Le Sirene, Miti e Rivelazioni Alchemiche dalle Origini


Quid sirenes cantare sint solitae.
Che cosa sono solite cantare, le sirene?.
 Svetonio, su Tiberio (Cfr:1 p.69)

Leggete questo saggio, purché siate pronte e pronti a stapparvi le orecchie dalla cera di ciò che, sulle sirene, fino ad ora pensavate di sapere! 
Dopotutto, forse, Ulisse vinse perché le Sirene al suo arrivo tacquero: indignate, per lui in verità mai cantarono...

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Dedico questo saggio a ogni donna che abbia temuto di aver perso la sua voce.
E lo dedico alle Sirene e al loro canto, che fu urlo – straziante – gettato e inghiottito nel silenzio, ora di nuovo in vita.

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Von der Stille, die die ganze Weite
in sich hat und an die Ohren weht,
so als whäre ihre andre Seite
der Gesang, dem keiner widersteht”.
 
“Da quel silenzio che tutto lo spazio
immenso ha in sé e nelle orecchie spira,
quasi fosse la faccia opposta del silenzio
il canto cui nessun uomo resiste.
(Rainer Maria Rilke, L'Isola delle Sirene, Poesie I:1895-1908, a cura di Giuliano Baioni, Einaudi-Gallimard, Torino 19994, pp. 571-573, Cfr: 1)


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Introduzione

Le Fanciulle del Suono

Hanno viaggiato dalle sfere celesti di Platone al deserto biblico, fino al purgatorio di Dante, uguali e mutate, simili fra loro quanto diverse, ma tutte accomunate dall'elemento che è loro proprio: la voce
Quello che le riguarda è un enorme puzzle mitico di racconti e leggende polimorfi (2). 
Che sia canto infinito, stridulo o sibillino richiamo dall'informe mondo sotterraneo, voce celestiale e solenne che giunge dalle stelle o semplice mutezza, in ogni caso è di suono  (e silenzio) che si parla. 
Il demonico musicale (1), il chorus diaboli(N1) accostabile al daimon tipico della letteratura hillmaniana (3), a sua volta ispirato alla saggezza di Socrate/Platone (4)(5). 
La sirena non è infatti soltanto una creatura mitologica e non è nemmeno da confinarsi a materia da fiaba. 
La sirena è quella arcaica presenza occulta che in noi canta, la voce interiore portatrice della verità atavica del mondo e dell'inconscio collettivo. 
In ogni luogo e in ogni tempo le si è descritte in molti modi eppure, le Sirene – Ninfe delle acque – sembrano abbracciarsi inscenando una stessa, unica danza sul pelo dell'acqua di un passato perduto tra i flutti, intriso di un tessuto di memoria palpabile, appena oltre i nostri occhi.
Le sirene possono svelarsi nei luoghi più profondi: inabissate, dimenticate, talvolta ferite, finanche mangiate, per poi essere amate, bandite in quanto streghe, alle quali potrebbero essere assimilate per motivi di facile deduzione: donne-uccello, donne-pesce
Dov'è il confine? 
Le streghe (e la loro assonanza con un certo tipo di uccello notturno) sono probabilmente loro eredi ma, più specificatamente, sono le donne stesse (tutte) ad esserlo. 
Il simbolismo che le riguarda proviene infatti della Grande Madre, che vede nell'elemento acqua e nell'elemento aria (nonché nel suo sembiante aviforme e ittiomorfo) forse, le sue più profonde appartenenze; poiché l'acqua è vita uterina e l'utero cosmico della Dea Madre ne è la onnicomprensiva genitrice. 
La sirena, nella cultura classica, è dipinta come spaventosa, assassina, seduttiva ammaliatrice che attira a sé gli uomini per ingannarli; ma ella è, allargando lo sguardo, incarnazione dell'amor fati e di quel desiderio innato nel cercatore e nella cercatrice (prossimi alla consapevolezza della vacuità dell'esistenza terrena) di ricongiungersi al regno che si trova oltre il velo di Maya, il regno della morte delle certezze, di cui la sirena è viva, eterna, evanescente protagonista, regina indiscussa. 
Forse l'uomo ne ha sempre temuto il canto, poiché è la creatura nella quale si delinea, per eccellenza, il mistero del femminile
Partecipe di due o più nature, nella sirena coesistono aspetti alchemici che trascendono i limiti umani.
Lei è sopra ma è anche sotto, è una ma è plurale: vola alta nel cielo in forma d'uccello, fino alle stelle – ove pare essere nata, secondo alcune ipotesi genealogiche – per poi rigettarsi in mare, dove sparisce nella profondità delle acque salate per dileguarsi (sovente bandita, inascoltata).

“Le Sirene sono demoni del suono che ipnotizza, pietrifica, priva di memoria”. 
Laura Mancini, Il Rovinoso Incanto, Storie di Sirene Antiche, Il Mulino, Bologna, 2005 (pp. 65-72 Cfr: 2)

Avevano voce di giglio, tersa come il cristallo, un canto di miele (2), dolce come il coro di profetiche api (2); sono le Klagefrauen (2) (signore del lamento, in tedesco) suono che esiste nel cielo, nel mare, sulla terra e produce l'armonia delle sfere, si incarna nel sibilo del vento e nel fragore delle onde del mare (2, p.60). 
Il canto è ciò che delle sirene non è mai mutato, al di là di ogni congettura mitologica, letteraria, zoologica e teratologica. 
Nessun essere umano avrebbe mai potuto eguagliare le loro impossibili emanazioni della voce, il loro incanto...

Le Dimore delle Sirene
Dalle Isole alle Pleiadi

Noi siamo sempre esistite, è che tu non ti sei accorto di noi. 
Il Sogno di Polifilo, fig.33, C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, 2017 (pp. 89 - 90)

Omero ne collocava due – tre, secondo alcune traduzioni – sulla terra inverdita, il prato fiorito.
Virgilio le pose sugli scogli – forse nelle magiche isole della Bretagna, forse nella “Ile de La Seine”, dimora delle più antiche Fate della Francia, scatenatrici di violente tempeste.
Un tempo forse vissute, in un gruppo di sei, sul Tempio di Apollo di Pito, nella profetica Delfi – dette Keledones (“cheledónes”) o “Iunghes”, “le Incantatrici” – dove brillavano ricoperte d'oro nel meriggio e d'argento nel cuore della notte, irrorate dalla luce della dea Selene, portando a morte i naviganti.
Il fulmine di Zeus incenerì il tempio, ma loro risorsero, come fenici.
In Apollonio Rodio, nelle Argonautiche (vv.891-894), vivevano sull'Isola detta “Bella Antemoessa” – forse l’Etolia o l'India – uccidendo col canto chiunque vi approdasse.
Ma anche le Isole Ebridi potrebbero essere state una valida dimora delle sirene: antiche e moderne ipotesi sembrano altresì convergere in generale sull'Italia Meridionale.
Lo Stretto di Messina, dopotutto, nella “geografia odissiaca” (più metaforica che reale) nondimeno l'Isola di Circe, si trovava nelle fauci dei “mostri” marini Scilla e Cariddi.
Un'altra collocazione plausibile è Babilonia – le Sirene sono compagne di Lilith – che si impone come loro reame nella geografia dei testi apocrifi.
Al di là di tutto, sono quasi tutti d'accordo nell'affermare che le sirene siano giunte da un mondo altro. Secondo Esiodo, in effetti, sarebbero figlie di Sterope, una delle sette sorelle Pleiadi, che un tempo erano fanciulle, trasformate da Zeus contro la brama ostinata del gigante Orione, che ne era ossessionato – un mito ricorrente anche tra gli aborigeni d’oltreoceano, dove figurano come sette sorelle in fuga dal guerriero patriarcale, mettendosi in salvo a vicenda poiché legate da un amore indissolubile, come ripreso nella famosa versione originale della fiaba della Sirenetta di Hans Christian Andersen. Vennero dunque concepite come costellazione, apparendo nella prima metà del mese di maggio – segnando la bella stagione – e guidando i marinai egizi e cananei della prima storia israelita con la loro immensa luce, che indicava la rotta da seguire.
Le sirene popolano altresì come astri la filosofia di Platone e il pensiero di neoplatonici e neopitagorici sino ai razionalisti.
Nel Timeo (IV sec. a.C.), sia le Parche filatrici che le Sirene figurano nella schiera di donne che lavorano, filano, reggono, sorvegliano il destino “intonando tutto ciò che accade”. Tra le pagine del celebre filosofo greco, le Parche cantano sulla armonia delle Sirene, che hanno una “posizione elevatissima” – simile a quella degli angeli, i quali, a differenza delle sirene, con le quali purtuttavia condividono un consistente “corredo originario”, hanno avuto un destino più fortunato poiché non hanno dovuto nascondersi, giustificare la loro stessa esistenza a chi per secoli ha cercato di vivisezionarla.
Nello specifico le Sirene, nel Mito di Er, sono otto, partecipi della armonia celeste e della “serenità dell'oblio”: mentre Anananke, (dea Necessità); faceva ruotare otto cerchi concentrici, ossia gli otto cieli antichi, sopra ciascuno era accovacciata una sirena.
Ognuna emetteva una nota fissa e tutte e otto insieme formavano l'armonia del cosmo.
Per il filosofo neoplatonico Giamblico le sirene erano collocate nella tetrade armonica nell'Oracolo di Delfi.
La tetrade, per i pitagorici, era una arcana costituzione numerica che sprigionava l'armonia intera della musica.
Il mito delle “sirene celesti” potrebbe avere origine altresì nella prima storia israelita, dove i marinai cananei/fenici usavano sempre l'aspetto delle Pleiadi come orientamento per l'inizio dell'estate, la stagione dei commerci nel Mediterraneo.
Questa pratica venne in effetti portata avanti dai Greci, Romani e altri fino alla adozione del vapore, dove i motori sostituirono il vento come fonte primaria di energia.
Se l’ipotesi secondo cui la dea della Siria ugaritica Asherah – una forma della semitica (fenicia/cananea) Astarte/Afrodite – sarebbe associata alle Pleiadi fosse certa, ella, così come la sirena, sarebbe una versione cananea di Sopdet, la stella egizia, dea associata alla costellazione Sirio, la cui elevazione eliaca indicava l'inizio della stagione delle inondazioni ogni anno. Questa connessione tra Asherah e le Pleiadi converge saldamente Asherah all'ittita Ishara, che era la Madre dei Sebitti, le sette stelle. Ishara era, d’altra parte, la parola semita per dire “trattato” e come tale era la dea dei giuramenti.
Forse è per questo che rivolgiamo i nostri giuramenti alle stelle, dalle quali ci sentiamo guidate e spinte da una fiducia atavica ad affidarci a loro?
Il testo più antico sopravvissuto di Ishara proviene dalle rovine dell'era sumera dell'Elba nel nord-ovest della Siria, tuttavia, fu successivamente adottato dagli Hurriti e poi dagli Ittiti come Ishara, dagli Accadi come Ashara e dagli Ugaritici cananei come Ushara. Anche l'Isola di Avalon del ciclo bretone e arturiano, idealmente, potrebbe avere un lontano sostrato mediterraneo, sia per analogie linguistiche che culturali.
Avalon, delucida Luciana Percovich in “Oscure Madri Splendenti” – la famigerata “insula promorum” – deriva da “aval” che in bretone significa mela.
Il suo nome si trovava addirittura come toponimo della Campania – matria indiscussa della “genia canora delle sirene” – detta “Abella”, nota per le sue produzioni di mele (in Virgilio, Eneide), che richiama a sua volta la forma “Apellon” – Creta, Sicilia – accanto ad “Apollon”. In effetti, ogni isola abitata da donne, “topos” evocativo di un mito universale, potrebbe essere stata “la” Isola delle Sirene, intese come voci sommerse delle antiche donne di magia, sacerdotesse, di cui queste creature sono espressione, dato che potrebbero essere una estensione delle madri nutrici e galattofore della preistoria, le madri uccello e in generale le madri ctonie tipiche della Europa Antica illustrata da Marija Gimbutas.
Le stesse Madonne del Latte (Virgo Lactans) recano il corredo delle primitive sirene, “colte” nell’atto di allattare i loro piccoli nelle opere di artisti medievali – ad esempio, nel Soffitto dei Semidei del Pinturicchio del 1490, collocato nel Palazzo dei Penitenzieri di Roma – come nel folklore e in varie “epifanie” a cavallo tra realtà e fantasia pervenute da diari di viaggiatori alla ricerca di nuovi mondi…
Il tema delle Isole dei Beati, o “Isole Fortunate”, che si trovano nel Mare Occidentale, oltre i luoghi dove tramonta il sole, è uno dei più frequenti che ricorrono nella mitologia europea e oltreoceano: siano esse dimore di fate, eroi o defunti, certo è che la coscienza collettiva le ha adattate alle proprie esigenze o evidenze metereologiche e cosmogoniche. Le Sirene – mi piace dirlo – sono figlie del tempo e dello spazio dove sono state concepite, pensate, idealizzate, nella ricerca del simile o nel desiderio del “diverso”, esotico, che appartenesse al “mondo altro” tanto anelato, e spesso mai trovato.
Ne “Il Ramo d’Oro” di James G. Frazer si legge che l'astronomo Bailey azzardò l'ipotesi per cui il Culto della Luce ebbe origine nelle regioni artiche – dato che per metà dell'anno erano al buio e la luce deve aver ricoperto un ruolo fondamentale in chiave di sopravvivenza – le cui mitologie, guarda caso, secondo gli studi riportati dal celebre Elias Lönnrot; hanno un cuore asiatico, e quindi di “reminiscenza sirenica”, per azzardare un termine.
Ci incuriosisce che uno dei nomi con cui gli irlandesi hanno chiamato queste isole è “Tirfo Thuinn”, “La Terra Sotto Le Onde”.
La famigerata Avalon – fraintesa da molte e molti e “inflazionata” – è semplicemente la più famosa e ricorrente di esse, ma non la sola né l'unica possibile.

“Tale regno può svelarsi senza preavviso in qualsiasi luogo, luminoso e scintillante, e sparire con la stessa rapidità. Le sue frontiere di crepuscolo, foschia e illusione ci circondano e, come una marea che si ritira, possono momentaneamente svelarci la Terra delle Fate prima di chiudersi nascondendola di nuovo” (7).

Le evidenti allusioni al luminoso e allo “scintillante”, nonché alla metafora della marea e all’elemento crepuscolare, non fanno che ricordare un legame con le sirene, i loro epiteti e tratti, nonché le loro dimore ambivalenti: creature alchemiche per eccellenza, protagoniste della famigerata “coniunctio oppositurm” junghiana, dove le sirene si collocano in quanto “axis mundi” in grado di connettere le forze ctonie a quelle celesti: argento e oro, ombra e luce, nella sconfinata doppiezza che le riguarda, soprattutto nelle rappresentazioni bifide – tipiche della manualistica medievale – che fanno di loro le creature “di confine” e “completezza aurea” per eccellenza, esattamente come le stelle, le sette sorelle che, talvolta, per sperimentare il mondo umano hanno percorso un ponte fino alla terra…
Del resto, la corda d’oro da cui discende Emmu – la madre del cielo nonché Orsa Maggiore, tipica del mito artico/ balto-finnico – rappresenta il femminile sacro che talvolta si disvela, irrorando della sua luce poche e pochi fortunati capaci di cogliere quel filo magico che tesse la trama della terra a quella del cielo.
Anche l'Isola di Pohjola del mito baltofinnico – alla quale si ha provato a donare una collocazione geografica, dato che per certi versi sembra avere connotati di precisi luoghi che includono attualmente territori della Lapponia e dell'antico Kainuu – è più ovvio pensarla come una terra immaginaria, ma non per questo irreale: identificata come il centro della terra del Nord, nonché la Regione Polare, la terra degli sciamani Sami, che nasce etimologicamente da “Pohja” che significa fondamento, fondo o base (forse assimilabile a radice) e da origine alla parola “Pohjios” che significa Nord.
Nella prefazione al Nuovo Kalevala, Lönnrot definì il popolo di Pohjola come un “gruppo separato di finni”. Quella isola era un gelido villaggio noto come “Kylmakyla” e “terra divoratrice dei maschi”, detta “Miestensyoja”, chiaro segno del fatto che, in tempi remoti e insondabili, le donne/sciamane finniche appartenevano a una sorta di casta divina, elevata – come le sirene elevatissime di Platone – dalla terra profana degli uomini, che era invece la terra di Kaleva.
Tale terra viene descritta come una isola “sospesa”, dove l'antica voce della Grande Madre forse può ancora esprimersi, in segreto, udita e scorta soltanto da pochi valorosi eroi capaci di giungervi e varcarla con dignità – alla ricerca delle fanciulle più belle e luminose, si racconta – senza recare offesa alla Grande Signora delle donne.
Secondo le leggende, vi si poteva accedere soltanto con incantesimi/canti chiamati “runot” che, con tutta probabilità, erano conosciuti e potevano essere pronunciati solo da donne. Tracce della famigerata landa delle donne magiche, si trovavano anche in Erodoto, in Ippocrate che localizza una Terra Hyperborea incognita sotto l'Orsa Maggiore o Stella Polare, oltre i Monti Rifei; in Plinio, che narra di un luogo detto “ges Kleithron”, “serratura della terra”, oltre che nelle tradizioni di molti popoli eurasiatici che narrano della medesima “terra nordica di difficile accesso”.
Un'altra plausibile dimora femminile nel “mitico nord stellare” potrebbe essere quella della giapponese Amaterasu – similmente al “Fensalir”, “la sala delle profondità marine” abitata da Frigga/Freya, anche detta “Syr” o “Mardoll” (splendore del mare) presso alcune tribù germaniche, con indubbio legame etimologico con le sirene, considerate le sue conclamate origini asiatiche pre-eddiche.
Nel Fensalir, Frigg vive con le sue nove ancelle tessitrici, che tessono i destini dei mortali.
Non mancano dee sumere connesse alla storia delle sirene e sappiamo che nei loro racconti delle origini “la regalità discese dal cielo”, prova un testo in cuneiforme composto tra il 2100 e il 1800 a.C., che aveva lo scopo di gettare le basi dell'unificazione del territorio di Sumer, sito nella Mesopotamia meridionale che, peraltro, risulta essere una culla di dee primitive alla base della figura della sirena.

