contaminazioni portate nei trafficci della Via della Seta dai paesi orientali all'estremo Nord...
Il cuore cosmogonico che sta al centro di tutto il mito artico è
senza dubbio asiatico.
Mari, Regina Basca delle Grotte
Alla radice indoeuropea mari- potrebbe essere connessa la Dea basca Mari (Cfr: s1) a cui è sacro l'avvoltoio – che riconduce alla connessione tra le sirene uccello greche, di dietrologia asiatica e le streghe intese come rapaci notturni in volo verso il Sabbat.
Mari è poi connessa alla luna, al mare (dato che governa le maree) e alle grotte ove è possibile incontrarla, in quanto signora sibillina dell'oracolo e della magia; assimilabile, similmente alle madonne galattofore (che sono tutte antiche forme di sirene come testimoniato dagli studiosi precedentemente citati) alle Matres/Matronae celtiche che vivono nelle Madonne campestri del latte o della neve; alla luminosa Diana preindoeuropea “del boschetto”, nondimeno alla Dama Bianca.
La Dama Bianca è, come Mari, signora delle grotte, madre delle pietre da cui sgorga il latte della terra, della Grande Madre che vivifica e guarisce.
Un'altra figura basca pertinente è la “Lamia” – assimilata alla sirena anche in Atlante delle Sirene di Agnese Grieco – («Lamiak» al plurale) che nel folclore possiede un pettine d'oro (legato all'azione dello snodare, filare, e quindi ancora all'archetipo della filatrice) e ha zampe d'uccello come le sirene greche, nonché si comporta come una ninfa, soggiornando presso fiumi e boschetti che sacralizza, nutre, preserva.
Molti anni fa conobbi una praticante cubana, iniziata alla
religione panteista africana chiamata “Yoruba”, che prende il nome – di origine
controversa – dall’omonimo gruppo etnolinguistico che conta cinquanta milioni
di persone, dove ha avuto origine.
Venni così esposta ad alcune pratiche sotto
l'egida delle due divinità femminili acquatiche della tradizione per eccellenza
che; secondo la giovane donna che me le trasmesse oralmente, avrebbero potuto essere,
in base alle sue “letture” delle mie “tracce sottili”, le mie protettrici e
“madri naturali”.
Allora, io non avevo consapevolezza di molte cose che, nel
corso degli anni, si sono rivelate vere per me.
Similmente al modo in cui il cattolicesimo
concepisce una santa per la quale si ha devozione e si sente appartenenza come
delle figlie, nella “Santeria” – nata dal sincretismo tra la primitiva Yoruba e
il cattolicesimo, formatasi durante la tratta degli schiavi africani che
venivano deportati nei paesi dell’America Latina, e diffusasi finanche negli
Stati Uniti dove è tutt’ora praticata – ci si considera figlie e figli di una
particolare Dea Madre (e di una sua controparte maschile) per tutta la vita.
Sebbene il venire a conoscenza dei truculenti sacrifici animali a cui mi sarei
dovuta sottoporre per entrare “nel vivo” di quella “adozione” mi allontanò
quasi istantaneamente dall’approfondire quelle pratiche occulte che stavo
integrando al mio pregresso percorso animista e sciamanico; mantenni intatte
sul mio percorso le tracce di quegli aspetti della Yoruba che sentivo miei, che mi avevano insegnato a credere di più in ciò che da sempre vedevo e sentivo
dentro e intorno a me.
Imparai senza nemmeno sfiorare un libro che Yemaya era
la Grande Signora del Mare africana che, secondo la mia iniziatrice, portava l’epiteto
di “colei che è tutta bianca” (recava gli stessi attributi della amorevole
Afrodite).
Quasi ogni Dea alle spalle delle Sirene – lo abbiamo studiato nel
corso della ricerca – è del resto intimamente legata al colore bianco.
A Yemaya sono sacre le colombe bianche – testimonio che vengono
tutt’oggi sacrificate nel rito di iniziazione alla Madre suddetta – mentre
“Oshun”, legata invece alle acque dolci di fiume, porta il simbolo dell'ape,
del miele e dell'uovo (utilizzati negli incanti e scongiuri in suo nome a cui
ho personalmente attinto, vedendone anche l’efficacia (Cfr: S2)).
Yemaya è infine sia una protettrice delle partorienti,
guaritrice, portatrice di luce che una Dea capace di causare caos e tempeste.
Nel suo potere coesistono armonicamente gli apparenti opposti.
Oshun è invece presenza che lega come la consistenza
del miele che le appartiene, che cicatrizza le ferite, soprattutto quelle del
cuore.
A lei si dedicano riti e atti d'amore, oppure ci si rivolge alle acque
dolci, dove è possibile scorgerla, per chiedere supporto nella risoluzione dei
problemi quotidiani o più profondi. Spesso capita di incontrarla nei sogni,
poco dopo averla contattata servendosi dei suoi elementi...
Per completare la riflessione su Oshun e sul legame simbolico che il miele ha con le sirene, con le loro voci e con alcune delle dee che appartengono alla loro natura, si fa presente che in Aristotele, nella Storia degli Animali, si cita il termine “seiren” in riferimento a una varietà di ape solitaria, il cui ronzio potrebbe forse assomigliare alla voce delle sirene: insistente, diffuso e continuo.
Come di qualche cosa che non si capisce da dove proviene, ma si avvicina inesorabilmente, a rivelare ciò che, molto spesso, vuole essere ignorato, come la verità, di cui le Sirene sono portatrici (non menzognere come il patriarcato ha voluto far credere).
Del resto anche le fate, messaggere della natura, che abbiamo visto condividere con le sirene le antiche residenze iperboree (nonché isole dell'Aldilà) che sono state concepite dal Mediterraneo ai paesi nordici sarebbero una forma di api (29).
Curioso come, nella ricerca delle fonti, negli studi approfonditi a cui mi sono dedicata per scrivere delle sirene, io abbia scoperto una sempre più vicinanza, nonché assimilazione – per etimologia, contesti, attributi e collocazioni nel tempo e nello spazio mitico e non – alle streghe e alle fate.
Ho potuto constatare che la Sirena è apoteosi dei loro attributi, capo espiatorio che ha subito forse il peggior furto e relegata alla peggiore presunta sembianza e allegoria «infetta».
Alcune fonti ipotizzano che ciò che le sirene volevano rivelare a Ulisse, fosse proprio l’Odissea (1), nonché il suo destino.
Nondimeno nel Mediterraneo l'ape era associata alla mantica, l'arte di vedere il futuro.
La greca Melissa era una Sacerdotessa di Demetra che custodiva gelosamente il segreto della sua iniziazione (2, p.23). Si evince altresì che la prima sirena, al di là delle plausibili ipotesi teratologiche sulla sua natura ittiomorfa o aviforme; avrebbe potuto essere una sorta di ape molto aggressiva, combattiva, come le mitiche dee guerriere (2, p.22).
“Fata Morgana abita in un palazzo di cristallo nelle
profondità del mare verde e sorge all'ora del tramonto con le sue compagne di
gioco in centinaia di figure colorate, in forme sempre cangianti, significative
e nuove, mai ricorrenti nello stesso modo”.
Das Wörterbuch der Mythologie (Cfr:27, p. 63)
Mor significa mare in varie lingue celtiche e Morgana era una
dea del Mare il cui nome sopravvisse ancora in Bretagna, dove gli spiriti
marini sono chiamati Morgan.
Secondo la mitologia del Galles era una regina di
Avalon, il mondo sotterraneo delle fate (7; Cfr:27 p.63), ma è anche la
chiave, la guardiana della soglia, l'unica attraverso la quale si può accedere
a immagini, sogni, saggezza e visioni celate nel regno delle nebbie, oltre il
confine; come le sirene, che sono le creature recanti simbolo e attributi liminari; psicopompe e messaggere.
Rhiannon
Secondo un importante testimonio, le sirene sarebbero gli uccelli di Rhiannon che nel mito di Bran cantavano a Harlech (Cfr.24 p.482)
Un'altra sirena, sirena d'Irlanda, Isotta, figura nell'Atlante delle Sirene (1) come femminile recante la loro natura.
Secondo Gottfried von Strassburg (principale fonte medievale della saga di Tristano e Isotta) nei versi di Tristano ella sarebbe una incarnazione di
regalità e gaia scienza, nonché di moralité.
Probabilmente influenzato
da Ovidio nell'attribuirle l'epiteto di Sirena, la definisce un miracolo
europeo di bellezza e cortesia, che basterebbe udire da lontano per rimanerne
ammaliati.
Ella è anche sole dell'aurora, di cui è figlia (ciò richiama le energie delle dee di primavera sopra discusse).
molto bene tutt'intorno
dove sfuma zibellino
e sì bene insieme stanno;
dove soglion star le fibbie;
una breve catenella
volan quei nivei fiocchi
rubacchiando qua e là:
credo ben che Isotta
a se stessa abbia rapito”.
“Le Madonne di Napoli sono tutte regine del mare, con corone luccicanti di splendore, reincarnazioni di forme antiche di Sirene”.
Douglas N., La terra delle Sirene, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1972, p.12; cfr. (2)
Secondo lo storico erudito napoletano Antonio Silla, autore della celebre Fondazione di Partenope, la città – da cui derivò il nome di Napoli – non fu fondata dai Fenici come sostenuto da altre fonti, ma dovrebbe il suo nome alla sirena “Partenope”.
Partenope, Leucosia, Napoli sono solo alcuni dei luoghi dell'Italia Meridionale legati a un vero e proprio “culto delle sirene”, di cui le leggende locali portano ancora nitida memoria: “costoro rigettano per falso di pianta tutto ciò, che non si uniforma col loro raziocinio; e perciò avendo intese tante cose stravaganti delle Sirene, sono entrati a decidere, che Partenope non sia stata nel numero di queste (28)”.
Dalla famosa Adriana alla Sirena di Posillipo, Napoli fu, è noto, grande centro di “allevamento” e educazione musicale di questa particolare genia canora, soggetta addirittura a una sorta di adorazione.
“Le feste che le celebravano e le invocavano propizie durarono a lungo, finché le sirene non si velarono e si nascosero dietro il nome e il volto di Sante e di Madonne”.
Elissa Piccinini, Le Sirene Esistono, p. 81, Ottolibri, 2014
Esempio lampante è la sirena della Fontana della Spinacorona, detta “fontana delle zizze”, a Napoli, dove la creatura si mostra in veste di generosa fanciulla vergine che tiene fra le mani i seni zampillanti, che simbolicamente nutrono la città.
Come detto è infatti chiara la natura “galactotrofusa” della sirena, derivante, probabilmente, dalle stesse simbologie preistoriche delle Madri uccello allattanti citate nel precedente capitolo, alle quali sono connesse le Dee asiatiche della culla mesopotamica da cui si è originata, per assimilazione e diffusionismo; la stessa Afrodite, regina indiscussa della bianca spuma del mare.
Anche nel De Animalibus di Alberto Magno le sirene sono descritte nell'atto di allattare (2, p.62).
Trecento anni prima di Cristo c'era già il mito secondo cui quando le sirene si suicidarono a causa di Ulisse, e pare che se ne salvò una, Partenope (2), che giaceva sulla spiaggia di una città che portava il nome di Napoli, dove venne eretta una statua in suo onore: era la città dalla “sirena dal volto e dalla voce di vergine”.
Nel V sec. c'era un vero e proprio culto a lei dedicato, con libagioni e sacrifici animali in un sacro e ciclico ripetersi di usanze stagionali.
Altre sirene italiane furono Leucosia, la candida e pura, forse assimilabile al culto della Dea Bianca Leucotea, protettrice dei naviganti (2 p.29) e Ligheia, la melodiosa, legata alla città di Terina, nella Magna Grecia, poi scomparsa e assimilata ad altre città sulle quali non si hanno prove certe, ritrovata poi tra i versi del poeta Alcmane, dove è relegata alle spiagge di Omero coi suoi canti immortali...
Parlando di sirene, si nota un sentimento generale di innegabile appartenenza al colore
«bianco», che emerge dai connotati di ogni Dea o creatura sottile che nel corso
dei tempi, dalla preistoria a oggi, ha fatto parte della eredità della Sirena.
Come un'aura
fresca e benefica attorno a ognuna di loro, il bianco è il colore della spuma
del mare, la lucentezza quasi trasparente sul pelo dell’acqua, dipinta
dall’incandescenza del meriggio, nonché l'autentico colore della stella che
appartiene più alle sirene «demoni del mezzogiorno e del crepuscolo», il sole.