“Tutto questo significa che, in sostanza, le Sirene erano un collegio di nove sacerdotesse lunari orgiastiche, custodi di un santuario oracolare insulare”.  Robert Graves, La Dea Bianca, p.482

Studio Etimologico

Sirena

La parola Sirena deriva dal tardo latino “sirena”, nonché dal greco “seiren”, plurale seirenes.
“Les Sirènese”, le Sirene. Il singolare tedesco “Sirene”, l'inglese “siren”, lo spagnolo “sirena”, il portoghese “sereia”.
Sono diverse le ipotesi formulate su quale sia la più autentica provenienza del termine o, per meglio dire, tutte le etimologie possibili, che sembrano in qualche modo “contaminarsi” fra loro. Affacciarsi alle Sirene, significa accettare una verità che sta nel mezzo – loro stesse sono creature di medianità e delicata incertezza. Tutte contengono altresì descrizioni del paesaggio visivo, acustico, naturale, umano in cui la sirena fa la sua comparsa (1, pp.27 - 34).
Esichio di Alessandria menziona un tipo di gufo detto sirena (24, p.482), in effetti, Sirena potrebbe anche derivare dal greco “syrizo”, che significa zufolare, fischiare, o dal sostantivo “seira”, che significa corda, laccio, il che non sembra casuale, poiché la sirena è anche colei che avvince, lega (1, pp.27 - 34).
Robert Graves le chiama “coloro che prendono al laccio” (24, p. 482)
Kurt Latte, filologo tedesco, cita l'aggettivo “seirios”, che significa letteralmente “incandescente”, evocando probabilmente il meriggio.
Tale incandescenza evoca una citazione sita in Aurora Consurgens (pt.2, in “Artis auriferae”, vol.1, p.212) che recita “Ignis noster est Aqua”, “la nostra Acqua è Fuoco”, in riferimento agli elementi alchemici necessari alla forgiatura della famigerata pietra filosofale (interiore).
Nelle sirene si evince allorché una natura duale, una di fuoco – i greci le associavano al sole del mezzogiorno, ora in cui intonavano il loro canto – e una acquatica – abitatrici di isole, mari od aree lacustri.
Un incontro fra forze, “come sopra così sotto” (8) che vede, nella Sirena, la perfetta coninunctio oppositorum(9) cui alchimisti e occultisti hanno spesse volte anelato, per lo più fraintendendone l'enigma profondo…
L'etimologia più condivisa per la nostra amata Sirena sembra essere, a ogni modo, il radicale semitico “Sir”, nonché la parola “sirein”, che letteralmente si traduce con magico canto o incantamento (1, pp.27 - 34).
“In-canto”, è in effetti il “canto che giunge dall'interno”, da una profondità insondata.
In Giambattista Vico, precisamente nella Scienza Nuova, si fa riferimento alle sirene in quanto “Sir”, citando pertinentemente la Ninfa Siringa di Ovidio e attribuendole la stessa provenienza, collegandole entrambe ai versi con cui comunicavano Siri e Assiri (1, pp.27 - 34).

Mermaid

In tedesco le si possono chiamare “Meerfrauen”, nonché signore del mare.
I termini inglesi sono Merfolk, Mermaid e Merman, che risalgono alla radice indoeuropea mori- o mari-, che significa “mare”.
Da questa antica radice il tedesco ha derivato la parola Meer, mare; il latino mas, maris, l'inglese mere (lago, mare) e il francese mer (10, p. 51).
Dette anche “Maremaind” in Danimarca, “Meriminni” in Germania, mentre in Francia sono conosciute anche come “Morgans” o “Morgens”.
Morgen in tedesco significa “mattino”: forse vi è una relazione con Venere/Lucifero, con la Stella del Mattino, date le numerose allusioni mitologiche alle sirene in quanto stelle portatrici di luce e al loro legame con Venere/Afrodite e con ciò che risplende; del resto, non mancano ipotesi che le vogliono connesse sia alle Pleiadi, agli Astri, che alle mitiche Isole Britanniche…
Anche “Morgana”, figura magica di rilievo nel ciclo arturiano, deriva dal gallese antico e significa “cerchio del mare”. Il nome è composto dalle parole “mor” (mare) e “cant” (cerchio) (10).
In India sono conosciute come “Matsyanaris” (10, p.52), ninfe con coda di pesce. Un'altra curiosità vuole che “Mardoll”, che significa “splendore del mare”, sia anche uno degli epiteti della dea pre-eddica Freya, così chiamata presso alcune tribù germaniche (6, p.195).

Meretrice

Forse già ipotizzato da Kenneth Grant (Cfr. S1 ), la parola meretrice, derivata dal latino meretrix ed a sua volta da merere ossia guadagnare; significa quindi colei che guadagna;  potrebbe essere intimamente collegata alla stessa radice indoeuropea mori/mari sopraddetta, ed essere dunque a stretto contatto con le signore del mare; tanto è vero che nel corso di questa ricerca si scopriranno dee protostoriche di origine mesopotamica e non solo, legate alle sirene, per cui venivano svolti atti sessuali sacri per la comunione con la Grande Madre (in un secondo momento  concepiti come atti di prostituzione dal patriarcato romano prima e giudaico-cristiano dopo; che non si distanziano poi di molto, rispetto al ruolo di cui hanno  privato il femminile mitico, diverso dal femminile mito-logico riscritto dagli uomini). Inoltre, se si considera l'attribuzione patristica e medievale di meretrice o donna ingannatrice e infida che è stata cucita sulla figura della sirena (identificandola con prostituita, nonché qualsiasi donna che fosse indipendente dalla cinta del matrimonio) il senso di tutto ciò diviene più ampio e il cerchio si chiude.

“Secundum veritatem meretrices fuerunt”.
In verità esse – le sirene – furono meretrici.
Servio, Commento All’Eneide (cfr. 2, p.41)

Maria
Madre, Stella e Sirena

Maria è la forma latina del greco biblico Μαρία – María – a sua volta giunto dall'ebraico Miryam. Mutuato anche nel greco Mariam è poi giunto all’italiano Miriam
La teoria più plausibile è che Maria possa avere una origine egizia, ossia da “mry” o “mr” che significano “amata” e “amore”. Ed è in effetti alla egizia dea Iside, nel suo carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine Maria deve il suo bell’epiteto di «Stella Maris». Qualcuno ha interpretato Maria con il significato di “mare amaro”, nome composto da mar “amaro” e yam “mare”. Tale teoria venne riportata in un'opera di San Girolamo e tratta dall'Onomastica di Origene e Filone, ma pare sia stata esclusa per la sua inconcretezza. 
Altre interpretazioni basate di nuovo su termini ebraici, fanno derivare Maria da Mara – che significa “signora” o “principessa” – e da mari – “forte” o “che governa” – da Marah – “desiderata per figlia” (di etimologia incerta) o da “mirra” che verrebbe da mor, oppure “mirra del mare” – da mor e yam – “signora del mare” – da mari e yam – e “goccia del mare” – da mar e yam. 
Quest'ultima ipotesi fu trascritta anche da San Girolamo ed era presente in un manoscritto di Bamberga di fine XIX secolo come “stilla maris”, come testimoniato da diversi studiosi quali Varrone, Quintiliano, Aulo Gellio
Quando i latini scambiarono nelle trascrizioni dall’ebraico molte “i“ con le “e”, l'espressione si tramutò in “stella maris”, “stella del mare”, «che resta una delle interpretazioni più diffuse del nome ed è tuttora uno dei titoli della Madonna». 
In effetti, si legge in Frazer, ne Il Ramo d’Oro (p.461): “nell’arte la figura di Iside con bimbo Oro al seno somiglia talmente alla Madonna col Bambino che qualche volta ha ricevuto l’adorazione di inconsapevoli cristiani”. 
Prendendo in considerazione altresì i seguenti punti, si potrebbe azzardare ad affermare una verità altra e più profonda: molte iconografie medievali e alchemiche delle sirene le ritraggono nell'atto di allattare e le sirene sono a indicare le correnti di potere sotterranee individuate dagli Etruschi prima, dai Celti poi sul nostro territorio su capitelli nelle pievi  e chiese di tutta Italia e Europa. Secondo Douglas N. , in effetti, ne La Terra delle Sirene (p.12) si legge “le Madonne sono «tutte» antiche reincarnazioni di sirene, regine del mare con le loro corone scintillanti in capo” e nel retaggio della egizia Iside, nondimeno la Madonna Nera; c'è lo strascico di “Sopdet”, la “stella guida” degli egiziani associata a Sirio (in Frazer  Iside è anche ricordata  come «Sochit» o «Sochet» che vuol dire campo di grano).
Come già visto, Iside Sopdet è assimilabile alla Dea stella Asherah dei marinai cananei vista nel paragrafo sulla dimora delle sirene e conosciuta e venerata con molti nomi in tutta la culla asiatica; portata nel Mediterraneo per via dei traffici di scambio e quindi per diffusionismo.
Essendo le dimore delle sirene (lo abbiamo visto) fra le altre, sono proprio «le stelle», le famigerate Pleiadi da cui sarebbero giunte come figlie di Sterope, secondo Esiodo fra gli altri, o dove, al contrario, si sarebbero nascoste, secondo altre versioni di un mito millenario che interessa non solo l’Europa ma anche quelli aborigeni oltreoceano; e considerando che oltre le Madonne della campagna (quali del latte, della neve e delle grazie) v’è il volto della nutrice greca primitiva per eccellenza, «Demetra», che a sua volta ha radici nel mito di  Iside «del campo di grano» e «stella maris»,  tutto assume un senso ancora più ampio. 
Si confermano cioè le intuizioni che hanno spinto L'Antro di Claudia nella ricerca: la sirena è stella, «stella guida»; ma è anche Madre (Stella Maris, Maria, Madre e vergine per eccellenza); Principessa/Fanciulla/Regina/ «Vergine del mare», lo abbiamo visto in Mer-maid; ed è anche – come Iside, assimilata a Cerere nel culto dei contadini primitivi di tutta l’Europa, nondimeno Demetra/Persefone – «madre dei campi» e del raccolto. 
Ciò è provato sia dal fatto che le sirene rapaci, con zampe d’uccello, nel mito greco e romano sono accostate a Persefone/Proserpina – con la quale le sirene, negli scritti di Nicolas Flamel, condividerebbero la dimora del prato fiorito ai piedi del Monte Etna e che aiutano a sfuggire le ire del dio Plutone/Ade – sia dalla eccezionale congruenza tra l’ambiente della campagna e del raccolto e la “sirena”.
In questo dà indicazioni importanti un mito slavo di reminiscenza primitiva, che ho scoperto per caso, dove esistono tutt’oggi le leggende delle “sirene dei campi”, che sembrerebbero la prova di cui avevo bisogno per definire i tratti di un incredibile ed esaustivo, quanto inusuale ritratto dove Madre che allatta, Stella Guida/Iside/Cerere; Demetra e la sirena «coesisterebbero in una unica incredibile Madre nutrice, stella e sirena»; che a questo punto potremmo assimilare alla Dea Bianca di Robert Graves... 
Nelle usanze contadine slave (eredi e partecipi dei medesimi culti del fuoco e della luce dei contadini primitivi del resto dell’Europa, che è possibile conoscere nella ricerca che trovate qui, La Dama Bianca, L'Antico Culto della Luce e Le Vere Origini del Natale e dell'Epifania) esistono del resto delle corrispettive figure materne del grano, nonché “lo spirito del covone” che come nell’Europa occidentale veniva fino agli anni Sessanta ancora “intrappolato” nelle bamboline d'orzo o grano, che poi sarebbero state bruciate nel focolare durante le Dodici Notti; simbolo ed esorcizzazione della “Baba” dei campi, che aiutavano a propiziare con nuovi abbondanti raccolti. 
Avendo la fortuna di conoscere tante donne e, ognuna appartenente a tradizioni od origini diverse, per evitare illazioni; mi sono confrontata con la ricercatrice Nataŝa Cvijanović, secondo la quale le “sirene dei campi” citate poc'anzi in relazione a Demetra; potrebbero essere identificate con le “Vile” (non manca evidenza nella mia ricerca delle cosiddette sirene delle foreste, fra l’altro, sempre di tradizione slava; diverse dalle più conosciute Rusalki, di cui trovate notizie in calce alla ricerca).

“Ne deduco che le Sirene sono le stelle del mare e le Stelle (compreso il Sole del mezzogiorno, orario in cui intonano i loro canti) sono le sirene del cielo. 
Forse, protagoniste della forma più primitiva di rito femminile, quello del «rispecchiamento»; per parafrasare Luisella Veroli, archeologa dell'immaginario”. 
Claudia Simone

Genealogia  e Linguaggio delle Sirene tra Eros e Thanatos
Grecia Classica
Nel Secondo Inno Omerico

Premessa: Omero non precisò mai l'aspetto fisico delle sue due sirene, ma in una copia risalente all'ultima traduzione dell'Odissea, vennero descritte come donne uccello. 
Ciò probabilmente corrisponde alla profonda influenza che il mito orientale ebbe sulla Grecia. Del resto, come enunciato nella ricerca intitolata Il vero mito di Demetra e Persefone e cenni sulle Madri dell'assolato campo biondo fino alla parentela con le Sirene; la mitologia greca risentì molto dei Misteri di Iside, finanche, secondo Diodoro, vennero cambiati solo i nomi... Una delle spiegazioni genealogiche le vuole giovani Ninfe, trasformate in uccelli dall'Ira di Demetra (simili alle arpie). 
In questo contesto si assiste al brutale ratto di Persefone a opera di Ade e al conseguente dolore implacabile della madre Demetra, dipinta nella mitologia greca come una megera vendicativa e crudele, ma scavando nel mito primitivo, precedente la mito-logia patriarcale, si scopre un racconto del tutto diverso, dove Demetra, straziata dal dolore per la scelta della figlia di scendere nel regno infero a guidare le anime dei defunti con la sua fiaccola, vagherebbe frigida e addolorata per metà dell'anno gettando l'inverno sulla terra, senza per questo diventare perfida o vendicativa. 
Secondo una personale interpretazione e rispetto ai tratti delle sirene finora disvelati, in questo contesto, potrebbero essere state mira di una degenerazione del loro sembiante che potrebbe aver assimilato le sirene alle anime infere figuranti nella narrazione originaria della discesa di Persefone nell'Oltretomba.
Dopotutto, le sirene sono oscure messaggere di morte, Seelenvogel, ossia “uccelli dell'anima”. Le sirene greche erano infatti simili alle spaventose Lamie o alle Empuse, vampire sanguinarie della tradizione greca, assimilabili al sacro femminino infero e orrorifico quale quello della Dea Ecate o della Lilith...

“Vieni, celebrato Odisseo, grande gloria degli Achei, noi conosciamo tutto ciò che avviene sulla fertile terra”. 
Odissea, 12, vv. 158-200

Qui ossa putride tutt'intorno all'isola verdeggiante delle due sirene, avrebbero lasciato intendere la loro sete di morte.
Le sirene sarebbero in questa chiave di lettura, Eden del sapere, recanti la stessa falsa promessa del serpente biblico(2), peraltro creatura ctonia, una delle forme di dee preistoriche più significative, intimamente connessa alle sirene, come delucidato nei contesti sopra menzionati.

Odissea
L'Incontro con le Sirene, Ligure Aoide e Phtongos

Premesso che, secondo quanto illustrato ne La Dea Bianca di Robert Graves (cfr. 24 p.482) Odisseo/Ulisse altro non sarebbe che una controparte di Crono; è nel Libro XII (vv. 184-194) dell'Odissea di Omero (11), che l'incontro di Ulisse con le Sirene, che stanno adagiate sul prato, viene descritto. 
Ed è nella loro voce che risiede il loro limpido incanto, detto “ligure aoide”, ossia il limpido canto dell'aedo, l'antico cantore greco (1). 
“Intorno è un mucchio di ossa di uomini putridi, con la pelle che raggrinza” ma Ulisse, messo in guardia dalla Maga Circe, comprese di dover utilizzare uno stratagemma per evitare di venire avvinto dal loro canto che Omero chiama anche phtongos, che secondo la filologia starebbe a indicare una emissione di voce inarticolata, come un grido di guerra che genera terrore e sgomento (1), un richiamo che giunge da un abisso di morte. 
Si tratta dunque di un suono inesprimibile da una sola voce, un intonare di carattere prelinguistico (1), ritmico, non melodico (come il suono di un tamburo, forse).
Simile al suono prodotto dall' auliskos, piccolo strumento a fiato con cui Pindaro nel secondo partenio tenta di imitare il kompos, nonché lo “strepitio da sirena” (1). 
Nell'Antologia Palatina si parla invece di lalos, termine che indica un rumore continuo e monotono, simile al gorgogliare di una cascata o al frinire di una cicala o alla lallazione dei neonati. 
Si tratta dunque di un suono, come detto, prelinguistico, che precede e supera la parola e di cui le sirene sono detentrici. 
La voce delle sirene greche è dunque un suono diffuso che non utilizza le parole, ma non significa che non ci parli (1).
Ovidio nelle Metamorfosi (che tracciano alcuni epiteti dispregiativi come del resto fece Orazio) narra che invece sono state le Ninfe stesse a chiedere agli dei di concedere loro le ali, affinché potessero volare sopra al mare per ritrovare la loro compagna scomparsa, Proserpina, la Persefone latina. 
Sofocle le definisce korai (forse in relazione all'etimologia di Kore, epiteto di Persefone in quanto significa fanciulla). 
Euripide le chiama Parthènoi, nonché le vergini, in relazione alla etimologia di Parthènope (colei che ha fattezze di una vergine) una delle sirene ammaliatrici che si sarebbe suicidata per l'insensibilità di Ulisse al suo canto e a quello delle sorelle, Ligea e Leucosia
In entrambi i casi le sirene figurano come messaggere del lutto, compagne di dolore
Anche Elena di Troia si rivolge alle sirene in Euripide, quando è prigioniera ed esiliata in Egitto presso Teoclimeno. 
Quando viene a sapere delle sventure che stanno avvenendo in patria, il coro di prigioniere greche descrive il pianto di Elena come uno strazio di disarmoniche strida (1). 
Il verbo stridere, deriva dal latino strix ed è intimamente collegato allo stridere degli uccelli notturni, nonché alle Streghe, anche se l'etimologia è ancora incerta (12). 
L'infausto destino toccato alle donne accusate di stregoneria, nonché alle sirene, a ogni modo, sembra soppesato da una legge karmica, da una giustizia naturale a cui chiunque, dal momento che sceglie di non rispettare la sacralità delle creature della Grande Madre oscura, è destinato: l'incontro con una rappresentante di questo popolo mostruoso raramente resta impunito. 
Gli uomini che hanno tentato di possedere o anche solo di inseguire una sirena, sono andati in contro ad un fato micidiale. 
Persino in Dante, nel Purgatorio, Canto XIX (Cfr:1) le Sirene sono collocate come creature di mezzo, figure del peccato che ammaliano e corrompono e, anche qui, poste in antitesi della angelica e apollinea Beatrice. Dante le incontra sul far dell'alba, dove la creatura balba, balbuziente e gobba si trasforma in un roseo essere aggraziato per sedurlo (anche se egli verrà salvato dalla grazia (2 p.50)).
Secondo Servio la madre delle sirene era Calliope, poiché era la musa con la voce più bella. secondo Plinio il Vecchio le sirene erano le creature antropofaghe, riprese poi dalla manualistica medievale, dove emergono anche nei racconti sulla meravigliosa India. 
Per il poeta greco antico Apollonio Rodio, nelle Argonautiche, erano figlie di Tersicore
Anche Igino (14) diede la colpa a una Demetra definita iraconda: riteneva che le Sirene fossero figlie della Ninfa Melpomene e del fiume Acheloo e che, errando alla ricerca della scomparsa Proserpina, si imbatterono nella terra di Apollo, e fu lì che vennero trasformate in uccelli per volontà di Cerere (Demetra), come punizione per non aver salvato Proserpina. 
Fu loro preannunciato che solo se un marinaio non fosse rimasto lambito dal loro canto, e fosse passato oltre la loro isola, sarebbero potute sopravvivere. Quell'uomo fu Ulisse, e quel luogo che sorge fra Sicilia e Italia si chiama Sirenide, poiché da esse prese il suo nome. Eustazio diede la colpa ad Afrodite, dato che le sirene erano pura sterilità, rifiutavano l'amore maschile, non erano soggette al dono della procreazione della dea cipride(2). 
Secondo Luciano nacquero dal sangue delle corna del fiume Acheloo che gocciolò nel mare quando Eracle gliele strappò. 
Secondo Apollodoro, mitografo del I sec. postumo agli Alessandrini, il padre era Acheloo e la madre Melpomene, musa ispiratrice della tragedia. 
Per Sofocle erano figlie di Forco messaggere del regno infero, esseri alati e psicopompi a cavallo tra Eros e Thanatos, alla stregua di Caronte; traghettatrici tra questo e l'altro mondo...
Per Euripide, infine, erano vergini alate, creature che contaminarono anche il Romanticismo Tedesco.

La Voce

“Estinguere la volontà in chi ascolta, è questo che fanno le sirene”.
Agnese Grieco, Atlante delle Sirene

Ma la voce delle sirene è anche nenia, canto sciamanico, rituale, cadenziato, composto di suoni reiterati e prolungati (1) che crea in chi ascolta uno stato ipnotico, rapendone la coscienza ed elevandolo ad altro stato di percezione. 
Il canto delle Sirene è quindi un ponte per un mondo altro. 
Le voci sciamaniche sono, probabilmente, ciò che delle sirene è rimasto
La voce delle Sirene che è anche la voce di tutte le donne che, danzando in sintonia e con le dita intrecciate sul pelo dell'acqua, vivificano il suono del tamburo che proviene dal magma della terra.

Il Canto che mai soddisfa: Eco e Siringa
Vuoto, Eco e Abbandono

Secondo Maurice Blanchot, il canto delle sirene era un canto che non soddisfa chi ascolta, poiché lascerebbe appena intendere le sorgenti di felicità da cui proviene (15), una sorta di canto ibrido, un accennare alla natura altra, intangibile, segreta. 
In un certo qual modo le sirene sono puro adesso, è inutile sfidarne l'ascolto pensando di poterlo protrarre in qualcosa di futuro, stabile
Con le sirene va abbandonata ogni aspettativa, permettendo loro di esprimersi, qui e ora, probabilmente nell'unico attimo in cui è dato sentirle poiché, con tutta probabilità, spariranno prima ancora che ci si renda conto di averle ascoltate, gettando l'altro nella vacuità dell'esistenza, in un eterno. inguaribile abbandono. 
Ispirazione, dunque, attimo che vola nell'immaginario della mente restituendosi in breve a se stesso, un lampo di luce nel buio della notte, loro sono le sirene. 
Racconta Blanchot: “Le sirene sono la promessa, mai menzognera, di una, impossibile, pienezza a venire. Quella delle Sirene è la storia di una voce che non dice, semai mostra all’infinito dove andare” (15). 
Nella visione dell'autore le sirene sono tutt'altro che ingannatrici, piuttosto conducono i naviganti a quella meta che è abisso; fatto di confini pericolosamente permeabili tra sensibile, reale e immaginario (15). 
Forse fu per questo che le sirene sparirono, poiché riconobbero che gli esseri umani non erano ancora pronti a nuotare con loro in quell'abisso, così tremendamente pervaso di verità, armonia e rivelazione, potente antidoto acquatico e femminile ai mali del mondo, che gli uomini, si sa, hanno ampiamente rifiutato.  
Le sirene sono anche le possibilità inenarrate, regno del potenziale, che a primo impatto potrebbe sembrare incompleto (un difetto nel canto che tuttavia lo rende unico (15))
In un certo senso ci troviamo di fronte al tentativo di confinare il genere femminile a ciò che è ctonio, potenziale, incompleto, difettoso e per diretta conseguenza sbagliato. 
Le sirene sono infatti le donne viste e descritte dallo sguardo degli uomini. 
Ad esempio la Ninfa Eco, costretta nel mito patriarcale a riascoltare infinitamente le ultime parole pronunciate prima di essere trasformata in pietra da Era poiché troppo ciarliera, non potrà più parlare, costretta a quella impossibilità di esprimersi di cui ci rende partecipi anche Friedrich Nietzsche ne l’Aurora (16). 
Così dice Ovidio, Eco si nasconde nei boschi e non si vede su nessun monte, ma sta dappertutto, dovunque, ciò che di lei vive è il suono (17).
Anche la Ninfa Sir-inga, è collegata etimologicamente al canto siriaco, alla musica, al suono, ed è infatti nelle Metamorfosi di Ovidio che si fa trasformare dalle sue sorelle in un ciuffo di canne piuttosto che cedere alle lusinghe di Pan che, accostando le canne alla bocca; farà nascere uno strumento da cui emanerà un meraviglioso suono, detto ancor oggi flauto di Pan proprio a causa del canto della ninfa intrappolato al suo interno. 
Secondo Hélène Cixous(Cfr: 1) (icona del pensiero femminile, che propone una visione della musica, del suono, del canto e della voce) anche in un uomo la voce che canta è donna. 
C'è  un senso di lei, nella consistenza della voce.
In questo contesto, dunque, il canto sirenico (che precede e trascende la parola) si delinea come bacino del femminile, mentre il logos starebbe a simboleggiare il potere del maschile, il compiuto che tenta di avere la meglio sull'incompiuto, sulla evanescenza del sogno. 
A ogni modo, questo è solo un altro tentativo molto in voga di confinare la donna/sirena a un lato delle due polarità, dimentiche e dimentichi che la sua energia si trova in entrambi i generi.

La Sordità dell'Eroe patriarcale
Ulisse e la Cera

Seguendo le orme di Blanchot, è soltanto grazie all'astuzia e al calcolo che Ulisse sarebbe riuscito a vincere il canto delle sirene.
Se egli non avesse ricorso agli espedienti, senz'altro la voce delle sirene avrebbe avuto la meglio, dato che è più antica del dio della parola (15)
Con tutta probabilità sono state proprio le sirene a scegliere di lasciarlo andare. Dato che, in fin dei conti, ognuno deve avere ciò che merita, fosse anche vivere e credere  (e far credere) di vivere o morire da eroe; ignorando le segrete verità che quel lontano giorno non si udirono, quando ci si rese  volutamente sordi di fronte alla sirenica, onirica, voce custode di segreti, mai rivelati, delle sirene.

Le Sirene nelle Argonautiche
Afrodite e Bute, l'unico uomo che sopravvisse al Canto

Nelle Argonautiche, un altro eroe, Orfeo, sconfigge le sirene ricorrendo all'espediente della cedra, facendo sì che il suono da lui emesso con lo strumento fosse più forte e diffuso del canto del loro canto. 
Soltanto il marinaio Bute non resisterà al canto, ne sarà raggiunto e verrà salvato dalla splendida Afrodite, colei che è bianca schiuma di desiderio, ispirazione e canto prolifico; ma che, secondo il mito delle argonautiche, sarebbe nemica di quelle creature vergini e non inclini all'amore matrimoniale. 
Chiaramente qui è un uomo, a parlare. A fare in modo che le donne stiano contro le donne, dipingendo Afrodite come una sorta di Dea giudicante rispetto a come le altre donne dovrebbero avvicinarsi all'amore e alla sessualità. 
Così come avviene nel ratto di Persefone, queste narrazione (che purtroppo sono le più gettonate) sono soltanto le ombre di miti delle dee precedenti; proiettati sul muro della della caverna tipica della filosofia platonica. In realtà la storia è ben diversa. Afrodite, madre primigenia di tutta la creazione perenne (18) era votata alla sua indipendenza, proprio come le sirene. Notoriamente collegata sia ai fiori che alle erbe che all'acqua, creatrice della rugiada mattutina; era ella stessa genitrice e generatrice della schiuma del mare, proveniente dall’Asia (18) e non (come vuole il mito patriarcale) un prodotto fuoriuscito dai genitali recisi di Urano! Nel mito originario la dolce Afrodite non era menzionato alcun odio nei confronti di nessuna sirena, dato che non sono neppure citate nel contesto. A ogni modo sono parte di lei, o sono ella stessa, le sue lacrime, i suoi umori, forse, il suo primo ed eterno vagito, si potrebbe supporre? 
A ogni modo, è logico pensare che Orfeo (a differenza di Ulisse) abbia quantomeno affrontato le sirene sullo stesso piano, utilizzando cioè uno stratagemma acustico, forse in virtù del fatto che sia lui che le sirene, narra Apollonio Rodio, erano figlie e figli di una Musa: secondo il poeta greco antico, come visto poc'anzi, le Sirene erano figlie di Tersicore, protettrice della danza e della poesia corale, e Orfeo figlio di Calliope
Condividevano inoltre una natura sotterranea, ctonia, per via del fatto che Orfeo avesse un naturale potere ipnotico sugli uccelli ma anche sui pesci (18).

Il Silenzio delle Sirene
La rilettura Kafkiana del Mito

“Questa immensa impossibilità di parlare, che ci coglie all'improvviso, è bella e agghiacciante: ne è gonfio il cuore. O ipocrisia di questa muta bellezza! Quanto bene saprebbe parlare, quanto male anche, se volesse!”.
F. Nietzsche, Aurora, in Opere, edizione italiana diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. v, tomo I, trad. it. di Ferruccio Masini e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1964, p.211 (Cfr:1).

L'etimologia della parola silenzio è da ricondursi al verbo latino silere, che significa tacere, non far rumore, da cui il sostantivo silentium, assenza di rumori o di suoni, ma potrebbe anche essere legato alla radice indoeuropea si- (legare) che ritroviamo in alcune parole del sanscrito come si-nami (io lego). 
Nel silenzio è insita forse l'idea del legare, intrecciare, unire – gli opposti, ad esempio – cioè l'idea di creare un canale di “risintonizzazione” con un mondo altro, di cui le sirene sono custodi e che per essere colto richiede di rendersi imparziali all'ascolto. 
In effetti, come si vedrà nella vicenda della Iguana Estrella di Anna Maria Ortese e nella letteratura orientale ottocentesca, alcune sirene comunicano con lo sguardo e non con il canto. 
A sconvolgere la “kulturgeschichte” creatasi nel corso delle epoche sulle sirene, rispetto a ciò, è stato Franz Kafka nel Novecento (19), che ha donato loro una rivincita su Ulisse. 
Ciò che emerge dalla sua opera breve intitolata Il Silenzio delle Sirene (frammento stampato nel 1931) è una rilettura del mito, dalla quale nascono spunti di riflessione dove le sirene possiederebbero un'arma ancora più temibile del canto: il loro silenzio
Mentre Ulisse è convinto di aver vinto servendosi di stratagemmi umani un canto che umano non è; la verità è che queste sirene – artiste coscienti di loro stesse, direbbe Bertolt Brecht nel 1933(20) – potrebbero aver scelto di non cantare affatto!
Secondo Kafka sanno che Ulisse non può essere sconfitto con il canto, ma soltanto col silenzio, unica arma di fronte a tanto avversario; mentre nella lettura di Brecht (per cui diventano metafora dell'arte stessa che si concede al pubblico, personificato in Ulisse) la loro arte non andrebbe certo a vendersi a chi vuole viverla con sordità o disattenzione. 
Le sirene non avrebbero mai intonato la loro vivifica verità dinnanzi a uno stolto incapace all'ascolto e, forse, è proprio in virtù di una tale stoltezza, che si sono di proposito assopite, occultate, gettandosi nell'abisso piuttosto che svendersi all'eroe patriarcale. 
Kafka potrebbe essersi identificato nelle Sirene a tal punto da averle rese specchio di sé(19) poiché, proprio come queste si sentono inermi davanti all'eroe (che in fin dei conti vince grazie a un equivoco) nella convinzione di averne sabotato il canto mentre, in verità, ha vinto solo perché tacevano; così Kafka si sentì, da bambino, di fronte alla conoscenza. 
Durante una lezione, a scuola, venne raggiunto dalla consapevolezza che non avrebbe mai potuto imparare abbastanza e che, seppure avrebbe imparato, non sarebbe mai riuscito ad esprimere (con la voce) quella parte della conoscenza che è ineffabile, intangibile, un soffio – psyché – un canto, che forse tace. 
Un silenzio che grida, il canto delle sirene la cui eco visse nella sua gioventù tormentata (19).

Un canto per poche e pochi

Le sirene sono il contenitore di ciò che, spesso, non può essere cantato, per la impossibilità di esprimerlo.
Ecco perché, chi è abitato da quel canto, si sente spesso emarginato, respinto, diverso, sbagliato o incompleto; poiché in esso vive l'inesprimibile imperfezione che la moltitudine non vuol vedere. 
Le sirene sono, dopotutto, portatrici di verità che, in un certo senso, è bene che restino segrete.
Come le antiche sacerdotesse custodivano gelosamente i loro misteri, anche oggi, “il canto” è dato a poche e pochi e ancor meno sono coloro che, pur avendone accesso, si dimostrino abili ad ascoltarlo e trarne insegnamento. 
La sirena è  icona di una eterna malinconia, a cavallo fra due o più nature, destinata, forse, ad essere incompresa.
Il suo canto involontariamente  ferisce  ciò che sfiora. 
La sua forza è così grande da non potersi contenere: forse non ci sono più orecchie in grado di ascoltare ed è questo, forse, un motivo per cui hanno scelto di rendersi invisibili, nascondendosi nelle rocce, nelle fonti e, in fin dei conti, nelle stelle, lassù, dove brillano le Pleiadi – sirene celesti – dove cielo e mare si sposano, partecipi di una natura insondabile.

Teratologia, Medioevo, Alchimia e dibattito filosofico
Dalle Ali alla Prima Coda di Pesce, XIII Sec.

Le sirene sono state definite monstrum, creature di confine tra essere umano e animale, coloro che, per eccellenza, mettono in crisi le concezioni darwiniste, proprio in virtù della loro incollocabilità. 
Nella manualistica medievale avevano denti aguzzi con cui divoravano uomini malcapitati e incarnavano le persone false e bugiarde, libidinose e lussuriose. 
Paracelso, medico alchimista svizzero, le riteneva pesci mostruosi, (diversi dalle Ondine), a cavallo tra umani e animali, alla stregua di spiriti elementali della natura come le Ninfe, le Silfidi e le Salamandre (2. p57). 
Nel Liber Monstrorum, VIII sec., un autore anglosassone misterioso fu il primo a diffondere l'immagine della sirena con la coda di pesce. 
Era il periodo dei bestiari medievali e trattati mitografici e racconti di mirabilia. Contemporaneamente venivano poste sui capitelli delle costruzioni ecclesiastiche e ritenute, forse erroneamente, come si spiegherà in seguito, a memento dei tormenti infernali, così come erano utilizzate nell'araldica e per forgiare sigilli fino all'epoca rinascimentale. 
Appariranno anche su scudi per intimorire i nemici, come gli antichi gorgoneia. 
Nel II sec. d.C.; nel Physiologus, un trattato minore che parla del canto che uccide i naviganti, emerge ancora la loro natura infida. Ebbero a ogni modo un posto d'onore nella manualistica medievale. 
La funzione dei bestiari fu quella di ricordare l'antico e preconfigurare il moderno: le Sirene furono ponte e confine; tali manuali straziarono le membra del mito per consegnare le sirene alla scienza (2, p.50). 
Nel bestiario medievale del trovatore anglonormanno Guillaume Le Clerc, Le bestiaire divin opera in versi composta intorno al 1210 (Cfr:1 p. 33), le sirene figurano in due categorie specifiche: ossia donne per metà pesce nel primo caso e per metà uccello nel secondo.
Per gli studiosi si è reso difficile identificare un momento decisivo di passaggio dall'una o all'altra forma ma pare che fu alle soglie del Medioevo che i padri della chiesa diedero loro squame, fu così che persero le ali del tempo mitico. 
Forse per via dell'influenza di Proclo e delle sue sirene generatrici poseidoniane (2, p. 44) – che illustrava a fianco alle sirene celesti guidate da Zeus e alle purificatrici di Ade – o forse per contaminazione col mito di gorgoni e tritoni o dal mito di Giove e la balena, o forse parse semplicemente più plausibile dare coda alle creature che da sempre vivevano in prossimità del mare e abitavano le profondità...
Dal XIII avranno sempre, indistintamente, coda di pesce.