Il bianco è richiamo alla morte, alle ossa che nel mito greco annunciano la loro natura infera: nel bianco la dicotomia
di nascita e luce, nonché di morte e scheletro, si annienta; poiché in esso gli opposti si sposano, si uniscono, come visto nel paragrafo sulla sirena
bicaudata; creatura alchemica «di confine» che cavalca le onde di più mondi, custode dell’elemento celeste quanto di quello tellurico.
Non mancano racconti di sirene vendicatrici, probabilmente per via di secoli di furto della loro voce e integrità di femminile sacro e «antropofaghe».
Dal romanzo di Kobo Abe, tratto da Biografia di una ninfa (1 p. 244) emerge l’abitudine della sirena a riordinare le ossa delle sue vittime umane, perfettamente ripulite. Del resto, la Sirena giapponese potrebbe aver derivato i suoi tratti dalla «nure-onna», la donna serpente acquatica del mito antico, famigeratamente carnivora.
La sirena (come la Dea Bianca) reca in sé ogni lato del divino femminile,
dove la donna non si sottrae a nessuno dei suoi aspetti: armonico e caotico,
luminoso e oscuro.
Lo scrittore Tanizaki nel suo “Libro d’Ombra” (Cfr:1, p.
237) divinizza il pallore della donna europea – impossibile da eguagliare – che
è stato attribuito anche alle sirene, che quasi in ogni racconto hanno
carnagione «brillante come perle», che si mimetizza nell'acqua chiara perdendo i suoi contorni, svanisce nella iridescenza del mare, trapunto di
minuscole stelle che confondono lo sguardo all’orizzonte. “La Sirena era dotata di una bianchezza, un candore mai
visto prima, un bianco che è pura e viva luce”. (1, p. 236).
“Era la lucentezza di una pelle talmente candida che
l'aggettivo bianco era impotente a descriverla. Più che candida era splendente.
Tuttavia, la superficie brillava quasi vi fosse celata una sostanza iridescente
che, attraverso le carni, emanasse un intenso chiarore di luce serena. Tale
evanescente epidermide era tutta ricoperta di una fitta peluria bianca, sulle
cui estremità si annidava una spuma d'argento. Il corpo appariva avvolto da una
diafana seta cosparsa di gemme preziose”.
Jun'ichiro Tanizaki, 1917 (Cfr:1, pp. 236-237)
Lo Sguardo della Sirena
In generale, fonti e ipotetici avvistamenti, sembrano non
definire un colore preciso per le iridi delle sirene – sebbene il verde e i colori dell'acqua e del
cielo, in generale, sembrino andare per la maggiore – ma si parla, piuttosto,
di uno sguardo “scintillante”, “incandescente”, nostalgico, «assopito in un
regno altro», finestra sul divenire che loro conoscono, regine di un mondo altro.
Per alcuni sono «occhi mai visti prima» (1, p.243), di un verde che avrebbe
causato dipendenza fino a sviluppare una malattia in colui che narra di aver
visto una sirena: «una creatura tutta verde, di una bellezza affusolata» (1,
p.244).
Si tratta di un giovane che si occupa di recupero di resti navali in
Giappone, autore sconosciuto del racconto fantastico di Kobo Abe (ibidem).
L'Anima della Sirena
Sirene, Ondine e Iguane
Nelle fiabe romantiche tedesche le sirene subiscono una metamorfosi adattativa e sono connesse al tema del pozzo e alle acque dolci.
La parola Ondina viene dal latino «unda», che significa onda o creatura dell’acqua (10, p. 77). Le ondine, come i salmoni possono risalire le correnti, abitano mari, fiumi, laghi, tutti i paesaggi e le vie d'acqua che solcano la terra.
Le ondine, a differenza delle sirene, sembrano dotate di una anima diversa: si innamorano più spesso degli umani, possiedono loro stesse un lato umano; infatti, dal Medioevo in avanti ci sono testimonianze letterarie di ondine che si rovinano a causa di maltrattamenti psicologici o fisici degli uomini; mentre le sirene di mare sono più vicine a una natura ferina.
Naturalmente, sin dalla notte dei tempi, si ha cercato di arginare
il femminile a ruolo peccaminoso e ctonio; relegando la donna a forme e
tendenze considerate deplorevoli; ma in questo caso viene da pensare che questa
sirena risponda semplicemente di una natura animale legittima, che le
appartiene, che fa ciò che deve fare, al di là del bene e del presunto male.
“Ella soffre, è chiaro, bisogna aiutarla. Ma ciò è possibile, senza morire davanti all'eterno?”. L'Iguana, Anna Maria Ortese (Cfr:1)
La Sirena, guardandoci spinge a
interrogarci sulla Natura profonda delle cose e di noi stesse e noi stessi, tracciando un
confine tra la natura umana che, spesso, si rivela essere molto più mostruosa di quanto non si riveli pura, per esempio nei romanzi novecenteschi, quella
delle creature d'acqua; dotate di molta più gentilezza, ingenuità e amore e,
in definitiva, dotate di «anima».
Allora è forse la natura «anima-le» a
ingentilirci, e quella umana ad abbrutirci?
Dove sta il confine?
La Sirena,
forse, lo incarna e lo supera.
Le sirene sono, dopotutto, uno stato di natura e
spontaneità negata all'uomo borghese impettito. Talvolta sono state descritte
come prive di anima, come accade nella vicenda della Iguana Estrella, romanzo di Anna Maria
Ortese ambientato nella Milano degli anni Sessanta.
La malinconica creatura è
incapace di esprimersi se non attraverso lo sguardo, caratterizzato da
«occhietti splendenti fissi» (1, pp. 15 - 26).
“Nei suoi occhi” – dice il
protagonista del romanzo, Don Carlo Ludovico Aleardo di Grees, nobile di casata
svizzero-iberica – “V'era una soavità che a Milano mai aveva visto negli occhi
di alcuno e gliene veniva un sentimento pacato e greve del segreto
dell'Universo, di tutti gli abissi che ci circondano e, molto probabilmente,
della loro bontà”(1, pp. 15 - 26). Questa Iguana non parla – come le sirene
kafkiane, come la sirenetta di Andersen – ma comunica selvaticamente,
attraverso gesti e posture, e pare affetta da una innata ed eterna malinconia,
quasi le sia peculiare, impossibile da arginare.