I Demoni Meridiani, il Furto della Voce e gli Strumenti delle Sirene
Elementi di Psicosomatica da Schopenhauer a Paracelso

“Le Sirene sono le donne, viste dalla lente degli uomini”. 
Atlante delle Sirene, Agnese Grieco

Nella letteratura cristiana del Medioevo è avvenuto il cosiddetto furto della voce (2, p. 38) ad opera dei padri della chiesa. 
Nella visione cristiana — frutto di secoli di furti dalla cultura ellenica, olimpica e pregreca — le sirene sono diventate sinonimo di sapere pernicioso e satanica seduzione(2). 
I padri della chiesa soffrivano di Kalliphonia ossia la fobia per il piacere voluttuoso causato dal suono. Teodoreto di Cirro, esponente della patristica greca li chiamava discorsi da Sirena. Nella patristica latina — in Servio e Isidoro — erano meretrici, incarnazione delle tentazioni del mondo; nella vulgata di Girolamo, nella traduzione della bibbia greca, erano demoni. Anche fra alcuni neoplatonici non mancarono epiteti: per Porfirio (III sec. (2 p.28) le sirene erano frutto di tentazione; appetiti carnali che ostacolano il viaggio dell'anima verso l'armonia. 
Nel Simposio di Platone (Cfr:2 p.27) figurano come ingannatrici (sennonché verrà loro restituita una immagine positiva dallo stesso, in altre opere).
Parlare di Sirene significa guardare le donne attraverso la lente degli uomini, influenzata dalla Weltanschauung evangelica, che per secoli le ha deturpate dei loro attributi originari, in primis quello del nutrire, di essere madri delle acque dai seni gravidi (che, parallelamente, venivano occultati anche dalla scelta di vietare le iconografie delle Madonne del Latte che dalla seconda metà del Cinquecento vennero bandite dal Concilio ecumenico di Trento).
Le Sirene hanno subìto l'asprezza dei peggiori epiteti ed è qui che, a ogni modo, sono emersi aspetti che le collegano direttamente alla Antica Dea Serpente o ad altri animali come il toro (che le accosta alle dee boomorfe come Iside, di conseguenza alle Matronae Transalpine, che figuravano in trono affianco a questi animali) poiché in alcune raffigurazioni le sirene sono state dotate di corna, nonché creature viste come sataniche a cui erano attribuiti tutti gli animali ctoni, sebbene le sirene per R. Caillois (1936) siano per definizione demoni meridiani, custodi della magia del mezzogiorno, l'ora in cui si apre un varco tra il regno dei vivi e dei morti, l'ora che sarebbe prescelta dai demoni per le loro apparizioni. 
Le sirene sono, peraltro, le creature dell'oro, del sole e della luce, anello di congiunzione tra i due mondi: incantatrici, psicopompe e dotate anche di dolcezza, possedenti la capacità di risorgere dalle ceneri come fenici. 
Nel medioevo la sirena era altresì allegoria della vanità, del vizio e del peccato. Infatti, è a partire da questo tempo che le sirene non saranno più raffigurate con lo strumento musicale in mano, ma stringendo lo specchio, prerogativa considerata femminile e diabolica dai padri della chiesa, probabilmente a causa del fatto che nell'Era della Roccia Madre (21) le prime sacerdotesse della Grande Madre si servivano dell'acqua delle coppelle scavate nelle pietre sacre, per scrutare i propri genitali alla luce della luna piena; rispecchiandosi. 
In senso metaforico, la sirena è allora la donna che guarda la donna sacra: colei che, attraverso il rispecchiamento, scruta il mistero del femminile in se stessa, evocandolo nel proprio corpo, sin dalla notte dei tempi.  
Lo specchio (erroneamente interpretato e attribuito alle sirene dai padri della chiesa in quanto simbolo di vanità) è nella concezione junghiana indispensabile strumento di navigazione sul sé, poiché solo specchiandosi nelle proprie acque è possibile trascendere da esse, diventando impersonali osservatori e creatori consapevoli.
Questo, un concetto introdotto da Arthur Schopenhauer, che identificava l'intelletto con lo specchio, come metafora del non identificarsi con le proprie idee e la percezione superficiale di sé (9, p. 117), per accogliere la rotondità che secondo Paracelso gli è propria. 
Altri strumenti delle sirene sono il pettine (probabilmente, in relazione al loro legame con le dee che tessono, annodano e snodano i capelli del fato; non a caso, come visto nella analisi etimologica, le sirene sono anche coloro che tengono al laccio o che legano e reggono l'armonia celeste insieme alle Parche(fatae) filatrici che verranno spiegate più avanti) e la conchiglia, tanto è vero che secondo un intervento del celebre psichiatra Raffele Morelli, l'ascolto è in effetti una prerogativa di natura ctonia e femminile. 
L'orecchio non ha forse la forma di una conchiglia? Potremmo dunque definire l'esperienza dell'ascolto come una opportunità profondamente guaritrice, ponendo l'orecchio (conchiglia) gentilmente al cospetto del mare della consapevolezza che sopraggiunge dall'interiorità riscoperta.
Gli strumenti musicali delle sirene sono invece generalmente il flauto, l'antico aulos, la tromba, la lira, l'arpa.

Aria e acqua: gli elementi delle Sirene dalla Mitologia Baltofinnica all'India Vedica

Le numerose metamorfosi di cui sono capaci è dall'acqua che traggono potere, e sono pertanto immutato spirito femminile primigenio che immane e al contempo trascende l'acqua per farsi aria (come avviene alla povera Sirenetta di Hans Christian Andersen). 
Lo stesso soffio vitale che ha creato il mondo potrebbe essere di natura sirenica
Non mancano del resto filosofi greci che hanno tentato di dimostrare come tutto venisse dall'acqua e come tutti gli animali fossero, originariamente, pesci. Anassimandro di Mileto ipotizzò che l'essere umano stesso derivi dai pesci... 
Non sono assenti poi testimonianze di figure umane incise di tipo ittiomorfo scoperte nel Tadrart Acacus (c). 
La sirena, se a lei si pensa in quanto creatura con la coda di pesce, è allora una delle prime forme di femminile che nutre, anima stessa del mondo, essere primordiale che nel medioevo vive a cavallo tra la natura selvatica primigenia della donna e la sua progressiva mutilazione ad opera della mentalità patriarcale. 
Nella mitologia baltofinnica, non di meno nella musicale lingua della Lapponia arcaica, esistono uno e più termini — emo, amanta, emonen — dove madre, signora e genitrice letteralmente coincidono con la concezione di una forza acquatica dalla quale ogni sostanza in principio otteneva sostegno, solidità, energia
Per facilitare la comprensione, si può pensare al Wyrd della cultura norrena, oppure all'energia alchemica del Vril della Germania occulta, o ancora al Prana della cultura induista. Pare che il cantore ed eroe del Kalevala, Väinämöinen, intorno a cui verte l'intera epopea incentrata su ciò che è rimasto dei miti artici e baltofinnici; fu la mascolinizzazione di una entità ab origine femminile il cui mito precedette la mito-logia del guerriero e che si chiamava Vein Emonen, letteralmente la madre delle acque, lo spirito guardiano delle acque o forza delle acque. 
Vein Emonen era molto più più di una dea, era la forza progenitrice anche di ciò che è divino, la sorgente, letteralmente. 
Il termine è di origine finlandese e non sembra un caso che le due parole fossero state confuse, (per similarità del suono, senz'altro) ma potrebbe anche essere stato un atto consapevole, tipico delle storpiature create dalle culture patriarcali indoeuropee, che hanno fatto questo un po' ovunque e in ogni storia, attingendo da dee preesistenti che hanno soppiantato, per ricreare mitologie a  immagine e somiglianz dei loro nuovi dei, ai danni delle donne e dei loro attributi e caratteristiche originari che sono via via andati sbiadendo
Väinämöinen sarebbe quindi una mascolinizzazione dell'espressione del segreto acquatico femminile della creazione. 
Nel Protokalevala, nel Vecchio e nel Nuovo, così come nei canti tradizionali baltofinnici, v'era del resto un uovo, estensione di una matrix divina femminile primordiale legata a una natura ornitomorfa; che sappiamo essere la primissima forma di madri e sirene allattanti, come approfondito in seguito. 
Sembra non si sia trattato solo di diffusionismo, ma anche di alcuni fattori predominanti e spesso ignorati: in primo luogo, l'eredità delle culture artiche, del Vicino Oriente, le influenze della Via della Seta che hanno portato elementi delle culture nomadi delle steppe già influenti sulla Finlandia in tempi arcaici; in secondo luogo, i runot kalevaliani sono, con tutta probabilità, la eco di rotte millenarie con al centro un tema che ha un cuore asiatico arcaico: l'uovo. 
Nel Nuovo Kalevala, la fanciulla dell'aria Illmatar, riflette nel suo corredo la Vein Emonen sopra citata, ma anche, per parallelismo, assimilata alla Sakti indiana, rappresentazione dell'immanenza divina come energia creativa femminile che emerge dal Satapatha Brahmana vedico/indiano (b). 
L'uovo e l'uccello sono due miti estremamente arcaici, attestati il primo nel Mediterraneo Orientale, in India, in Cina, in Giappone, nel Pacifico e nel Perù; il secondo è nordico, presente in Europa orientale, in Asia centrale e settentrionale e in America del Nord.

Le Sirene in Socrate: la Torpedine Marina e Il Mito delle Cicale

“Le sirene fanno appello alla voce ma non alla parola, privando chi ascolta delle sue certezze”. 
Claudia Simone

Le sirene sono creature assai poco cartesiane, che diffidando del logos (1) — pur conoscendolo a fondo —  poiché prediligono il canto. Non è nell'arte oratoria e logica, cioè, che le si può scorgere od incontrare, ma il loro luogo è un luogo di confine, una terra di mezzo, ove si esprimono attraverso forme di comunicazione che fanno appello alla voce, ma non alla parola. Un suono informe, forse, poco chiaro alla mente conscia, ma capace di penetrare a fondo le acque inconsce di chi ascolta. 
Probabilmente anche in Socrate viveva la natura della sirena, poiché egli, come una torpedine marina, metteva in crisi l'interlocutore che dopo essere stato sottoposto a colloquio col maestro se ne tornava alla sua vita totalmente cambiato, stordito, privato delle sue certezze, a causa dell'apertura del vaso della conoscenza che il filosofo, con la sua indagine maieutica, evocava. Nella celebre arte oratoria di Socrate, indagabile nel Fedro di Platone (5), in verità muse e sirene vengono entrambe assimilate alle cicale e al loro canto. 
Secondo il sapiente greco, una volta le cicale erano esseri umani che quando queste nacquero furono talmente storditi dal piacere di cantare che scordavano cibo e bevande e neppure si accorgevano di morire. 
Da costoro nacque la famiglia delle cicale, alle quali le Muse concessero il dono di non avere necessità di nutrirsi appena nate, così che avrebbero potuto cantare immediatamente e fino alla morte, fino a farsi messaggere delle fanciulle divine per riferire loro chi le venerasse sulla terra. 
A Tersicore riferirebbero coloro che la venerano con le danze, a Erato con i canti d'amore, a Calliope e Urania con l'arte della filosofia e della musica, dato che queste due, che presiedono alle cose celesti, possiedono il canto più soave e conoscono tutti i discorsi divini (5 pp.76-77). L'antropologa del mondo antico Angela Biella sottolinea che il canto delle cicale rimanda a riti funebri, e in effetti la ricerca archeologica ha confermato la presenza di di cicale in avorio all'interno delle tombe dei bambini ma, soprattutto, in quelle di fanciulle (1)
Ciò prova che la cicala, nel mondo antico, era senz'altro simbolo del sacro femminino.

Sirene e Muse, Dionisiaco e Apollineo
Lo Scontro da cui Nacquero i Logoi

Secondo lo storico Pausania (2, p.21) fu Era a ordinare lo scontro tra Muse e Sirene, dove le seconde impallidirono e sconfitte dal canto delle muse, vennero dalle ultime addirittura spennate (22). 
Secondo una versione del mito, dalle loro piume ne avrebbero creato i logoi, nonché le parole, da cui, secondo Eustazio di Tessalonica è nata la discussa espressione omerica épea pteróenta (1), che letteralmente significa parole alate, nobili, che trascendono. 
Le vincitrici, le Muse, si identificano dunque nelle fanciulle apollinee che hanno la meglio sulle selvatiche, mutanti, goffe sirene, usignoli dalle ginocchia d'arpia, come le definisce Licofrone (1).
 Le muse, orchestrate dal plettro di Apollo/Elios, incarnerebbero (in questo contesto) quel femminile ammansito dal potere maschile, diversamente dalle informi creature ctonie, le sirene, eterne vergini selvatiche e inassoggettabili, simbolo della donna libera. 
Forse è possibile scorgere, in questa narrazione viziata dal patriarcato che pone le donne contro le donne, il rifiuto di quelle figure femminile che non si sottraggono a loro stesse per concedersi alle regole maschili che via via nel corso delle epoche sono andate consolidandosi, nel progressivo allontanamento dal maschile sacro delle origini: chi meglio delle sirene poteva incarnare lo spirito della Femme Fatale tanto temuta, capace di far venir meno l'uomo all'amor fati tipico del pensiero nietzschiano e alla ragione? 
Come specifica la celebre studiosa delle sirene Agnese Grieco, sarebbe impossibile riuscire a giustappore tutti gli elementi che si potrebbero considerare sull'argomento, tuttavia le sirene meritano molta attenzione, per essere una fra le più antiche incarnazioni del sacro femminino disinibito e incorrotto; lontano da tutti quegli attribuiti (spesso decisi dai maschi) che nella mitologia classica sono stati cuciti alle donne. 
Nella figura della sirena canonica (lontana dalla vera fanciulla acquatica primigenia) è andato a poco a poco a identificarsi una proliferazione di aberrazioni scritte dall'uomo sulle donne. Nel Medioevo, secondo le parole di Severino Boezio (1), è stata la filosofia a contribuire alla cacciata delle sirene (come avvenuto per le famigerate streghe). 
Le Sirene, definite dallo stesso anche meretrici, ucciderebbero le abominevoli e fruttuose biade della ragione, a differenza delle Muse che, invece, curano e guariscono; in quanto fanciulle del suono orchestrato dallo spirito apollineo, a scapito delle sirene che potrebbero essere considerate alla stregua del puro dionisiaco; libere ed estatiche
Anche le sirene Wagneriane sono un esempio di come le sirene siano state assimilate – come del resto la selvatica Dea preromana Diana, poi regina delle streghe – al regno di Satana, al male, ai piaceri della carne intesi come bassi e vergognosi
Le sirene, qui, sono infatti consolatrici del desiderio dell'uomo, creature che, in questo senso, divengono delle pallide comparse sullo sfondo di un palcoscenico maschile; dove si oppongono alla presunta maturità apollinea, rifiutando il matrimonio. 
Le sirene non sono funzionali all'uomo e ai suoi bisogni ma preferiscono, piuttosto, servire un'altra divinità: la musica
Sono votate al canto, alla libera espressione di sé stesse. 
Indipendenti, efficienti solo all'elemento a cui appartengono. 
Si evidenzia altresì che, ab origine, anche Apollo era incarnazione di una divinità ctonia/lunare(S1), slegata dal principio apollineo che conosciamo. 
Se non altro è colui che attraverso un processo di metamorfosi ha viaggiato fra i vari piani dell'esistenza per integrare attributi inizialmente scissi. 

Elementi di Psicologia Junghiana e Alchimia

La Sirena, Il Sentiero dell'Individuazione e le Sirene Ciceroniane

Nell'alchimia, il potere magico sprigionato dalle antiche vergini del mare è stato talvolta mantenuto intatto. 
L'armonia dei principi cosmici persiste nella sirena quanto in Mercurio – deità soggetta all'antropomorfizzazione del concetto di aqua mercurialis, nonché argento vivo, acqua informata, l'Anima Mercurii che nel Figurarum Aegyptiorum Secretarum del XVIII sec (2, p.73) è rappresentata da una sirena con ali d'uccello e coda biforcuta, poiché sono entrambi creature a cavallo tra più nature: acquatica e alata e sono entrambi sfuggenti e incorruttibili. Colui che ridiede veramente vita all'alchimia, arte antica nata forse nell'India Vedica tra VIII e VII sec. a.C. (2, p.72); fu C.G. Jung (9). 
Nella sua celebre opera Psicologia e Alchimia le Sirene appaiono come archetipi tra i simboli e principi universali da lui raccolti, dove assunsero significato positivo, poiché creature integranti il Mercurio comune, la vergine; lo zolfo nascente, il pesce e il mercurio filosofico, nonché il sale della sapienza. 
Ergo, le sirene incarnano la superlativa congiunzione degli opposti, poiché sono, per eccellenza, la creatura doppia (ma non scissa); completa delle due nature: quella lunare e quella solare. 
Come detto, le sirene sono infatti demoni meridiani, creature del mezzogiorno, ma anche incarnazione del femminile acquatico, inconscio e onirico. 
Nel Libro di Azoth “Des Philosophes” (2, p.73) dalle mammelle della sirena sgorgano in rivoli d'oro il sole e in rivoli d'argento la luna. 
Nel Mutus Liber (Il Libro Muto) appare invece una piccola sirena che si muove nell'onda nera del terzo circolo, come rifratta immagine di Iside (2, p.72). 
Altro esempio sono le Sirene ciceroniane: Cicerone è forse l'unico autore antico ad aver donato loro le parole che meritano. 
Nella sua voce incarnano infatti la conoscenza a cui l'antropos è incapace di resistere.
L'Ulisse di Cicerone, scegliendo di ascoltare il loro canto (23), va in contro al proprio autentico sé, alla voce interiore. Il che, potrebbe essere lo sfondo su cui lo stesso Jung avrebbe basato gli studi dell'individuazione del sé(9), scenario in cui il Daimon nella concezione Hillmaniana (3) potrebbe identificarsi nelle sirene stesse; in quanto messaggere della voce interiore (vocazione e volontà innata) che non deve, né mai potrebbe, sottrarsi all'ascolto; dato che ignorare il canto “siriaco” che veicola la volontà animica, causerebbe inevitabilmente malattia, condannando il cercatore o la cercatrice a un destino che non appartiene.
La voce della sirena interiore; che nell'alchimia si identifica nell'Anima Mundi (seppure concepita ab origine dai neoplatonici con accezione di diversa natura) è anche predestinazione, canto che narra in anticipo le trame che l'inconscio intesse sulla via. 
La Sirena è anche voce della Grande Madre, anima collettiva, macrocosmo canoro; che reclama e risale i flutti delle acque, sovente tormentate, delle microcosmiche coscienze individuali per riemergere, sempre rinnovata e completa, dalla spuma del mare della interiorità.

La Sirena Bicaudata e Bicefala, La Forza Gemellare delle Sirene
Sheila Na Gig, Diana, Chakray Amman, Melusina, Inanna e Tlazolteotl

“Benché io abbia un corpo freddo come quello di un pesce, il mio cuore arde come quello umano. Questa è la prova che ti amo”.
Libro d'Ombra, Pianto di Sirena, Jun'ichiro Tanizaki, cfr.1 p.243

Molte delle iconografie sulla sirena, la raffigurano bicaudata (o bifida) ossia con una coda che termina in due estremi, che talvolta si attorcigliano l'uno all'altro, a legarsi, intrecciandosi creando (forse) il simbolo dell'infinita continuità, simile all'ouroboros tipico del tema alchemico. 
Presenti nelle allegorie illustrative medievali, nonché nei bestiari, le sirene bicaudate potrebbero essere l'apoteosi del tema alchemico junghiano della “unione degli inconciliabili”; matrimonio di acqua e fuoco (9, p.148) a incarnare le loro molteplici capacità; così come la cauda pavonis, in quanto unione di tutti i colori, è simbolo di totalità (9 p.220). 
Nelle Uraltes Chimysches Werk di Eleazer, 1760, viene illustrata, ad esempio, una Melusina bicefala (9, p. 57) (spesso la sirena, in alchimia, viene chiamata indistintamente Melusina): si vedano a tal proposito i sogni dei pazienti di Jung. 
A ogni modo si iniziò ad avere un massiccio incremento di queste figure mitiche in vari tipi di rappresentazioni soprattutto in epoca etrusca e romana(d), nonché rintracciabili nel Medioevo Romanico tra X e XIII sec., con doppia coda di pesce o di altre creature ctonie, talvolta tenuta in alto tra le mani a formare un arco, allegoria simbolica presente in rilievi su muri e pavimenti di chiese e pievi cristiane.  
Diffusa in Irlanda, dove peraltro è – ipoteticamente – assimilabile alla Scheila-na-gig; in Francia – dimora della principessa Melusina per eccellenza – in Spagna, Svizzera e non di meno in Italia. 
Nel V-IV sec. a.C. in ambito etrusco la si trovava in palazzi nobiliari e stemmi. 
Sebbene siano assenti rilevanze mitologiche che la contemplino a tutto tondo; si evince che le sirene, in particolare le bicaudate; hanno una natura doppia: protagoniste del canto armonico, ad esempio; non potrebbero emettere le loro armonizzazioni senza essere dotate di una intrinseca pluralità (come si evince in Platone ove sono in otto a intonare la sublime armonia celeste).
Anche Omero concepì una sirena duale, quasi che le sirene siano caratteristiche di una “forza-sirenica gemellare” (e); simile per la sua potenza alla “Vein Emonen” – forza acquatica femminile primigenia – che emerge dagli studi sulla mitologia baltofinnica svolti dall'Antro. Secondo alcuni studiosi, dar loro due code, potrebbe anche essere stato un modo per integrare le loro due nature, una ittiforme e l'altra ornitomorfa; così da restituirle alla totalità che spetta loro. 
In questo modo, sono stati anche riprodotti i loro due arti inferiori originari della mitologia greca e la doppiezza relativa alle loro ali, in quanto creature celesti/stellari nella prima storia israelita e donne-uccello in quella greca. 
Eliminare la doppiezza inferiore dando loro univoca coda di pesce, del resto, ha significato eliminare l'elemento femminile sessuato; l’accattivante e il seducente insito al potere della vulva che, probabilmente, con la presenza di due arti distinti ritrova spazio nella sirena, completandola di un aspetto non da poco e restituendole  l’atto sessuale (che è anche una forma di canto).
Secondo gli studi di psicosomatica della cantante Sonia Spinello; le corde vocali, che hanno la forma della lettera V o di una farfalla; sarebbero organo di corrispondenza dei genitali femminili. 
Una creatura femminile privata della sua libertà e/o integrità sessuale; è una creatura che perde al contempo anche la sua voce: voce, e vulva sono intrinsecamente legate.
Come avrebbe potuto, del resto, la sirena, incarnare i tratti della meretrice descrittivi della concezione patriarcale cristiana medievale se non avesse avuto due arti e, quindi, una vulva? Sarà tra il X ed il XIII sec. che la Sirena avrà quasi sempre doppia coda, a ogni modo, e la lettura del suo simbolismo verrà approfondita sia da mistici che cristiani. 
Anche Giano, tendenzialmente bicefalo; che con le mani saldamente si tiene i piedi, ad esempio raffigurato sull'ingresso del Duomo di Modena (e), potrebbe essere rappresentativo di una sirena bicaudata: si rammenti che il dio, secondo attendibili fonti, fu già una mascolinizzazione della dea preromana Diana! 
Si pensi che Giano – quale Dio degli ingressi e dei trapassi – richiamerebbe la natura di Diana in quanto volto della Dama Bianca rilevata in area celto/germanica, nella quale si identificano anche Perchta/Befana/Santa Lucia e Frigg/Freya che sono, tutte, legate alla soglia, dee con che possiedono le chiavi di accesso ai mondi oltre il velo. 
La etimologia del glifo della runa Perth, ad esempio; è etimologicamente legata alla strega alpina (nonché dea preindoeuropea dell'Inverno e della luce) Perchta; è infatti una serratura, un portale che separa i mondi. 
Macrobio (390-430 circa) ci dice che Giano è anche detto: Gemino (e), perché come il Sole esso sarebbe padrone “dell’una e dell’altra” parte del cielo: interessante che, la nostra Diana preindoeuropea (venerata nella Gallia Cisalpina con cippi e are che la affiancano alle Matronae celtiche) fosse proprio, fra le altre, una dea della luce e della vegetazione, legata quindi per stretta conseguenza a un simbolismo solare. 
Inoltre, in latino, porta si dice “juana”, dal sanscrito jana, da cui Diana, Giana, Domus de Janas.
“Juanua coeli” era infatti un epiteto delle dee, poi passato alle litanie della Madonna (22, p. 57). 
Ad ogni modo è di doppiezza e gemellarità che si parla, legata a una natura primigenia femminile non scissa, ma completa di tutti gli elementi della materia, che peraltro trascende. Un'altra iconografia femminile alla quale la sirena bicaudata è “somigliante” è presente nel tempio di Chakray Amman (21), una dea dell'amore indigena il cui idolo in pietra nera rappresenta una donna nuda con le gambe divaricate e un fior di loto al posto della testa, sita in Tamil Nadu
Qui, tutt'oggi è celebrata durante il festival in onore di Amma Vasai – madre luna nera – che si celebra in maggio (guarda caso, nel periodo in cui le sirene celesti semite e le Pleiadi annunciavano ai marinai egizi/cananei l'arrivo della bella stagione).
Chakray Amman è nel mito l'unica delle quattro sorelle sorprese nude a fare il bagno che non si piega alla volontà di Khrisna (incarnazione di Visnu) che vorrebbe proibirglielo ed è per questo che la dea ritrae la testa trasformandola in fior di loto. 
Persino Visnu stesso si scuserà con lei, nel luogo dove ora sorge il suo tempio, simbolo del matriarcato e dell'incorrotto potere femminile anche proprio alle sirene, che non si divaricano in base al desiderio maschile ma seguendo, di volta in volta, la loro volontà
Non di meno, nella leggenda della principessa medievale Melusina (di cui si trovano tracce più o meno evidenti nei testi al punto 1, 2, 9, 21, 10 delle note in calce alla ricerca) è presente il tema del bagno del sabato – che forse ha origine nelle trasformazioni del sabba delle streghe argomentato da M. Murray o allo Shabbat ebraico – proibito allo sguardo maschile al quale è precluso di vederla nella sua mutazione in creatura “mostruosa”, perlopiù raffigurata con coda di serpente. 
Il simbolismo duale della melusina e della sirena bicaudata si riferisce anche alla capacità della donna di collegare mondi tra loro differenti: ad esempio, portando la vita dall'interno del suo corpo al mondo esterno, durante la gravidanza; unendo l'ambiente acquatico uterino a quello terreno, materiale. Nel mito di Melusine si scorge il processo di integrazione di tutte le parti, imprescindibile all'individuazione del sé, e alla maturità ove la scissione si dissipa e il tutt'uno ama e trascende.

“Che dal suo buio lui la veda,
mio riverbero prezioso e indocile,
mio segreto, stupore del non accaduto,
per colmare il taglio, da quel mondo al mio”. 
(21 Cfr: N2)

Il segreto di Melusina, qui, potrebbe anche celare il mistero del ciclo mestruale, in tempi passati negato all'uomo (e da egli demonizzato) in quanto visto con sospetto e ritenuto parte femminile da vergognare.
Un'altra immagine che, a nostro avviso, richiamerebbe l'atto delle braccia alzate a tenere le due code – che, in questo caso, sono accompagnate da ali e da arti che terminano in zampe d'uccello – è l'iconografia di Inanna, dea alchemica per eccellenza; che nel mondo patriarcale non si comporta da brava moglie, madre asessuata, figlia ubbidiente, ma è ancora una iniziatrice con il potere – da sirena – di attraversare entrambi i mondi, senza scindersi tra quello solare e quello lunare. 
Inanna è in continuo movimento, viaggia, come l'anima mercurii nell’alchimia, come la sirena bicaudata; a cavallo tra più nature (21, pp. 83 - 84). 
Ella ha conquistato i sette “me” nel regno delle acque e del suo custode, Me
Inanna ha inoltre sette teste, quindi una “natura plurale” come le sirene. 
Viene assimilata alla luna – che guida le maree – e a (Venere) Afrodite; dea di origine asiatica da cui le sirene stesse si sono generate. 
I suoi miti e riti, sumeri, hanno origine nei racconti orali della Mesopotamia, con insediamenti più antichi relativi al 5000 a.C.; e quindi sono antecedenti le città-stato tipiche del patriarcato (21, p. 84). 
Attraverso la dominanza babilonese, tale Inanna sumera e prima ancora mesopotamica, venne però assorbita a Ishtar, con accento sulla prerogativa ispiratrice bellicosa, dove i tratti originari della dea – in cui dominava l'amore tra gli opposti – verranno banditi (21, p.84). Un'ultima figura che si potrebbe accostare all'immaginario della sirena bicaudata e quindi “divaricata”, è quella di Tlazolteotl che partorisce, iconografia della cultura azteca, XIV sec. (6, p.93, figura 6).

Rabdomanzia e Ley Line
Le misteriose correnti celesti

A Lucca, sulla facciata della Chiesa di San Michele, in foro, sull'architrave del portone principale, sotto San Michele che trafigge il drago, figura una sirena bicaudata, che indica una forza duplice, dovuta a un incrocio di acqua sotterranea, nonché un punto a forte impatto geomagnetico. 
Ciò non sorprende, se si considera San Michele (così come San Giulio) simbolo per eccellenza dell'eliminazione ed esorcizzazione del segreto femminile, considerato demoniaco; e sin dalle origini attribuito a creature ctonie quali serpenti, lucertole, e rapaci notturni; demonizzati dalle religioni giudaico-cristiane.  
Su una colonnina, fra l'altro, figura una piccola sirena bicaudata con aureola e ali, che reca il messaggio spirituale che l'energia, in quel punto, è particolarmente solenne
La presenza di corsi d’acqua sotterranea era rappresentata nei capitelli dei luoghi sacri rispettivamente dalle sirene e dai draghi (f). 
Non è difficile, in effetti, immaginare che le sirene siano connesse alla rabdomanzia, nonché l'abilità di cogliere le linee d'acqua insite nelle profondità del suolo, simili alle linee temporali di potere chiamate ley line (10 pp.115-117), utili anche a informare l'acqua di specifici messaggi e incanti. 
Tali linee sono tradizionalmente punti di potere elevatissimo, su cui, non a caso, i nostri antenati erigevano i loro templi – poi sottratti e fatti propri dalle confessioni religiose venute dopo – per preservare in essi una energia segreta. 
All'interno di queste linee vi scorre l'energia tellurica della Madre-terra, ma si dice che vi sia canalizzata anche l'armonia celeste, ossia punti energetici di incontro tra gli assi dell'universo che si trovano nella maggior parte delle cosmogonie delle origini – alberi cosmici – quanto nell'alchimia; da cui il famoso motto, attribuito a Ermete Trismegisto (assimilabile a Toth), del “come sopra così sotto” (8). 
La maggior parte degli edifici sacri della cristianità, sono stati costruiti per assorbire quella energia sprizzante, attribuita al culto della Madonna ma che, in realtà, incarnerebbe la madre oscura e sotterranea delle origini, rappresentata da un serpente che scorre tra gli anfratti della terra. 
La “Wouivre” o “Woëvre” (f) è lo specifico nome che questo serpente - e la sorgente guizzante - aveva tra i Galli
Ora chiamate correnti telluriche, possono essere punti di comunicazione tra correnti di suoli di nature diverse, oppure provenire come “vene” dal profondo magma/cuore terrestre. Probabilmente nei territori delle Gallie i celti si radunavano in questi luoghi e ci vivevano in prossimità per assorbire la benevolenza sprigionata dalla terra e assicurarsi buoni raccolti. Infatti tali faide sorgive venivano segnate con pietre particolari. 
I Menhir ad esempip, dal bretone men e hir “pietra lunga”; avevano lo scopo di attrarre magneticamente a quelle vene le energie celesti, anche dette “correnti del drago”, per via della loro estrema potenza nell'incedere fra terra e cielo sull' Axis Mundi, che, come approfondito dagli studi passati sulla mitologia baltofinnica che trovate in questo sito; era percorsa dagli sciamani artici nella loro tenda, che la risalivano come una scala per portare messaggi divini, ricevuti in connessione con tale asse, durante i loro riti, canti e pratiche. 
Tutt'oggi, in Europa, frequentemente nel Nord così come in Italia, sono proprio serpenti, uccelli, centauri, tritoni barbuti, arpie o sirene bicaudate (ad esempio Pavia, Como, nella Tuscia, Bari, Lucca) – risalenti al medioevo romanico quanto agli etruschi – a svolgere su angoli, mura o capitelli, la funzione di quei Menhir. 
Non è forse, la Sirena, come visto negli scorsi approfondimenti, la creatura che, per eccellenza, incarna l'armonia della doppiezza(f), nonché colei che ha in sé l'argento della “aqua mercurialis” e al contempo la scintilla d'oro delle stelle e del sole; che ogni elemento ha integrato e, pertanto, connette e al contempo trascende?

Le Dee “Sireniche”

Sirene Infere, Angeli e Streghe; Tracce Giudaiche, Mesopotamiche, Babilonesi ed Egizie con cenni su Diana e Lilith

Loredana Mancin, antropologa del mondo antico, crede nella ipotesi etimologica secondo cui il termine sirene deriverebbe da “seirenes”, al plurale; che compare nella versione greca del Libro di Isaia ed è usato per tradurre il termine “tannim” , con cui indica misteriosi animali che emettono suoni acuti, inquietanti (non dissimili, probabilmente, dallo stridere; dal latino strix; che è stato attribuito alle streghe in epoca medievale, in quanto volerebbero sulle scope, alla stregua di rapaci notturni).
Le sirene, infatti, sono esse stesse custodi del mistero femminile, magiche incantatrici. L'antropologa sopraddetta ricorda, fra l'altro, che questi animali sono assimilabili anche alle civette e ai serpenti, legati alle Dee infere per eccellenza. 
Vi sono anche delle sirene nella tradizione giudaica – in Michea (1.8), Geremia (50.39), Giobbe (30.29) Isaia (13.21,22; 34.13; 43.20) – che danzano insieme ai demoni fra le rovine di Babilonia, similmente alla mistificazione fatta sulla figura di Diana, luminosa dea della vegetazione di origine preindoeuropea degenerata nella compagna del diavolo cattolico. La parola ebraica con cui si traduce seirenes è “benot ya' anah”, che si traduce con struzzi. Qui emerge ancora il legame tra la Sirena e le dee ornitomorfe della Europa Antica.
Anche Lilith, figura associata alle tempeste, presente già dal III millennio a.C. nelle antiche religioni mesopotamiche, poi assorbita dalla tradizione ebraica assieme ad altri culti e miti, durante l'esilio di Babilonia; la ritroviamo sia nel Faust di Goethe che nel contesto biblico e fa la sua comparsa insieme alle Sirene e agli animali del deserto. 
Viene definita anche Lamia nella Vulgata di Girolamo, ossia il mostro femminile che nel folklore greco–romano rapirebbe i bambini (1) ma che presenta un altrettanto sostrato mitico preesistente... 
Nei testi apocrifi le sirene appaiono nel Libro di Enoch, dove sono le creature nate dall'accoppiamento di donne e angeli scacciati. 
Nell'Apocalisse Siriaca di Baruch sono chiamate al cospetto di Lilith, di demoni e di draghi delle selve a orchestrare il lamento del profeta coi suoi strazianti vaticini (2 p. 36). 
Nell'Egitto del Nuovo Regno erano assimilate a Ba, geroglifico dell'anima umana nel linguaggio ideografico egizio, strano uccello dalla testa umana recante attributi simili alle sirene; poteva essere un rapace, airone, falcone ( sia Iside che Freya, dee con corredo "sirenico" hanno un travestimento di falco!) o rondine, era assai venerato e inciso su amuleti.

Altre Dee alle Origini delle Sirene

Tiamat la Madre Marina Mesopotamica

Fra le più antiche divinità femminili legate al culto delle sirene va fatto un breve cenno su Tiamat (25 p. 80), il cui nome secondo le ipotesi di Thorkild Jacobsen e Walter Burkert, verrebbe dall'accadico tâmtu, che significa mare
Madre marina mesopotamica, ab origine sumera poi assimilata dai babilonesi, è incarnazione del caos dei primordi; dalla forma di serpentessa o draga marina; genitrice dei serpenti da cui nacque il famigerato Mar-duk
Secondo D.J. Conway sarebbe simboleggiata anche dal delfino; che rievoce l'oracolo della profetica Delfi, che abbiamo visto essere stata, secondo alcuni studiosi classici, una delle plausibili dimore delle sirene.
 Del resto, un'altra dea alata e dagli arti d'uccello è, come visto nell’approfondimento sulla sirena bicaudata; Inanna, sumera, anche lei mesopotamica e forse dietrologia delle sirene greche ornitomorfe, di cui abbiamo visto reca attributi fisici e caratteristiche archetipiche, in quanto simbolo della indipendenza della femmina sacra e inassoggettabile.

Ka'ahupahau e Hi'aka, Dee Marine Hawaiane

“Ka'ahupahau” (26) viveva in una grotta vicino all'ingresso di Pearl Harbor, proteggeva le acque dagli squali mangiauomini detti “O'ahu”. 
Nata da genitori umani, era una ragazza con i capelli chiari che fu tramutata in squalo e nutrita dagli abitanti dell’Isola O'ahu e di Ewa
Nel 1914 le si attribuì il crollo di un ponte a Pearl Harbor poiché si disse che la dea visse tale costruzione umana come una illecita intrusione nel suo regno. Essendo imparentati con gli squali, gli hawaiani ne avevano molto rispetto. Alcuni racconti parlano di lei come della “dea dalla coda che distrugge”, tipica immagine legata alla natura infera e caotica delle sirene. Anche “Hi’aka” (26) è una dea hawaiana prediletta della Grande Madre Pele, nata sotto forma di uovo, similmente alla fanciulla dell'aria del mito baltofinnico “Illmatar” che, abbiamo visto, ricalca un tema proveniente dall'Asia, quello della cosmogonia dell’uovo, tipico dell'India Vedica. 
Hi'aka, figlia di Humea e custodita tra i seni di Pele, è anche detta “colei che appartiene al cielo”, alle nubi, alla pioggia e alle acque dolci (come svelato nel corso del saggio, le sirene e quindi tutte le madri delle acque da cui derivano; hanno di fatto origini acquatiche e/o celesti). A Hi’aka, come alle fanciulle delle acque; sono attribuite tempeste e poteri di guarigione ineguagliabili. Interessante notare che Hiʻiaka è anche il primo satellite naturale scoperto in orbita attorno ad Haumea.