Il Tesoro della Sirena, La Lorelei
Nei Nibelunghi (Nibelungenlied) che significa “popolo
delle nebbie”, della notte o dell'oscurità (in norreno Niflúngar); poema epico
scritto in alto tedesco medio agli inizi del XIII secolo; si dice che le Lorelei, le sirene tedesche del fiume Reno, possiedano e custodiscano un
prezioso tesoro magico che giacerebbe sul fondo delle acque (10, pp. 81-82),
anche detto “oro del reno”.
Nel Libro d’ombra del giapponese Tanizaki sopra citato, si
legge: “In Occidente non è poi una rarità, incontrare una sirena. Nel mio paese
nel Nord dell’Europa, l’Olanda, quando ero bambino ho sentito dire che una sirena
viveva a monte del Reno, fiume che passa vicino alla città in cui sono nato”(Cfr:1, p.239).
Fu lo scrittore romantico Clemens Maria Brentano, nel suo
romanzo “Godwi”, a dedicare una ballata alla Lorelei e al suo strazio d’amore;
nonché un atto di Heinrich Heine musicato da Friedrich Silcher che, insieme,
diedero voce a un racconto che affondava nella leggenda.
Nella versione
medievale, la dolce Loreley, bionda come l’oro, suonava un’arpa d’oro e si
pettinava con un pettine d’oro – tipico delle ondine o ninfe di fiume e delle
sirene medievali e bretoni.
La piccola Leonore – così si chiamava, quando era
ancora umana – viveva con il padre nell’ultima casa di un villaggio sulle rive
del Reno; in prossimità di un picco roccioso che affacciava su un “gorgo oscuro”
del fiume, che si credeva maledetto e infestato da demoni e spiriti.
La
piccola, poiché sembrava un angelo, venne scelta per personificare la Vergine
Maria durante una processione lei dedicata: portava naturalmente i suoi colori,
quali il celeste acceso negli occhi, l’oro caldo nelle trecce e il corsetto
bianco come perla.
Ma quando “Lore” – così la chiamavano tutti – si inginocchiò
ai piedi della statua della Madonna, il cielo si fece torvo, annunciando caos e
tempesta.
Un lampo lacerò l’aria e si decise unanime che “la creatura del
demonio avrebbe dovuto essere gettata nel gorgo, insieme ai suoi simili”.
Il
curato che l’aveva scelta tentò invano di proteggerla, ma fu un cavaliere
coraggioso, il conte Udo, che ricordatosi della gentilezza della fanciulla e
del fatto che ella stessa aveva confidato di possedere dei particolari poteri
di cui egli aveva avuto anche evidenza; accorse a salvarla. Passarono del tempo
insieme in una capanna segreta, ma a poco a poco l’innamorato smise di farle
visita, di rado la considerava e Lore restava sempre tutta sola.
Lo spirito del
luogo, erede delle divinità pagane che vivevano nel “palazzo di cristallo nelle
profondità del Reno”, decise di vendicare questa «figlia del lamento», dandole
il compito di attirare al gorgo ogni uomo che vi fosse giunto, lasciandolo
morire travolto dalle onde.
Nessun uomo poté mai resistere quel canto ma,
nonostante tutto, Loreley; non sentiva mai placarsi quel senso di abbandono
causatole dal suo amato Udo, che tanto le mancava.
Nel frattempo, l’uomo
vigliacco, forse per avere vita più semplice; si era sposato con una “donna
normale”, priva della magia di Lore, ma in lui albergava un rimorso crescente
che lo portò a cercare la sua Lore, pur conoscendo il pericolo che avrebbe
corso.
Una volta conosciuta la magia, dopotutto, è difficile farne a meno…
Nonostante i primi impulsi di vendetta e di morte nel percepirlo arrivare, una
volta che Loreley vide Udo, il ghiaccio si sciolse e il male venne vinto.
La dolce sirena usò i suoi poteri magici per salvarlo dal suo stesso
incanto e questo la slegò dalla maledizione ove l’odio, per quanto motivato,
l’aveva condotta; liberandone lo spirito nelle profondità delle acque, dove più
nessuno la vide...
(*Questa versione del racconto della Lorelei, raccolta dal libro di Elissa Piccinini, Le Sirene Esistono; a sua volta tratta dal romanzo di Clemens Maria Brentano intitolato Godwi; è una forma cristianizzata di una leggenda più antica, disponibile in molte versioni tutte simili tra loro)
Gli Elementi delle Sirene
Gli elementi tipici delle sirene sono l'acqua primordiale,
l'aria del cielo, il fuoco alchemico che è contenuto nell'acqua stessa in
quanto acqua mercuriale e il fuoco della scintilla del sole e delle sette
sorelle Pleiadi, da cui le sirene discendono, secondo Esiodo; dove, forse, si
sono rifugiate per eternare la loro luce canora e offrirla in dono a chi
osserva il cielo con animo disposto.
Del resto, le sette sorelle
che appaiono nel racconto della Sirenetta di Hans Christian Andersen; sono di
probabile ispirazione allo stesso tessuto mitico che emerge da molti racconti aborigeni
e/o orientali sulle Pleiadi.
Anche compagne di Selene, ove assorbono la sua
luce bianca presso il Tempio di Apollo, nella profetica Delfi; le sirene,
incarnano la congiunzione dei quattro elementi nella materia alchemica
volatile, per questo presiedono a qualunque lavoro di concentrazione occulta o
di guarigione, poiché regolano le correnti della terra, del mare e del cielo;
scorrono nei più remoti anfratti, nella “Wouivre”, la corrente mistica che
serpeggia nelle vene d'acqua provenienti dal magma della terra; a consolidare e
presiedere ai “nodi energetici” sotterranei su cui i nostri antenati e le nostre antenate costruivano i loro luoghi di culto, poi assimilati dalla Chiesa, che ne
conserva in tutta probabilità una scintilla.
Scolpite su capitelli nelle
chiese e pievi di tutta Europa come reminiscenza di etruschi, germani e celti con funzione di Axis mundi, sirene come demoni meridiani: atte a connettere
la materia tellurica a quella celeste e a contrassegnare tali nodi di potere.
Le sirene, dunque; serpeggiano sinuose nelle profondità acquatiche e celesti; come tali operano nell'acqua che ci scorre dentro e di
cui ci nutriamo attraverso il cibo, agiscono come astri-guida alla volta
celeste nei momenti di maggior smarrimento; abitano il regno onirico a cui ci
abbandoniamo nel sonno.