Syria/Atargatis, la Dea delle Sirene dalla Siria del Nord

Elisabetta Moro, esperta di antropologia culturale, nel suo libro Sirene, la seduzione dall'antichità ad oggi (Cfr:1) ci regala una splendida veduta sulla potente Dea Syria – riconoscibile in Strabone e in Plinio nei panni di Atargatis o Derceto – che secondo Michail Ivanovič Rostovcev è la grande Dea della Siria del Nord, la quale era dotata del “canto siriaco”, che per Giambattista Vico avrebbe preceduto la parola stessa (1). 
Questa dea, di origine asiatica, assume in epoca storica svariati nomi e volti, pur essendo una continuazione della Grande Signora degli animali della Mesopotamia, traccia di un culto millenario – vivo e vegeto ancora sotto la dominazione romana e bizantina – che promuoveva nei propri templi l'amore libero e svincolato dal matrimonio (tipico del corredo delle sirene, come delucidato finora).
Syria è rintracciabile nella cretese Rhea, fenicia Astart, accadica Ishtar (erede di Inanna ornitomorfa, come detto nel paragrafo sulla sirena bicaudata), nell’anatolica Kybele (Freya), nell'ittita Kubaba, nell'egea Artemis e nella sirio-palestinese Atargatis: sono tutti culti distinti, ma intrecciati. 
Riferisce Luciano di Samosata, siriano (120-80 d.C.); che Atargatis aveva corpo per metà donna e con coda di pesce, pur mantenendo cosce e piedi. 
I latini la chiameranno “Syria”, di evidente richiamo alla sirena anche etimologicamente, a lei era dedicato l'equinozio di primavera
Ella iniziava le donne al culto del sesso sacro e le erano devoti gli sciamani transessuali che si eviravano per diventarne sacerdoti, femminilizzandosi in onore della dea. 
Persino Nerone volle iniziarsi al culto di Syria. Nondimeno questa tradizione richiamava quella dei sacerdoti delle Artemidi asiatiche, dove pareva che le donne, almeno una volta nella vita, avrebbero praticato la cosiddetta “sacra prostituzione”, considerata da molti continuazione dei riti matriarcali che sacralizzavano il sesso come uno dei modi per sperimentare il divino; ma che aveva ab origine un'altra natura, malintesa dai pudibondi patriarchi che hanno riscritto il mito sulle donne. 
Sappiamo che anche i Galli (sacerdoti di Cibele) si eviravano (6). 
Alla dea Syria erano dedicati alberi di melograno – richiamo a Proserpina/Persefone, altro mito che abbiamo già visto essere legato alle origini delle sirene – la colomba, la carpa e pietre falliche erette davanti ai suoi templi . 
Quando il culto di Atargatis fu portato in Etruria e a Roma, si fuse con la dea Libera e con Dioniso (26) (non a caso, le sirene abbiamo visto essere “creature del dionisiaco”, custodi orgiastiche).
Le dee asiatiche e le loro sacerdotesse, dopotutto, sono rappresentate nell'atto di stringersi i seni di esibire la yoni (termine sanscrito per la sacra vulva, da sempre messa in risalto nelle statuette della dea madre fin dal paleolitico). 
Statuette votive che le raffigurano sono state trovate a fianco a tori in terracotta – animali, come abbiamo visto, legati alle sirene nelle rappresentazioni dei bestiari medievali in cui figurano come “ferine”; in questo riconducibili alla Dea bianca, nondimeno a Iside nel suo sembiante boomorfo; che rivive nelle Matronae delle Gallie nondimeno oltre il velo delle madonnine agresti che hanno preso il loro posto con la crisitanizzazione.
Atargatis si è poi diffusa in tutto il bacino del mediterraneo. 
Questa Dea, più unica che rara, è ad ogni modo accostabile ad Afrodite, di provenienza fenicia, trasformazione della semita Astarte/Asherah, le cui tracce sono presenti in tutto il bacino del Mediterraneo e fu portata ovunque andassero i fenici. 
La provenienza da Cipro è probabilmente la più nota, perché il mito la fece nascere dalla schiuma del mare. 
Come le sacerdotesse sopra citate, anche tra i fenici nei templi di Astarte venivano praticati riti della sacralità del sesso. Fu ad ogni modo per via di questa bianca schiuma che le statue di Afrodite venivano foggiate nel marmo: una delle forme con cui venne raffigurata Afrodite è anche Galatea (6, pp.266-267) . 
A concludere, la Dea Syria, sopravvissuta nei secoli dell'arte come potenza femminile pagana più prossima alle Sirene, è considerabile in tutto e per tutto una “Dea delle Sirene” o “Dea Sirena”. 

Le Dee Preistoriche, Iside la Dea Bianca e la Sirena Galattofora

Gli attributi della sirena, come già approfondito; richiamano quelli delle antiche Dee ctonie, ad esempio alcune tra le prime rappresentazioni di Dee Madri nutrici, sfogliabili tra gli archivi forniti da Marija Gimbutas (cfr.27); erano lucertole, come nel caso della Dea Lucertola del periodo protostorico Ubaid, o se si pensa alla stessa Dea Iside alata, Madre del mondo, Dea Egizia nutrice per eccellenza. 
La Sirena è pertanto “crocevia” di caratteristiche attribuite a molte Dee dell'Antica Europa che avevano lo scopo di nutrire e non solo. 
A Roma, nel palazzo dei Penitenzieri, è conservata un'opera del Pinturicchio, databile al 1490, chiamata “soffitto dei semidei”, tra cui figura fra gli altri il particolare di una vera e propria “Sirena del latte”, nonché una sirena materna; rappresentata nell'atto di allattare il bambino - anche lui con una coda attorcigliata che parrebbe quella di un serpente o di un sauro. 
Questa è solo una delle numerose testimonianze iconografiche di madre ctonia o sirena con bambino che allatta: le prime forme di madri nutrici, illustrate nell'atto di allattare; nella preistoria furono proprio aviformi/ornitomorfe, oppure madri-serpente o lucertola; tutte, “casualmente”; parte di un sembiante che riguarda la sirena a partire dal mito delle origini ad oggi.
Sono ormai evidenti  le origini delle sirene: progenitrici preindoeuropee che, dalla culla mesopotamica; si sono spostate per diffusionismo od assimilazione nel corso delle invasioni/assimilazioni indoeuropee. 
Potrebbero essere proprio loro (le sirene e le dee loro assimilabili e connesse) alcune tra le antiche madri nascoste oltre il velo cattolico delle Madonne agresti del latte a loro volta recanti attributi e rilevanze che lascerebbero ipotizzare una assimilazione alle Matres/Matronae celtiche; nondimeno alla Dea Bianca di Robert Graves, la originaria madre dell'orzo e del grano che conosciamo come Demetra/Kore ma che affonda le radici nel mito egizio di Iside Sochit/Sochet(campodi grano). 
Quest'ultima contiene sia la natura ferina delle sirene nel suo sembiante boomorfo, peraltro parte del corredo delle Matronae; che la loro natura celeste, nei panni di Iside Stella Maris; nondimeno presenta anche il loro aspetto d'uccello, nei panni del suo travestimento di falco.

Iside e Proserpina/Persefone

Nel Mutus Liber (1677) la sirena, come Iside, diviene acqua mercuriale volatile riunita con lo zolfo, madre e principio delle cose.
Arrivata al colore bianco, simbolo di perfezione, dopo essere passata attraverso il nero della putrefazione, simbolo di dissoluzione. Ovidio e Igino le credevano connesse al mito siciliano di Demetra e Persefone (cfr. 24 p.482):

“Ai piedi del monte Etna, il cui cuore arde instancabile, c'è un prato fiorito. 
Su quel prato si possono scorgere Proserpina, la dea-natura, la ninfa siracusana Ciane e le giovani sirene. 
Stanno raccogliendo fiori e hanno il capo cinto di ghirlande. 
Profumano di erba, di cielo, di candidi narcisi, e ancora non sanno la corruzione del talamo nuziale”. 
Nicolas Flamel citato in M. Bulteau, op. cit., pp. 44 - 45, (Cfr: 2, p. 74).

Come Iside (volto di serena devozione) – dal cui mito egizio potrebbe essere giunta Persefone in Grecia – anche le sirene non conoscono corruzione. 
All'arrivo di Plutone la luce della dea ha infatti la meglio: Proserpina è la materia volatile che emerge dalle tenebre, nascente oro del meriggio dal cui cospetto le sirene si librano in volo sfuggendo al signore oscuro. 
Per approfondire il legame tra Iside e Prosperpina/Persefone, si consiglia di leggere la ricerca dell'Antro intitolata Il Vero Mito di Demetra e Persefone e cenni sulle Madri dell'assolato campo biondo fino alla parentela con le Sirene.

La Dea Frigg e altre Filatrici Norrene, Greche e di Origine Mesopotamica

Le Sirene possono essere considerate anche un altro volto delle Parche, le fatae filatrici greche del destino, intessitrici, custodi della sapienza femminile e incarnazione degli attributi delle Antiche Dee Madri creatrici e distruttrici, le Madri del Filato; così come le Moire romane, o le Norne, che sono simili alle ancelle di Frigg/Freya (ne la Dea Bianca di R. Graves le sirene sono una ennade come le sue ancelle).
Quest’ultima, dotata – come le sirene greche di dietrologie asiatiche – di natura aviforme e legata al miele; attributo, come si è visto negli scorsi approfondimenti, della voce “siriaca”. 
Alcuni dei nomi di Freya presso diverse tribù dei Germani, furono “Mar-doll” e “Syr” che, abbiamo visto nel paragrafo dedicato allo studio etimologico; essere connessi alle forme “Mermaid” e “Sirena”. 
Del resto, le stesse Matres/Matronae celtiche delle Gallie che furono venerate in epoca preromana nelle nostre terre alpine (che abbiamo già assimilato alle Madonne del latte e quindi alle sirene allattanti o madri ctonie, o madri uccello, di dietrologie protostoriche) recano gli attributi delle filatrici e della Dea norrena suddetta. 
In effetti, anche le sirene bifide o bicaudate (esempio di femminilità sacra in varie accezioni) e legate a tradizioni simboliche alchemiche ed ermetiche che si perdono nella notte dei tempi; costellano i capitelli di varie chiese molto diffuse nel Nord Europa, retaggio di antichi culti legati alle linee temporali e alle correnti di potere sotterranee e fondamentale richiamo alla forza rigeneratrice di Freya(g), che nella mitologia norrena è dea della magia e dell'amore, della fecondità e della lussuria, protettrice delle partorienti – come la dea Lucina di retaggio etrusco, etimologicamente connessa a Lucia/Lussi assimilabile a Frigg/Freya, nonché al folclore celto-germanico attraversato dalla figura della Dama Bianca, anche conosciuta come Perchta/Berchta, Fata Piumetta o Befana; che le fonti più recenti sembrano far emergere come ereditiere della preindoeuropea Nerthus/Hertha, venerata come madre terra dai popoli autoctoni di area nordica. 
Anche Tacito, nella sua “Germania” ricorda come alcune tribù della Germania settentrionale, tra cui Longobardi e Angli, venerassero una madre-terra chiamata “Nerthus”; il cui collegamento con la stessa Frigg/Freya rimane un dato di fatto per molti studiosi delle fonti.
Frigg/Freya, la Madre dei Vani, è ciò che di più simile è sopravvissuto tra gli dei norreni e germanici di una Grande Madre.
Regina degli Aesir è infatti Freya, ora chiamata Frigga, che significa “la Frigia”. 
La Frigia è la regione montagnosa interna della Turchia nordoccidentale, dove era venerata Kibele/Cibele. 
La Frigia è dunque sia l'epiteto attribuito a Cibele quando viene importata a Nord a ricordarne la provenienza – così come Afrodite, nata dalla schiuma del mare a Cipro, era conosciuta come la Cipride e Artemide la Cinthia, dal monte Cintho – sia il nome che si sovrappone facilmente a Freya. 
La parola Frigia ha a sua volta origine, probabilmente, nel termine sanscrito “prija”, che significa amore. Tacito riferisce che la tribù degli “Aestii” riveriva la dea Cibele come Madre di tutte le divinità. Questi ultimi erano gli Dei della lontana “As-gard”; da “As” o “Assua”, in latino Asia; che ab origine era l'Anatolia; plausibile matria di Freya come degli altri dei degli antichi germani, ossia l'attuale Turchia od antica Troia (6); portati lassù al Nord con le ondate di popoli indoeuropei, circolati dalle parti del Mar Nero, che hanno sfiorato questa famigerata “terra di mezzo” (6) che altro non è che la regione anatolica a Nord della Mesopotamia. 
È del resto innegabile, il legame tra il pantheon dell'Edda e la penisola anatolica (6, p. 189) ed è forse da questa uscita” che deriva il fatto che Frigg  e Freya fossero tutto sommato state inglobate in una stessa Dea. 
Alcuni studiosi identificarono nei Vani i popoli autoctoni e pacifici preesistenti nell'area norrena e germanica nel Neolitico, e negli Asi un popolo indoeuropeo bellicoso; tuttavia, secondo Dumézil e altri il pantheon germanico sarebbe da considerarsi un corpo unico che avrebbe radici indoeuropee... 
Al di là di congetture e probabilità, su tale scissione dei due pantheon, sembra esserci ancora oscurità. 
A ogni modo, accogliamo l'ipotesi (forse non lontana dalla verità) che ab origine Frigg e Freya possano aver incarnato una triplice Dea dei Vani, insieme a Skadi; ricordando la trinità lunare tipica delle religioni pre-agricole che secondo la egittologa Margaret Murray sarebbe stata il perno delle origini e dell'avvicendarsi dell'intera vecchia religione oggi ripresa (e confusa) con alcune branche del neopaganesimo.
Forse solo in seguito Frigg e Freya si sarebbero sviluppate come due entità separate, per poi tendere comunque a unirsi per la similitudine di funzioni ed attributi nel mito(4). 
A concludere, nel Timeo di Platone (IV sec. a.C.), sia le Parche filatrici che le Sirene figurano nella schiera di donne che lavorano, filano, reggono, sorvegliano il destino “cantando tutto ciò che accade”. Tra le pagine del celebre filosofo greco, le Parche cantano sulla armonia delle Sirene, che hanno una “posizione elevatissima”. Nello specifico le Sirene, nel Mito di Er; sono otto, partecipi della armonia celeste e della “serenità dell’oblio” (2, p.26); mentre Anananke faceva ruotare otto cerchi concentrici, ossia gli otto cieli antichi, sopra ciascuno era accovacciata una sirena. Ognuna emetteva una nota fissa, e tutte e otto insieme formavano l'armonia del cosmo. Per il filosofo neoplatonico Giamblico le sirene, creature sibilline, erano collocate nella tetrade armonica nell'Oracolo di Delfi. La tetrade, per i pitagorici, era una arcana armonia numerica che sprigionava l'armonia intera della musica (2).

Il caso di Ostara/Ishtar e le Sirene Celesti dell'Equinozio di Primavera

Un'altra divinità del pantheon nordico che potrebbe avere una dietrologia, per così dire, sirenica è Ostara, a cui è titolata la festa della primavera – Pasqua in tedesco si dice “Ostern” e in inglese “Easter” – poiché il suo nome assomiglierebbe” presumibilmente a quello della accadica Ishtar e della fenicia Ashtart.
Più che una evidenza etimologica (non provata da alcuna fonte, bisogna dirlo) secondo Luciana Percovich ciò potrebbe essere testimonianza dei rapporti di scambio e transito tra estremo nordeuropeo e Asia Minore/Mesopotamia (6, p.191).  
Astarte – assimilabile a sua volta alla semita Asherah e alla sirio-palestinese Atargatis, una delle dee primitive da cui la figura della sirena si è originata – sopravvive nei panni di Afrodite (la cui origine Cipride è più recente) che l’ha assorbita.
Le sue tracce sono diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo dato che fu portata ovunque andassero i fenici. Si potrebbe dire che in Afrodite rivivano tutte le dee asiatiche delle sirene primitive: culti distinti ma intrecciati da cui la dea-sirena per antonomasia, “Syria”, si è originata ella stessa; come continuazione ultima della Grande Signora degli animali mesopotamica. 
I latini la chiameranno “Syria”, di evidente – e già svelato – richiamo alla sirena anche etimologicamente. 
A Syria (come a Ostara) era dedicato l'equinozio di primavera e l’arrivo della bella stagione (se non altro ciò avvicina le due dee, pure se non coincidessero) fatto simbolico già protagonista della prima storia israelita che vedeva nelle preziose sette sorelle Pleiadi (identificazione e plausibile provenienza delle sirene, come visto in precedenza) la principale guida dei marinai, che si affidavano alle “sirene celesti” per affrontare le insidie dei mari, in quanto le sette stelle annunciavano l’arrivo della bella stagione.
*Il paragrafo non pretende di detenere alcuna verità ma racchiude un excursus personale che risponde di uno studio intuitivo, basato a ogni modo sugli studi della archeologa e fondatrice di Preistoria in Italia Luciana Percovich(6).

Tara Bianca, Traghettatrice e Matrona dei Mari
La Stella che guida i marinai nel Buddismo asiatico e nelle Scritture Tantriche Indù

Tara è una delle divinità più adorate dai buddisti in Asia. 
Tra le cinque Dee Tara – Bianca, Gialla, Blu, Rossa e Verde – la Tara Verde è la più popolare(h), ma pare che il volto di nostro interesse, in questo contesto, possa essere quello bianco (Cfr: S1).
Venerata in Nepal, India, Cina, Giappone e altri paesi buddisti, la sua figura potente e compassionevole (molte simile, in questo, alla serenità trasmessa da Iside Stella Maris ai credenti) adorna i muri di molte case(h). 
Secondo alcune fonti Tara avrebbe origine nella letteratura tantrica indù e nei “Purana”, le scritture religiose Indù
Secondo Hirnanda Shastri il suo nome figurerebbe nella letteratura brahmanica come sinonimo della Dea Durga(h). 
Uno dei suoi epiteti è “Tara Amba”, nonché Madre Tara, la Matrona dei Mari
I suoi devoti erano principalmente nel commercio di marinai, navigatori e barcaioli perché i Purana la descrivono come legata ai “corpi idrici” (d). 
Un altro dei suoi epiteti, da cui prende il nome, è “Dhruva Tara” in quanto è la stella (dhruva) principale che guida i viaggi per mare. 
Nella teologia Indù appare prima del V secolo, come protettrice dei mari, forse assimilata nel buddismo solo in un secondo momento(h). 
Secondo la storia buddista sarebbe stata accettata nel gruppo delle Shakti – le dee della energia femminile – nel V sec. (alla Shakti è stata accostata anche la Vein Emonen finnica, la arcaica dea ed energia delle acque discussa all'inizio della ricerca).
Le prime immagini reperite in grotte buddiste dell'India occidentale risalgono al VI-VII secolo; mentre la sua prima comparsa nelle grotte costiere della regione settentrionale del Deccan e dell'India occidentale rafforzerebbe il ruolo di dea protettrice dei mari. 
Forse, secondo la mitologia buddista, si originò dalla lacrima di “Avalokiteshvara” – bodhisattva “maschio della compassione” (h) – che cadde a terra e formò un lago. Dalle sue acque sorse un loto che aprendosi rivelò la presenza della preziosa Tara. 
Tara fu allora conosciuta come l'equivalente femminile di quel dio, compassionevole, che si occupa degli uomini che devono “passare all'altra sponda”, una sorta di traghettatrice bianca che connette i mondi. 
Tara è forse una delle Dee dal retroscena più felice e armonioso nella tradizione indù, ritrae la divinità nella sua forma più bella, (h) incorrotta e serena (questa descrizione assomiglia a quella proposta da Frazer sulla dea egizia Iside/Sopdet).
Sulla origine della versione Verde di Tara non ci sono molte certezze, sebbene i suoi dipinti contemporanei raramente la raffigurino come la protettrice dei mari (h). 
Nel periodo delle invasioni musulmane in tutto il subcontinente dall'XI secolo in poi, i buddisti fuggirono verso nord in Nepal e in Cina: ciò potrebbe spiegare i paesaggi fluttuanti dove Tara Verde è ritratta, nella “tribhanga asana” oppure seduta su un piedistallo di loto. 
Il suo viaggio a nord dalla costa del mare alle montagne, sinonimo della stella che rappresenta, anche chiamata “Stella del Nord”, è un racconto profondamente connesso alla simbologia delle sirene e alle sette Pleiadi dove dimorerebbero o che secondo altri incarnerebbero, come già visto, ma messo da parte nella coscienza di massa(h). 
Anche la Stella Polare o Orsa Maggiore che guida gli sciamani nella mitologia artica e baltofinnica è un retaggio asiatico, forse per via delle contaminazioni portate nei trafficci della Via della Seta dai paesi orientali all'estremo Nord...
Il cuore cosmogonico che sta al centro di tutto il mito artico è senza dubbio asiatico.