Le
sirene abitano le notti delle madri ctonie e dei loro animali ferini; per poi
risorgere all'alba come fenici; lucifere stelle del mattino, come Venere/Afrodite.
Guidano le sacerdotesse dedicate alla Grande Madre nel viaggio
interiore che conduce all'oro del
meriggio; ma sono anche coloro che legano e slegano, filatrici, pettinano i loro capelli d'oro e onde, e in quest'atto, tutt'altro che vano, sciolgono i nodi e decretano il destino del mondo in quanto streghe, fatae, norne che guidano alla volta della loro via, La Via delle Sirene...
*****
Cronache e Avvistamenti registrati
“In Occidente non è poi una rarità, avvistarne una. Nel
mio paese nel nord dell'Europa, l'Olanda, quando ero bambino ho sentito dire
che una sirena viveva a monte del Reno, fiume che passa vicino alla città dove
sono nato”.
Dialogo con Libro
d'Ombra, Pianto di Sirena, Jun'ichiro Tanizaki, 1917 cfr. (1, p.235-243)
586: Venezia e Liguria attribuirono a cause inspiegabili
marine un forte diluvio; a Roma una pestilenza venne attribuita a fetidi
effluvi di serpenti in decomposizione sulle coste; contemporaneamente sul fiume
Nilo furono visti emergere animali di forma mostruosa fino ai lombi a seguito di cui ci
furono sconvolgimenti politici (2, p.54)
VI sec. : Galles, una sirena venne catturata e battezzata
col nome Murgen, J.L. Borges, Manuale di Zoologia Fantastica
601 Anno del Signore: Poco dopo la morte del re dei romani,
emerse dal fiume una figura muliebre con volto delicato, capelli lunghi e
intrecciati, sciolti in parte, splendente nell'aspetto, con pelle bianchissima
e capelli neri, naso di media grandezza e dita ben fatte (2)
XIII sec. : Vincenzo di Beauvais, nel suo Speculum Naturae,
raccontò di un uomo che riuscì a catturare una sirena sollevandola dai capelli,
se ne innamorò e la sposò anche se lei non rivelò mai la sua vera natura,
quando lui la minacciò con la spada lei scappò in mare per non ritornare mai più
(2, p.55)
XIII sec. : In Portogallo venne emesso un decreto che sanciva il
diritto di proprietà del re su tutte le sirene che venivano ritrovate a giacere
sulle spiagge dei suoi regni (2, p.56)
XV sec. : Teodoro di Gaza umanista bizantino vide sulle coste del
Peloponneso una sirena dall'aspetto virgineo con un fascino speciale che venne
salvata dalla folla impazzita grazie a uno studioso, per poi rigettarla in mare
(22, p.56)
1492 Diario di bordo della Niña: Cristoforo Colombo trovò
nei pressi di Santo Domingo tre sirene che danzavano sulle onde, brutte e mute,
simili ad arpie (22, p.57)
XV - XVI sec. : Giulio Cesare Scaligero vide a Parma nella
bottega di un orafo una sirena in forma di Nereide, alta quanto una bambina
1523 : a Roma venne avvistato un mostro marino con le mammelle che
ricordavano una scimmia o un cane (22)
XVI sec. : Jacopo Nolerus riferì della Sirena di Harlem,
nuda e muta venne ammansita e trasformata in una massaia olandese che filava (22,
p.57)
XVII sec. Equipaggio
di Hanry Hudson: Nel Mar di Kara, zona costiera della Nuova Zemblia; fu avvistata
sirena dall'aspetto di donna bellissima con capelli neri e pelle chiarissima
con coda di focena di colore verdazzurro (2, p.58; 1 p. 196)
1600: Athanasius Kircher, gesuita, filosofo e alchimista
alluse a pesci antropomorfi e al potere delle loro ossa macinate contro le
emorragie (2, p.65)
1610: John Smith avvistò un mostro marino di aspetto
seducente, splendida fanciulla dai capelli azzurri, bianchissima di pelle
sorrideva voluttuosamente (2, p.58)
15 giugno 1608: Hudson, scopritore della Groenlandia, vide
all'altezza dell'Isola Russa di Novaja Zemlja, nel mare glaciale artico, a
fianco della nave una sirena bianchissima con lunghi capelli neri e una coda
che ricordava quella di un delfino e maculata come quella di uno sgombro (cfr.1
p. 178/188)
1680 d.C.: Un giovane Kraken rimase incagliato nello
stretto canale di Altstahong, dove rimase a imputridire dopo la sua morte
diffondendo il panico della malattia (10, p. 112)
1699: Immanuel Kant in Physische Geographie riporta la
notizia secondo cui nel 1699 sarebbe comparsa una sirena nel porto di Copenaghen
(1 p. 195) tuttavia, il filosofo non mancò di ricordare che se le sirene
fossero mai esistite, sarebbero senz'altro delle specie di foche, probabilmente
scambiate per sirene dalla fantasia umana (1, p.200).
1700: Le più chiare informazioni che si hanno sul loro
aspetto fisico riguardano la somiglianza con le foche, lamantini, dugonghi o
ritine; mammiferi marini già esistenti nel 700 poiché, come le sirene,
avvistate a nuoto con la testa fuori dall'acqua e avrebbero allattato i piccoli (22, p.66)
1740 - Nella Frisia occidentale una violenta burrasca porto
a riva la cosiddetta Sirena di Harlem, che imparò a filare molto velocemente ma
faticava nell'espressione vocale umana. Dimostrò sempre una spiccata attrazione
per l'acqua (Notizia diffusa su un giornale tedesco da Kleist, ispirato alle
dotte note di Immanuel Kant raccolte in Descrizione generale dei
Mari, 1801; cfr. 1 p. 179)
1752: Il vescovo norvegese avrebbe avvistato un Kraken
dalla sua nave ed affermò che col suo inchiostro nero avrebbe accerchiato la
nave (10, p.112) (Avvistamenti di mostri marini dall'aspetto simile a un Kraken avvennero anche in Irlanda).
Inizi dell' Ottocento: Dal medesimo giornale di Kleist, si evince
l'apparizione di nove sirene catturate presso l'Isola di Manare (Golfo omonimo
tra Celyon e Costa Indiana), dove il sesso si distingueva perfettamente (cfr. 1
p. 186)
13 Giugno 1809: Rubrica Apparizioni Straordinare in lingua
inglese, il redattore tedesco del Museum scrisse che nella baia di Sandside nel
Nord della Scozia che venne avvistata una sirena dai seni pronunciati e dai capelli
verdi (cfr. 1, p. 198)
Intorno al 1800: Illiger nel 1811 coniò un ordine di animali marini
chiamati sirenidi per le loro mammelle pettorali sviluppate particolarmente (2,
p.66)
1841: New York, Barnum resuscitò la Sirena
delle Feejee (una scandalosa mummia rinsecchita composta di parti animali) al suo American
Museum (2, p. 71)
Datazione Ignota: nella Baia di Cuba ci furono numerosi avvistamenti leggendari di
una bionda sirena che sfuggiva lo sguardo diurno, per riempire la baia con la
sua luce per l'intera notte. Nessuno testimoniò mai di averla incontrata o
veduta ma numerosi racconti nacquero intorno alla sua figura (2, p.59)
XIX sec. : La Sirena è ormai alla stregua del freak, umiliata al circo, alla
stregua di scherzo della natura, capro espiatorio per le nascite mostruose (2,
p.67).
Soglie del XX sec. : Un po' ovunque si trovavano copie di atti notarili che vietavano unioni con
creature simili a sirene (2, pp. 58-59)
*****
Africano
Seriel (Eritrea) anime dei morti simili al rapace
egizio Ba da cui forse giunsero, abitatrici di fiumi, case e alberi, anche
simili alle driadi.
Seroël (Abissinia), legame etimologico con Seirenes, geni
marini femminili invisibili, che pochi prescelti avevano la facoltà di vedere e che comunque rischiavano di rimanere accecati similmente a quanto accade con
Medusa che pietrifica.
Prima di fare il bagno nelle fonti andava chiesto il
loro permesso così da non ricevere brutte sfortune.
Simili nei connotati anche
alle fate del folklore celtico, poiché donavano profitti ma anche maledizioni.
In Abissinia esisteva addirittura una festa delle sirene, che nei secoli
rientrò naturalmente nella liturgia cristiana sotto la veste di donne e madonne
miracolose.
Anglosassone
Tipiche sono le Mermaids, vergini del mare.
Queste sono le acque dove le sirene sono indissolubilmente diventate
donne-pesce, deponendo le loro ali.
Arab0
Djinnis, sono una sorta di geni, entità soprannaturali del folklore preislamico e musulmano citate nel Corano
Arturiano
La Dama del Lago, signora della magia delle
acque per antonomasia
Assiro
Kulullu, uomo pesce e kuliltu, donna pesce (10, p.
52)
Basco
Lamiak (lamie) creature tipiche della mitologia basca
zampe da uccello.
Soggiornano presso le acque dei fiumi nei boschi, simili alle
ninfe driadi della mitologia greco-romana; assimilabili alle sirene
per via delle loro zampe ma, anche, per il pettine d'oro che sono solite
utilizzare per pettinarsi e che le connette, del resto, alle madri filatrici di
cui si ha parlato nella ricerca
Bretone e celtico
La famosa Melusina, nonché le Melusine,
potrebbero avere origine nel folklore celtico, ma sarebbe improprio darne
certezza poiché potrebbero anche essere. (Cfr. Francese)
Cinese
In Cina il sovrano mitico Shun, era figlio della
Madre del clan del Serpente e del padre del clan dell'Uccello.
Egli incarnava
dunque le più antiche forme ancestrali di animali connessi alle sirene e alle
dee protostoriche da cui l'immaginario si è diffuso dalle origini.
Cornovaglia
Luogo di tradizione magica per eccellenza,
pare ospiti tra le sirene più sinistre e pericolose (10, p.61)
Estone e Lituano
Qui le Nixie hanno una controparte chiamata Neckan, Necker, Nakki o Neck (10, p. 84).
(Cfr: scandinavo e germanico)
Francese (Bretone)
La principessa Melusina del Castello di Lusignano, una delle sirene più famose d'Europa ampiamente discussa nel testo e citata in fonti bibliografiche (Cfr: 7, pp. 23-26)
Gaelico
Chiamate Roane, poiché Roana è il termine gaelico
per dire foca, diffuse nelle Highland scozzesi, nelle Isole Orcadi e nelle
Isole Shetland, danzavano alla luce della luna togliendosi le loro pelle di
foca, per poi rigettarsi in mare (p.10, pp. 65-66)
Galles
Gwragedd Annwn, pronuncia gwragheth anuun, famiglia
di esseri acquatici benevoli (31, p.98).
La Signora di Llyn Y Fan Fach, presso
il laghetto omonimo nelle montagne nere del Galles, XII sec., sirena medicina e
sapiente che trasmise il suo sapere alla casata dei Mydfai che si estinse nel
XIX sec.
Giapponese
In Giappone le sirene sono conosciute come
Ningyo, di cui consiglio questa bella leggenda: Ningyo, le Sirene giapponesi.
Dal Giappone giungono anche le Ama il cui significato è donne del mare, note
anche come Uminchu nella lingua di Okinawa e Kaito sulla penisola di Izu che da
più di 2000 anni si immergono in apnea, quindi sprovviste di attrezzature
subacquee
Hawaiano
Ka'ahupahau(28) viveva in una grotta vicino
all'ingresso di Pearl Harbor, proteggeva le acque dagli squali mangiauomini
O'ahu. Nata da genitori umani, era una ragazza con i capelli chiari che fu
tramutata in squalo.
Nutrita dagli abitanti della isola O'ahu e di Ewa.
Alcuni
racconti parlano di lei come della dea dalla coda che distrugge.
Italiano
Partenope, Ligheia (già trattate nel corso della ricerca).
Iraniano e preislamico
Pari, creatura a cavallo tra la
fata e l'angelo, dallo spirito essenzialmente malvagio, anche detta Reera,
Rayra o Raira, una donna meravigliosa che proveniva dalle foreste del Nord
dell'Iran, dove praticava la sua magia, oltre che tramutarsi in uccello per
gettarsi nelle acque dei laghi.