Mari, Regina Basca delle Grotte

Alla radice indoeuropea mari-  potrebbe essere connessa la Dea basca Mari (Cfr: s1) a cui è sacro l'avvoltoio – che riconduce alla connessione tra le sirene uccello greche, di dietrologia asiatica e le streghe intese come rapaci notturni in volo verso il Sabbat.
Mari è poi connessa alla luna, al mare (dato che governa le maree) e alle grotte ove è possibile incontrarla, in quanto signora sibillina dell'oracolo e della magia; assimilabile, similmente alle madonne galattofore (che sono tutte antiche forme di sirene come testimoniato dagli studiosi precedentemente citati) alle Matres/Matronae celtiche che vivono nelle Madonne campestri del latte o della neve; alla luminosa Diana preindoeuropea “del boschetto”, nondimeno alla Dama Bianca.
La Dama Bianca è, come Mari, signora delle grotte, madre delle pietre da cui sgorga il latte della terra, della Grande Madre che vivifica e guarisce.
Un'altra figura basca pertinente è la “Lamia” – assimilata alla sirena anche in Atlante delle Sirene di Agnese Grieco – («Lamiak» al plurale) che nel folclore possiede un pettine d'oro (legato all'azione dello snodare, filare, e quindi ancora all'archetipo della filatrice) e ha zampe d'uccello come le sirene greche, nonché si comporta come una ninfa, soggiornando presso fiumi e boschetti che sacralizza, nutre, preserva.

Yemaya e Oshun, Le Dee delle Acque dell'Africa Occidentale

Molti anni fa conobbi una praticante cubana, iniziata alla religione panteista africana chiamata “Yoruba”, che prende il nome – di origine controversa – dall’omonimo gruppo etnolinguistico che conta cinquanta milioni di persone, dove ha avuto origine. 
Venni così esposta ad alcune pratiche sotto l'egida delle due divinità femminili acquatiche della tradizione per eccellenza che; secondo la giovane donna che me le trasmesse oralmente, avrebbero potuto essere, in base alle sue “letture” delle mie “tracce sottili”, le mie protettrici e “madri naturali”. 
Allora, io non avevo consapevolezza di molte cose che, nel corso degli anni, si sono rivelate vere per me
Similmente al modo in cui il cattolicesimo concepisce una santa per la quale si ha devozione e si sente appartenenza come delle figlie, nella “Santeria” – nata dal sincretismo tra la primitiva Yoruba e il cattolicesimo, formatasi durante la tratta degli schiavi africani che venivano deportati nei paesi dell’America Latina, e diffusasi finanche negli Stati Uniti dove è tutt’ora praticata – ci si considera figlie e figli di una particolare Dea Madre (e di una sua controparte maschile) per tutta la vita. 
Sebbene il venire a conoscenza dei truculenti sacrifici animali a cui mi sarei dovuta sottoporre per entrare “nel vivo” di quella “adozione” mi allontanò quasi istantaneamente dall’approfondire quelle pratiche occulte che stavo integrando al mio pregresso percorso animista e sciamanico; mantenni intatte sul mio percorso le tracce di quegli aspetti della Yoruba che sentivo miei, che mi avevano insegnato a credere di più in ciò che da sempre vedevo e sentivo dentro e intorno a me. 
Imparai senza nemmeno sfiorare un libro che Yemaya era la Grande Signora del Mare africana che, secondo la mia iniziatrice, portava l’epiteto di “colei che è tutta bianca” (recava gli stessi attributi della amorevole Afrodite).
Quasi ogni Dea alle spalle delle Sirene – lo abbiamo studiato nel corso della ricerca – è del resto intimamente legata al colore bianco.
A Yemaya sono sacre le colombe bianche – testimonio che vengono tutt’oggi sacrificate nel rito di iniziazione alla Madre suddetta – mentre “Oshun”, legata invece alle acque dolci di fiume, porta il simbolo dell'ape, del miele e dell'uovo (utilizzati negli incanti e scongiuri in suo nome a cui ho personalmente attinto, vedendone anche l’efficacia (Cfr: S2)). 
Yemaya è infine sia una protettrice delle partorienti, guaritrice, portatrice di luce che una Dea capace di causare caos e tempeste. 
Nel suo potere coesistono armonicamente gli apparenti opposti.
Oshun è invece presenza che lega come la consistenza del miele che le appartiene, che cicatrizza le ferite, soprattutto quelle del cuore. 
A lei si dedicano riti e atti d'amore, oppure ci si rivolge alle acque dolci, dove è possibile scorgerla, per chiedere supporto nella risoluzione dei problemi quotidiani o più profondi. Spesso capita di incontrarla nei sogni, poco dopo averla contattata servendosi dei suoi elementi...

Melissa e L'Ape Solitaria di Aristotele

Per completare la riflessione su Oshun e sul legame simbolico che il miele ha con le sirene, con le loro voci e con alcune delle dee che appartengono alla loro natura, si fa presente che in Aristotele, nella Storia degli Animali, si cita il termine “seiren” in riferimento a una varietà di ape solitaria, il cui ronzio potrebbe forse assomigliare alla voce delle sirene: insistente, diffuso e continuo.
Come di qualche cosa che non si capisce da dove proviene, ma si avvicina inesorabilmente, a rivelare ciò che, molto spesso, vuole essere ignorato, come la verità, di cui le Sirene sono  portatrici (non menzognere come il patriarcato ha voluto far credere).
Del resto anche le fate, messaggere della natura, che abbiamo visto condividere con le sirene le antiche residenze iperboree (nonché isole dell'Aldilà) che sono state concepite dal Mediterraneo ai paesi nordici sarebbero una forma di api (29). 
Curioso come, nella ricerca delle fonti, negli studi approfonditi a cui mi sono dedicata per scrivere delle sirene, io abbia scoperto una sempre più vicinanza, nonché assimilazione – per etimologia, contesti, attributi e collocazioni nel tempo e nello spazio mitico e non – alle streghe e alle fate. 
Ho potuto constatare che la Sirena è apoteosi dei loro attributi, capo espiatorio che ha subito forse il peggior furto e relegata alla peggiore presunta sembianza e allegoria «infetta».
Alcune fonti ipotizzano che ciò che le sirene volevano rivelare a Ulisse, fosse proprio l’Odissea (1), nonché il suo destino
Nondimeno nel Mediterraneo l'ape era associata alla mantica, l'arte di vedere il futuro.
La greca Melissa era una Sacerdotessa di Demetra che custodiva gelosamente il segreto della sua iniziazione (2, p.23). Si evince altresì che la prima sirena, al di là delle plausibili ipotesi teratologiche sulla sua natura ittiomorfa o aviforme; avrebbe potuto essere una sorta di ape molto aggressiva, combattiva, come le mitiche dee guerriere (2, p.22).

Morgana, Regina Celtica delle Profondità Marine

“Fata Morgana abita in un palazzo di cristallo nelle profondità del mare verde e sorge all'ora del tramonto con le sue compagne di gioco in centinaia di figure colorate, in forme sempre cangianti, significative e nuove, mai ricorrenti nello stesso modo”.
Das Wörterbuch der Mythologie (Cfr:27, p. 63)

Mor significa mare in varie lingue celtiche e Morgana era una dea del Mare il cui nome sopravvisse ancora in Bretagna, dove gli spiriti marini sono chiamati Morgan
Secondo la mitologia del Galles era una regina di Avalon, il mondo sotterraneo delle fate (7; Cfr:27 p.63), ma è anche la chiave, la guardiana della soglia, l'unica attraverso la quale si può accedere a immagini, sogni, saggezza e visioni celate nel regno delle nebbie, oltre il confine; come le sirene, che sono le creature recanti simbolo e attributi liminari; psicopompe e messaggere.

Rhiannon

Secondo un importante testimonio, le sirene sarebbero gli uccelli di Rhiannon che nel mito di Bran cantavano a Harlech (Cfr.24 p.482)

Isotta Sole dell'Aurora

Un'altra sirena, sirena d'Irlanda, Isotta, figura nell'Atlante delle Sirene (1) come femminile recante la loro natura. 
Secondo Gottfried von Strassburg (principale fonte medievale della saga di Tristano e Isotta) nei versi di Tristano ella sarebbe una incarnazione di regalità e gaia scienza, nonché di moralité. 
Probabilmente influenzato da Ovidio nell'attribuirle l'epiteto di Sirena, la definisce un miracolo europeo di bellezza e cortesia, che basterebbe udire da lontano per rimanerne ammaliati. 
Ella è anche sole dell'aurora, di cui è figlia (ciò richiama le energie delle dee di primavera sopra discusse).

“Esso il bianco circondava
molto bene tutt'intorno
dove sfuma zibellino
e sì bene insieme stanno;
dove soglion star le fibbie;
una breve catenella
c'era di lucenti perle”.
Tristano, Gottfried Von Strassburg, (Cfr:1, pp.289)

“Sguardi alati e pur furtivi
volan quei nivei fiocchi
rubacchiando qua e là:
credo ben che Isotta
a se stessa abbia rapito”.
Tristano, Gottfried Von Strassburg, (cfr:1, pp.289)

Le Sirene Italiane e la Genia Canora di Napoli
Partenope Galactotrofusa, Leucotea e Ligheia

“Le Madonne di Napoli sono tutte regine del mare, con corone luccicanti di splendore, reincarnazioni di forme antiche di Sirene”. 
Douglas N., La terra delle Sirene, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1972, p.12; cfr. (2)

Secondo lo storico erudito napoletano Antonio Silla, autore della celebre Fondazione di Partenope, la città – da cui derivò il nome di Napoli – non fu fondata dai Fenici come sostenuto da altre fonti, ma dovrebbe il suo nome alla sirena “Partenope”. 
Partenope, Leucosia, Napoli sono solo alcuni dei luoghi dell'Italia Meridionale legati a un vero e proprio “culto delle sirene”, di cui le leggende locali portano ancora nitida memoria: “costoro rigettano per falso di pianta tutto ciò, che non si uniforma col loro raziocinio; e perciò avendo intese tante cose stravaganti delle Sirene, sono entrati a decidere, che Partenope non sia stata nel numero di queste (28)”. 
Dalla famosa Adriana alla Sirena di Posillipo, Napoli fu, è noto, grande centro di “allevamento” e educazione musicale di questa particolare genia canora, soggetta addirittura a una sorta di adorazione.

“Le feste che le celebravano e le invocavano propizie durarono a lungo, finché le sirene non si velarono e si nascosero dietro il nome e il volto di Sante e di Madonne”. 
Elissa Piccinini, Le Sirene Esistono, p. 81, Ottolibri, 2014

Esempio lampante è la sirena della Fontana della Spinacorona, detta “fontana delle zizze”, a Napoli, dove la creatura si mostra in veste di generosa fanciulla vergine che tiene fra le mani i seni zampillanti, che simbolicamente nutrono la città. 
Come detto è infatti chiara la natura “galactotrofusa” della sirena, derivante, probabilmente, dalle stesse simbologie preistoriche delle Madri uccello allattanti citate nel precedente capitolo, alle quali sono connesse le Dee asiatiche della culla mesopotamica da cui si è originata, per assimilazione e diffusionismo; la stessa Afrodite, regina indiscussa della bianca spuma del mare. 
Anche nel De Animalibus di Alberto Magno le sirene sono descritte nell'atto di allattare (2, p.62). 
Trecento anni prima di Cristo c'era già il mito secondo cui quando le sirene si suicidarono a causa di Ulisse, e pare che se ne salvò una, Partenope (2), che giaceva sulla spiaggia di una città che portava il nome di Napoli, dove venne eretta una statua in suo onore: era la città dalla “sirena dal volto e dalla voce di vergine”. 
Nel V sec. c'era un vero e proprio culto a lei dedicato, con libagioni e sacrifici animali in un sacro e ciclico ripetersi di usanze stagionali. 
Altre sirene italiane furono Leucosia, la candida e pura, forse assimilabile al culto della Dea Bianca Leucotea, protettrice dei naviganti (2 p.29) e Ligheia, la melodiosa, legata alla città di Terina, nella Magna Grecia, poi scomparsa e assimilata ad altre città sulle quali non si hanno prove certe, ritrovata poi tra i versi del poeta Alcmane, dove è relegata alle spiagge di Omero coi suoi canti immortali..

Divinizzazione del Bianco: Luce Stellare e Iridescenza

Parlando di sirene, si nota un sentimento generale di innegabile appartenenza al colore «bianco», che emerge dai connotati di ogni Dea o creatura sottile che nel corso dei tempi, dalla preistoria a oggi, ha fatto parte della eredità della Sirena.
Come un'aura fresca e benefica attorno a ognuna di loro, il bianco è il colore della spuma del mare, la lucentezza quasi trasparente sul pelo dell’acqua, dipinta dall’incandescenza del meriggio, nonché l'autentico colore della stella che appartiene più alle sirene «demoni del mezzogiorno e del crepuscolo», il sole
Il bianco è richiamo alla morte, alle ossa che nel mito greco annunciano la loro natura infera: nel bianco la dicotomia di nascita e luce, nonché di morte e scheletro, si annienta; poiché in esso gli opposti si sposano, si uniscono, come visto nel paragrafo sulla sirena bicaudata; creatura alchemica «di confine» che cavalca le onde di più mondi, custode dell’elemento celeste quanto di quello tellurico. 
Non mancano racconti di sirene vendicatrici, probabilmente per via di secoli di furto della loro voce e integrità di femminile sacro e «antropofaghe». 
Dal romanzo di Kobo Abetratto da Biografia di una ninfa (1 p. 244) emerge l’abitudine della sirena a riordinare le ossa delle sue vittime umane, perfettamente ripulite. Del resto, la Sirena giapponese potrebbe aver derivato i suoi tratti dalla «nure-onna», la donna serpente acquatica del mito antico, famigeratamente carnivora. 
La sirena (come la Dea Bianca) reca in sé ogni lato del divino femminile, dove la donna non si sottrae a nessuno dei suoi aspetti: armonico e caotico, luminoso e oscuro. 
Lo scrittore Tanizaki nel suo “Libro d’Ombra” (Cfr:1, p. 237) divinizza il pallore della donna europea – impossibile da eguagliare – che è stato attribuito anche alle sirene, che quasi in ogni racconto hanno carnagione «brillante come perle», che si mimetizza nell'acqua chiara perdendo i suoi contorni, svanisce nella iridescenza del mare, trapunto di minuscole stelle che confondono lo sguardo all’orizzonte. “La Sirena era dotata di una bianchezza, un candore mai visto prima, un bianco che è pura e viva luce”. (1, p. 236).

“Era la lucentezza di una pelle talmente candida che l'aggettivo bianco era impotente a descriverla. Più che candida era splendente. Tuttavia, la superficie brillava quasi vi fosse celata una sostanza iridescente che, attraverso le carni, emanasse un intenso chiarore di luce serena. Tale evanescente epidermide era tutta ricoperta di una fitta peluria bianca, sulle cui estremità si annidava una spuma d'argento. Il corpo appariva avvolto da una diafana seta cosparsa di gemme preziose”
Jun'ichiro Tanizaki, 1917 (Cfr:1, pp. 236-237)

Lo Sguardo della Sirena

In generale, fonti e ipotetici avvistamenti, sembrano non definire un colore preciso per le iridi delle sirene – sebbene il verde e i colori dell'acqua e del cielo, in generale, sembrino andare per la maggiore – ma si parla, piuttosto, di uno sguardo “scintillante”, “incandescente”, nostalgico, «assopito in un regno altro», finestra sul divenire che loro conoscono, regine di un mondo altro.
Per alcuni sono «occhi mai visti prima» (1, p.243), di un verde che avrebbe causato dipendenza fino a sviluppare una malattia in colui che narra di aver visto una sirena: «una creatura tutta verde, di una bellezza affusolata» (1, p.244)
Si tratta di un giovane che si occupa di recupero di resti navali in Giappone, autore sconosciuto del racconto fantastico di Kobo Abe (ibidem).

L'Anima della Sirena 
Sirene, Ondine e Iguane

Nelle fiabe romantiche tedesche le sirene subiscono una metamorfosi adattativa e sono connesse al tema del pozzo e alle acque dolci. 
La parola Ondina viene dal latino «unda», che significa onda o creatura dell’acqua (10, p. 77). Le ondine, come i salmoni possono risalire le correnti, abitano mari, fiumi, laghi, tutti i paesaggi e le vie d'acqua che solcano la terra. 
Le ondine, a differenza delle sirene,  sembrano dotate di una anima diversa: si innamorano più spesso degli umani, possiedono loro stesse un lato umano; infatti, dal Medioevo in avanti ci sono testimonianze letterarie di ondine che si rovinano a causa di maltrattamenti psicologici o fisici degli uomini; mentre le sirene di mare sono più vicine a una natura ferina.
Naturalmente, sin dalla notte dei tempi, si ha cercato di arginare il femminile a ruolo peccaminoso e ctonio; relegando la donna a forme e tendenze considerate deplorevoli; ma in questo caso viene da pensare che questa sirena risponda semplicemente di una natura animale legittima, che le appartiene, che fa ciò che deve fare, al di là del bene e del presunto male.

“Ella soffre, è chiaro, bisogna aiutarla. Ma ciò è possibile, senza morire davanti all'eterno?”. L'Iguana, Anna Maria Ortese (Cfr:1)

La Sirena, guardandoci spinge a interrogarci sulla Natura profonda delle cose e di noi stesse e noi stessi, tracciando un confine tra la natura umana che, spesso, si rivela essere molto più mostruosa di quanto non si riveli pura, per esempio nei romanzi novecenteschi, quella delle creature d'acqua; dotate di molta più gentilezza, ingenuità e amore e, in definitiva, dotate di «anima». 
Allora è forse la natura «anima-le» a ingentilirci, e quella umana ad abbrutirci? 
Dove sta il confine? 
La Sirena, forse, lo incarna e lo supera. 
Le sirene sono, dopotutto, uno stato di natura e spontaneità negata all'uomo borghese impettito. Talvolta sono state descritte come prive di anima, come accade nella vicenda della Iguana Estrella, romanzo di Anna Maria Ortese ambientato nella Milano degli anni Sessanta. 
La malinconica creatura è incapace di esprimersi se non attraverso lo sguardo, caratterizzato da «occhietti splendenti fissi» (1, pp. 15 - 26). 
“Nei suoi occhi – dice il protagonista del romanzo, Don Carlo Ludovico Aleardo di Grees, nobile di casata svizzero-iberica – “V'era una soavità che a Milano mai aveva visto negli occhi di alcuno e gliene veniva un sentimento pacato e greve del segreto dell'Universo, di tutti gli abissi che ci circondano e, molto probabilmente, della loro bontà(1, pp. 15 - 26). Questa Iguana non parla – come le sirene kafkiane, come la sirenetta di Andersen – ma comunica selvaticamente, attraverso gesti e posture, e pare affetta da una innata ed eterna malinconia, quasi le sia peculiare, impossibile da arginare.