Un'altra creatura acquatica del folklore
iraniano è la principessa del regno sottomarino Julnare, figlia della regina
del mare Locusta (34, pp.36-37)
Irlandese
Liban, la sirena del Lago Lough Neagh del 90 d.c
(7, p.22) e Merrow, di entrambi i sessi, possono anche mutare forma per
camminare sulla terra ferma, presagivano la tempesta (10, pp. 62-63)
Islamico (e Armeno)
Paris (Cfr: Iraniano e preislamico)
Islandese
Nickers (Cfr: Norreno e Germanico)
Isola di Man
La gente dell'Isola di Man chiama le sirene
dell'isola Ben Varrey(31, p.59)
Isole Shetland e Isole Faroe
Selkie, le donne-foca (10, pp. 20-21)
Indiano e Brahmanico
Si narra di donne acquose, deità del tempo
piovoso e delle nubi lucenti, melodiose musicanti che distraevano portando alla
beatitudine i santi e veggenti Rishi
Mediterraneo
Ondine, Naiadi, Ninfe e Tritoni, eredi delle
sirene poseidoniane, appaiono anche nei cori del Faust di J.W. Von Goethe;
hanno coda biforcuta.
Uno dei racconti sul Tritone figura a Tanagra, in Grecia (dove si
sarebbe eretta una statua dopo averne decapitato uno)
Nigeriano
Onijegi,
sirena del fiume Idunmaibo, dove è ancora possibile udire la sua eco ( 10,
pp.32-33)
Nordamericano
La storia di Menana, trasformata dal Grande
Spirito in stella per poi discendere di nuovo come spirito delle acque, tra i
fantasmi guerrieri in una leggenda del popolo Ottawa (10, pp. 26-28)
Orientale
Anche qui, come nel folklore europeo; ci sono testimonianze di donne-cigno (Cfr: Ramayana Vedico).
Polinesiano e Oceanico
Vatea o Avatea, dio del cielo nato
dal fianco destro della madre delle origini Varima-te-takere, con corpo per
metà d'uomo e metà di pesce, tipico delle Isole Cook
Portoghese
M. Savi Lopez in Leggende del Mare, in riferimento al Mar Ionio, parla della fiaba di Nato e Non Veduto, rapito dalle bionde sirene nel loro castello di cristallo (peraltro elemento ricorrente anche nel folklore europeo, anglosassone in generale e anche tipicamente italiano, che potrebbe essere legato alla figura folklorica di Dama Bianca)
Ramayana Vedico
Nel cammino di Rama, le Apsare, etimologicamente legate a Saṃsāra (che indica il mondo fisico, così come le sue manifestazioni, recanti illusioni e debolezza, distacco dall'anima) sono donne cigno probabilmente legate alla capacità di trascinare l'uomo nei piaceri del mondo fisico
Slavo
Le Rusalki (plurale di Rusalka) sono divinità,
spiriti e demoni femminili associati ai fiumi e ai laghi nella mitologia slava.
Caratteristiche e funzioni variano di paese in paese, così come i nomi.
Lungo
il fiume Reno che scorre per chilometri in territorio russo, austriaco e
tedesco, sono chiamate Vile (10, pp. 85-86), diverse dalle Lorelei del Reno
tedesco; si trovano anche nel Danubio e Dniepr.
Le Vile sono anche le sirene dei campi, probabilmente parenti delle Grandi Madri del raccolto che, in effetti, sono connesse alle Sirene, come Demetra e Persefone(Proserpina) e in definitiva Iside Sochit (Madre del campo di grano).
Scandivano e Germanico
Nix, spirito muta-forma delle acque.
Sono simili a draghi, poi tramutati in creature umanoidi; presenti in tutto il folklore nordico e germanico, di natura maschile, al femminile dette Nixie, abitanti dei fiumi, capaci di avverare desideri ma anche di causare sciagure, simili per connotati e attributi alle sirene e alle Nereidi greche.
La madre delle Nixie è una dea del Caos, chiamata Nott dai norreni e Nyx dai greci; entrambi i nomi significato Madre Notte(10, p. 82).
Sia le Nixie che le Nereidi radunano le anime dei morti per condurle agli inferi, sono esseri psicopompi.
Nei racconti norreni v'erano anche le nove figlie del dio della morte e degli oceani Ran, erano le nove gigantesse (come il numero dei nove mondi) e si chiamavano Bylgja(onda), Dufa(strolaga), Hefring(colei che solleva), Kolga(onda), Gjolp(cucciolo), Greip(pinza) e Udr(onda).
Affliggevano i mari del Nord fino all’Irlanda (31. pp. 63-65).
Svizzero
Negli scritti di alchimia del medico svizzero che si faceva chiamare Paracelso (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim) le Ondine (già trattate nella ricerca) figurano come spiriti elementali acquatici
Tedesco
Le Lorelei, le
Ondine e lo Stromkarl, creatura delle cascatelle d'acqua dolce o uomo di fiume.
Ucraina
La sirena Nastasia, per metà dell'anno cavalla acquatica e per metà abitante delle steppe col suo amato Tremsin (10, pp. 34-35)
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Aughisky, cavallo di mare diffuso nelle Highland
Bunyp, mostri acquatici australiani
Cabyll-Ushtey, cavalli di mare dell'Isola di Man
Cthulhu, creatura immaginaria ideata dallo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft, indubbiamente ispirata alle creature mitologiche affini
Each Uisge, il più pericoloso cavallo di mare delle Highland
Kappa, creatura acquatica malvagia giapponese
Kelpie, cavallo marino con criniera spumeggiante di Scozia e Cornovaglia
Kraken, terribile minaccia marina del Nord dell'Atlantico e delle Coste della Norvegia
Nokke, spirito danese delle acque
Squali 'aumakua, nelle antiche Hawaii lo squalo era simbolo per eccellenza di forza e coraggio. Si narrava che alcune famiglie discendessero dagli squali, che potevano anche assumere sembianze di altri animali connessi a questa ricerca come gufi, pesci, lucertole o creature umanoidi. Potevano anche vegliare sugli esseri umani, guidarli, salvarli, possedevano natura ambivalente.
“A volte, canta”.
Le Sirene profumano di addio, creature del Sehnsucht (struggimento, desiderio di desiderare) (1 p. 59).
Sono ciò che prima ancora di
nascere già muore, lasciando chi osserva inerme, dinnanzi a una possibilità
tanto anelata quanto improbabile a dispiegarsi, quella di seguirle laddove mai
si potrebbe giungere, varcando le soglie del loro arcano segreto con coraggio,
oppure, accettando di vederle svanire tra le argentee gocce del meriggio, ladre
di un segreto insondabile, finanche perduto.
Le ho viste cavalcare l'onde verso il largo
Pettinando la bianca chioma dei flutti gonfi
Quando il vento gonfia l'acqua bianca e nera.
Nelle alcove del mare abbiamo languito
Vicino alle Sirene coronate d'alghe rosse e brune
Finché voci umane ci destano, e anneghiamo”.
Anche se l'eroe patriarcale crede di aver vinto le sirene – così, almeno, ci è stato raccontato e ci è dato credere – le Sirene hanno vinto sul tempo poiché, grazie al loro apparente suicidio che, forse, è stato un consapevole inabissarsi, hanno potuto abitare le pagine della eternità. Restino allora oscurate le loro membra muliebri, agli occhi di coloro che non sono destinati ad avvicinarsi ai loro Misteri, ora preservati.
“Un canto segreto, che apriva con ogni parola un abisso,
e invitava con forza a sparirvi dentro”.
Maurice Blanchot, Le Livre à
Venir, 1959, (Cfr: 1 p. 52)
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Note
Bibliografia
(2) Le Sirene Esistono, Storia di un Mito divenuto Simbolo, Fiaba, Realtà, Elissa Piccinini, Ottolibri Edizioni, 2014
(3) Il Codice dell'Anima, James Hillman, Casa Editrice Gli Adelphi, Milano, 2018
(4) Repubblica, X, 620d-e, cfr.(1)
(5) Platone, Fedro, Casa Editrice Economica Laterza, Bari, 2019
(6) Oscure Madri Splendenti, Le Radici del Sacro e delle Religioni, Luciana Percovich, Collana Le Civette di Venexia, 2007 by Venexia
(7) Fate, testo e illustrazioni di Brian Froud e Alan Lee, a cura di David Larkin, Rizzoli, Edizione Originale 1979
(8) Corpus Hermeticum, a cura di Valeria Schiavone; Bur, Rizzoli, classici greci e latini,2016
(9) Psicologia e Alchimia, Carl Gustav Jung, Case Editrice Bollati Boringhieri, Torino, 2017
(10) Il Fantastico Mondo delle Creature dell'Acqua, le doti magiche delle creature acquatiche, le leggende e i miti di cui son protagoniste, le tecniche per evocarle; D.J. Conway, Gruppo Editoriale Armenia S.p.A.m 2005, traduzione di Anna Carbone
(11) Odissea, Omero, Universale Economica Feltrinelli, Grandi Classici, 2014
(12) Streghe in Piemonte, Pagine di Storia e Mistero, Massimo Centini, Priuli e Verlucca, 2010, 2018, Ivrea/Torino
(13) Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Rizzoli, Milano 2007
(14) Igino, Miti, a cura di Giulio Guidorozzi, Adelphi, Milano 2000, p.98
(15) Maurice Blanchot, Il Libro a Venire, trad. italiana di Guido Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino 1969, cfr. (1)
(16) Aurora, Pensieri su Pregiudizi Morali, F. Nietzsche, Gli Adelphi, 1978
(17) Ovidio, Metamorfosi, Libro III, vv. 395-401, trad. italiana di Mario Scaffidi Abbate, Newton Compton, Roma 2013, cfr. (1)
(18) Le Dee Perdute dell'Antica Grecia, a sua volta tratto da E.O. James, The Cult of the Mother Goddess: An Archeological and Documentary Study; Frederick A. Praeger, Inc., New York 1959, p. 147
(19) Franz Kafka, Die Briefe, cit., p. 1081. Cfr. Luciano De Fiore, “Sirene tra Logos e Desiderio”, in La Mente, il Corpo e i loro Enigmi; Saggi di Filosofia, Stamen, Roma 2007, pp. 171 e sgg. In particolare, il paragrafo “Allarmi e Silenzi”, p. 183 (Cfr:1)
(20) Bertolt Brecht, Odysseus und die Sirene, Agniese Grieco cita da Berichtigung alter Mythen, in Bertolt Brecht, Gesammelte Werke, hrsg. Elisabeth Hauptmann, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1967, vol. XI, p. 209.
(21) Era della Roccia Madre è una espressione coniata dall'archeologa dell'immaginario Luisella Veroli, Dal Cosmo alla Cosmesi, la divina seduzione e l'arte del trucco dalla preistoria al futuro, Luisella Vèroli, pref. di Silvia Vegetti Finzi, Iacobelli Editore, 2016, p.47 e pp. 71 - 73
(22) G. Weiker, “Seirenen”, in Ausfuhrliches Lexikon der griechischen und romischen Mythologie, a cura di W. H. Roscher, Teubner, Leipzig, 1884-1937, IV coll. 599-639, cfr. (2 p. 22)
(23) Marco Tullio Cicerone, Il sommo bene e il sommo male, vv. 48-53, a cura di Fabio Demolli, Milano, Bompiani 1992, pp. 307-311, cfr. (1)
(24) La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, pp. 71-85, 1992
(25) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Le Civette di Venexia, 2011, Collana Le Civette, a cura di Luciana Percovich
(26) Magia e Spiritualità Hawaiane, Scott Cunnigham, Età dell'Acquario, Torino 2017
(27) Le Dee e gli Dei dell'Antica Europa, Miti e Immagini del Culto, 6500-3500 a.C.; Marija Gimbutas, Stampa Alternativa, Viterbo, 2016
(28) Antonio Silla, La Fondazione di Partenope; dove si ricerca la vera origine, la Religione, e la Polizia dell'antica città di Napoli, Stamperia Raimondiana, Napoli 1769, cfr. 21, p. 101.
(29) Le Secret de l'Ourse, Marie Cachet, Printed in Great Britan by Amazon, 2018
Sitografia
(b)Kalevala: il passato pagano e il sacro femminino alle origini della mitologia baltofinnica e la progenitrice nei miti artici, ugrofinnici e scandofinni - Ricerca di Biancaspina
(d) www.parcodellavaldorcia.com
(e) www.academia.edu
(f) Vincenzo Pisciuneri, Sapienza Misterica
(g) www.liutprand.it
Supporti e Ringraziamenti
Crediti immagine: La Sirena, William Arthur Breakspeare
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