Il Tesoro della Sirena, La Lorelei

Nei Nibelunghi (Nibelungenlied) che significa “popolo delle nebbie”, della notte o dell'oscurità (in norreno Niflúngar); poema epico scritto in alto tedesco medio agli inizi del XIII secolo; si dice che le Lorelei, le sirene tedesche del fiume Reno, possiedano e custodiscano un prezioso tesoro magico che giacerebbe sul fondo delle acque (10, pp. 81-82), anche detto oro del reno”.
Nel Libro d’ombra del giapponese Tanizaki sopra citato, si legge: “In Occidente non è poi una rarità, incontrare una sirena. Nel mio paese nel Nord dell’Europa, l’Olanda, quando ero bambino ho sentito dire che una sirena viveva a monte del Reno, fiume che passa vicino alla città in cui sono nato(Cfr:1, p.239). 
Fu lo scrittore romantico Clemens Maria Brentano, nel suo romanzo “Godwi”, a dedicare una ballata alla Lorelei e al suo strazio d’amore; nonché un atto di Heinrich Heine musicato da Friedrich Silcher che, insieme, diedero voce a un racconto che affondava nella leggenda. 
Nella versione medievale, la dolce Loreley, bionda come l’oro, suonava un’arpa d’oro e si pettinava con un pettine d’oro – tipico delle ondine o ninfe di fiume e delle sirene medievali e bretoni. 
La piccola Leonore – così si chiamava, quando era ancora umana – viveva con il padre nell’ultima casa di un villaggio sulle rive del Reno; in prossimità di un picco roccioso che affacciava su un “gorgo oscuro” del fiume, che si credeva maledetto e infestato da demoni e spiriti. 
La piccola, poiché sembrava un angelo, venne scelta per personificare la Vergine Maria durante una processione lei dedicata: portava naturalmente i suoi colori, quali il celeste acceso negli occhi, l’oro caldo nelle trecce e il corsetto bianco come perla. 
Ma quando “Lore” – così la chiamavano tutti – si inginocchiò ai piedi della statua della Madonna, il cielo si fece torvo, annunciando caos e tempesta. 
Un lampo lacerò l’aria e si decise unanime che “la creatura del demonio avrebbe dovuto essere gettata nel gorgo, insieme ai suoi simili”. 
Il curato che l’aveva scelta tentò invano di proteggerla, ma fu un cavaliere coraggioso, il conte Udo, che ricordatosi della gentilezza della fanciulla e del fatto che ella stessa aveva confidato di possedere dei particolari poteri di cui egli aveva avuto anche evidenza; accorse a salvarla. Passarono del tempo insieme in una capanna segreta, ma a poco a poco l’innamorato smise di farle visita, di rado la considerava e Lore restava sempre tutta sola. 
Lo spirito del luogo, erede delle divinità pagane che vivevano nel “palazzo di cristallo nelle profondità del Reno”, decise di vendicare questa «figlia del lamento», dandole il compito di attirare al gorgo ogni uomo che vi fosse giunto, lasciandolo morire travolto dalle onde. 
Nessun uomo poté mai resistere quel canto ma, nonostante tutto, Loreley; non sentiva mai placarsi quel senso di abbandono causatole dal suo amato Udo, che tanto le mancava. 
Nel frattempo, l’uomo vigliacco, forse per avere vita più semplice; si era sposato con una “donna normale”, priva della magia di Lore, ma in lui albergava un rimorso crescente che lo portò a cercare la sua Lore, pur conoscendo il pericolo che avrebbe corso. 
Una volta conosciuta la magia, dopotutto, è difficile farne a meno… 
Nonostante i primi impulsi di vendetta e di morte nel percepirlo arrivare, una volta che Loreley vide Udo, il ghiaccio si sciolse e il male venne vinto.
La dolce sirena usò i suoi poteri magici per salvarlo dal suo stesso incanto e questo la slegò dalla maledizione ove l’odio, per quanto motivato, l’aveva condotta; liberandone lo spirito nelle profondità delle acque, dove più nessuno la vide...
(*Questa versione del racconto della Lorelei, raccolta dal libro di Elissa Piccinini, Le Sirene Esistono; a sua volta tratta dal romanzo di Clemens Maria Brentano intitolato Godwi; è una forma cristianizzata di una leggenda più antica, disponibile in molte versioni tutte simili tra loro)

Gli Elementi delle Sirene

Gli elementi tipici delle sirene sono l'acqua primordiale, l'aria del cielo, il fuoco alchemico che è contenuto nell'acqua stessa in quanto acqua mercuriale e il fuoco della scintilla del sole e delle sette sorelle Pleiadi, da cui le sirene discendono, secondo Esiodo; dove, forse, si sono rifugiate per eternare la loro luce canora e offrirla in dono a chi osserva il cielo con animo disposto. 
Del resto, le sette sorelle che appaiono nel racconto della Sirenetta di Hans Christian Andersen; sono di probabile ispirazione allo stesso tessuto mitico che emerge da molti racconti aborigeni e/o orientali sulle Pleiadi. 
Anche compagne di Selene, ove assorbono la sua luce bianca presso il Tempio di Apollo, nella profetica Delfi; le sirene, incarnano la congiunzione dei quattro elementi nella materia alchemica volatile, per questo presiedono a qualunque lavoro di concentrazione occulta o di guarigione, poiché regolano le correnti della terra, del mare e del cielo; scorrono nei più remoti anfratti, nella “Wouivre”, la corrente mistica che serpeggia nelle vene d'acqua provenienti dal magma della terra; a consolidare e presiedere ai “nodi energetici” sotterranei su cui i nostri antenati e le nostre antenate costruivano i loro luoghi di culto, poi assimilati dalla Chiesa, che ne conserva in tutta probabilità una scintilla. 
Scolpite su capitelli nelle chiese e pievi di tutta Europa come reminiscenza di etruschi, germani e celti con funzione di Axis mundi, sirene come demoni meridiani: atte a connettere la materia tellurica a quella celeste e a contrassegnare tali nodi di potere.
Le sirene, dunque; serpeggiano sinuose nelle profondità acquatiche e celesti; come tali operano nell'acqua che ci scorre dentro e di cui ci nutriamo attraverso il cibo, agiscono come astri-guida alla volta celeste nei momenti di maggior smarrimento; abitano il regno onirico a cui ci abbandoniamo nel sonno.
Le sirene abitano le notti delle madri ctonie e dei loro animali ferini; per poi risorgere all'alba come fenici; lucifere stelle del mattino, come Venere/Afrodite.
Guidano le sacerdotesse dedicate alla Grande Madre nel viaggio interiore che conduce all'oro del meriggio; ma sono anche coloro che legano e slegano, filatrici, pettinano i loro capelli d'oro e onde, e in quest'atto, tutt'altro che vano, sciolgono i nodi e decretano il destino del mondo in quanto streghe, fatae, norne che guidano alla volta della loro via, La Via delle Sirene...

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Cronache e Avvistamenti registrati

“In Occidente non è poi una rarità, avvistarne una. Nel mio paese nel nord dell'Europa, l'Olanda, quando ero bambino ho sentito dire che una sirena viveva a monte del Reno, fiume che passa vicino alla città dove sono nato”.
Dialogo con Libro d'Ombra, Pianto di Sirena, Jun'ichiro Tanizaki, 1917 cfr. (1, p.235-243)

586: Venezia e Liguria attribuirono a cause inspiegabili marine un forte diluvio; a Roma una pestilenza venne attribuita a fetidi effluvi di serpenti in decomposizione sulle coste; contemporaneamente sul fiume Nilo furono visti emergere animali di forma mostruosa fino ai lombi a seguito di cui ci furono sconvolgimenti politici (2, p.54)
VI sec. : Galles, una sirena venne catturata e battezzata col nome Murgen, J.L. Borges, Manuale di Zoologia Fantastica
601 Anno del Signore: Poco dopo la morte del re dei romani, emerse dal fiume una figura muliebre con volto delicato, capelli lunghi e intrecciati, sciolti in parte, splendente nell'aspetto, con pelle bianchissima e capelli neri, naso di media grandezza e dita ben fatte (2)
XIII sec. : Vincenzo di Beauvais, nel suo Speculum Naturae, raccontò di un uomo che riuscì a catturare una sirena sollevandola dai capelli, se ne innamorò e la sposò anche se lei non rivelò mai la sua vera natura, quando lui la minacciò con la spada lei scappò in mare per non ritornare mai più (2, p.55)
XIII sec. : In Portogallo venne emesso un decreto che sanciva il diritto di proprietà del re su tutte le sirene che venivano ritrovate a giacere sulle spiagge dei suoi regni (2, p.56)
XV sec. : Teodoro di Gaza umanista bizantino vide sulle coste del Peloponneso una sirena dall'aspetto virgineo con un fascino speciale che venne salvata dalla folla impazzita grazie a uno studioso, per poi rigettarla in mare (22, p.56)
1492 Diario di bordo della Niña: Cristoforo Colombo trovò nei pressi di Santo Domingo tre sirene che danzavano sulle onde, brutte e mute, simili ad arpie (22, p.57)
XV - XVI sec. : Giulio Cesare Scaligero vide a Parma nella bottega di un orafo una sirena in forma di Nereide, alta quanto una bambina
1523 : a Roma venne avvistato un mostro marino con le mammelle che ricordavano una scimmia o un cane (22)
XVI sec. : Jacopo Nolerus riferì della Sirena di Harlem, nuda e muta venne ammansita e trasformata in una massaia olandese che filava (22, p.57)
XVII sec.  Equipaggio di Hanry Hudson: Nel Mar di Kara, zona costiera della Nuova Zemblia; fu avvistata sirena dall'aspetto di donna bellissima con capelli neri e pelle chiarissima con coda di focena di colore verdazzurro (2, p.58; 1 p. 196)
1600: Athanasius Kircher, gesuita, filosofo e alchimista alluse a pesci antropomorfi e al potere delle loro ossa macinate contro le emorragie (2, p.65)
1610: John Smith avvistò un mostro marino di aspetto seducente, splendida fanciulla dai capelli azzurri, bianchissima di pelle sorrideva voluttuosamente (2, p.58)
15 giugno 1608: Hudson, scopritore della Groenlandia, vide all'altezza dell'Isola Russa di Novaja Zemlja, nel mare glaciale artico, a fianco della nave una sirena bianchissima con lunghi capelli neri e una coda che ricordava quella di un delfino e maculata come quella di uno sgombro (cfr.1 p. 178/188)
1680 d.C.: Un giovane Kraken rimase incagliato nello stretto canale di Altstahong, dove rimase a imputridire dopo la sua morte diffondendo il panico della malattia (10, p. 112)
1699: Immanuel Kant in Physische Geographie riporta la notizia secondo cui nel 1699 sarebbe comparsa una sirena nel porto di Copenaghen (1 p. 195) tuttavia, il filosofo non mancò di ricordare che se le sirene fossero mai esistite, sarebbero senz'altro delle specie di foche, probabilmente scambiate per sirene dalla fantasia umana (1, p.200).
1700: Le più chiare informazioni che si hanno sul loro aspetto fisico riguardano la somiglianza con le foche, lamantini, dugonghi o ritine; mammiferi marini già esistenti nel 700 poiché, come le sirene, avvistate a nuoto con la testa fuori dall'acqua e avrebbero allattato i piccoli (22, p.66)
1740 - Nella Frisia occidentale una violenta burrasca porto a riva la cosiddetta Sirena di Harlem, che imparò a filare molto velocemente ma faticava nell'espressione vocale umana. Dimostrò sempre una spiccata attrazione per l'acqua (Notizia diffusa su un giornale tedesco da Kleist, ispirato alle dotte note di Immanuel Kant raccolte in Descrizione generale dei Mari, 1801; cfr. 1 p. 179)
1752: Il vescovo norvegese avrebbe avvistato un Kraken dalla sua nave ed affermò che col suo inchiostro nero avrebbe accerchiato la nave (10, p.112) (Avvistamenti di mostri marini dall'aspetto simile a un Kraken avvennero anche in Irlanda).
Inizi dell' Ottocento: Dal medesimo giornale di Kleist, si evince l'apparizione di nove sirene catturate presso l'Isola di Manare (Golfo omonimo tra Celyon e Costa Indiana), dove il sesso si distingueva perfettamente (cfr. 1 p. 186)
13 Giugno 1809: Rubrica Apparizioni Straordinare in lingua inglese, il redattore tedesco del Museum scrisse che nella baia di Sandside nel Nord della Scozia che venne avvistata una sirena dai seni pronunciati e dai capelli verdi (cfr. 1, p. 198)
Intorno al 1800: Illiger nel 1811 coniò un ordine di animali marini chiamati sirenidi per le loro mammelle pettorali sviluppate particolarmente (2, p.66)
1841: New York, Barnum  resuscitò la Sirena delle Feejee (una scandalosa mummia rinsecchita composta di parti animali) al suo American Museum (2, p. 71)
Datazione Ignota: nella Baia di Cuba ci furono numerosi avvistamenti leggendari di una bionda sirena che sfuggiva lo sguardo diurno, per riempire la baia con la sua luce per l'intera notte. Nessuno testimoniò mai di averla incontrata o veduta ma numerosi racconti nacquero intorno alla sua figura (2, p.59)
XIX sec. : La Sirena è ormai alla stregua del freak, umiliata al circo, alla stregua di scherzo della natura, capro espiatorio per le nascite mostruose (2, p.67).
Soglie del XX sec. : Un po' ovunque si trovavano copie di atti notarili che vietavano unioni con creature simili a sirene (2, pp. 58-59)

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Glossario Folklorico
Sirene e Creature Acquatiche dal Mondo

Le Sirene sono state anche capro espiatorio dell'inspiegabile e dell'incredibile. I navigatori diedero nomi di mostri marini e sirene a fenomeni naturali inspiegabili o pericolosi, ad esempio Scilla e Cariddi – Odissea – divennero i gorghi che fagocitavano le navi in mare, e le sirene divennero causa dell'oblio.

Africano

Seriel (Eritrea) anime dei morti simili al rapace egizio Ba da cui forse giunsero, abitatrici di fiumi, case e alberi, anche simili alle driadi. 
Seroël (Abissinia), legame etimologico con Seirenes, geni marini femminili invisibili, che pochi prescelti avevano la facoltà di vedere e che comunque rischiavano di rimanere accecati similmente a quanto accade con Medusa che pietrifica. 
Prima di fare il bagno nelle fonti andava chiesto il loro permesso così da non ricevere brutte sfortune. 
Simili nei connotati anche alle fate del folklore celtico, poiché donavano profitti ma anche maledizioni. 
In Abissinia esisteva addirittura una festa delle sirene, che nei secoli rientrò naturalmente nella liturgia cristiana sotto la veste di donne e madonne miracolose.

Anglosassone

Tipiche sono le Mermaids, vergini del mare. 
Queste sono le acque dove le sirene sono indissolubilmente diventate donne-pesce, deponendo le loro ali.

Arab0

Djinnis, sono una sorta di geni, entità soprannaturali del folklore preislamico e musulmano citate nel Corano

Arturiano

La Dama del Lago, signora della magia delle acque per antonomasia

Assiro

Kulullu, uomo pesce e kuliltu, donna pesce (10, p. 52)

Basco

Lamiak (lamie) creature tipiche della mitologia basca zampe da uccello. 
Soggiornano presso le acque dei fiumi nei boschi, simili alle ninfe driadi della mitologia greco-romana; assimilabili alle sirene per via delle loro zampe ma, anche, per il pettine d'oro che sono solite utilizzare per pettinarsi e che le connette, del resto, alle madri filatrici di cui si ha parlato nella ricerca

Bretone e celtico

La famosa Melusina, nonché le Melusine, potrebbero avere origine nel folklore celtico, ma sarebbe improprio darne certezza poiché potrebbero anche essere. (Cfr. Francese)

Cinese

In Cina il sovrano mitico Shun, era figlio della Madre del clan del Serpente e del padre del clan dell'Uccello. 
Egli incarnava dunque le più antiche forme ancestrali di animali connessi alle sirene e alle dee protostoriche da cui l'immaginario si è diffuso dalle origini.

Cornovaglia

Luogo di tradizione magica per eccellenza, pare ospiti tra le sirene più sinistre e pericolose (10, p.61)

Estone e Lituano

Qui le Nixie hanno una controparte chiamata Neckan, Necker, Nakki o Neck (10, p. 84).
(Cfr: scandinavo e germanico)

Francese (Bretone)

La principessa Melusina del Castello di Lusignano, una delle sirene più famose d'Europa ampiamente discussa nel testo e citata in fonti bibliografiche (Cfr: 7, pp. 23-26)

Gaelico

Chiamate Roane, poiché Roana è il termine gaelico per dire foca, diffuse nelle Highland scozzesi, nelle Isole Orcadi e nelle Isole Shetland, danzavano alla luce della luna togliendosi le loro pelle di foca, per poi rigettarsi in mare (p.10, pp. 65-66)

Galles

Gwragedd Annwn, pronuncia gwragheth anuun, famiglia di esseri acquatici benevoli (31, p.98).
La Signora di Llyn Y Fan Fach, presso il laghetto omonimo nelle montagne nere del Galles, XII sec., sirena medicina e sapiente che trasmise il suo sapere alla casata dei Mydfai che si estinse nel XIX sec.

Giapponese

In Giappone le sirene sono conosciute come Ningyo, di cui consiglio questa bella leggenda: Ningyo, le Sirene giapponesi. 
Dal Giappone giungono anche le Ama il cui significato è donne del mare, note anche come Uminchu nella lingua di Okinawa e Kaito sulla penisola di Izu che da più di 2000 anni si immergono in apnea, quindi sprovviste di attrezzature subacquee

Hawaiano

Ka'ahupahau(28) viveva in una grotta vicino all'ingresso di Pearl Harbor, proteggeva le acque dagli squali mangiauomini O'ahu. Nata da genitori umani, era una ragazza con i capelli chiari che fu tramutata in squalo. 
Nutrita dagli abitanti della isola O'ahu e di Ewa
Alcuni racconti parlano di lei come della dea dalla coda che distrugge.

Italiano

Partenope, Ligheia (già trattate nel corso della ricerca).

Iraniano e preislamico

Pari, creatura a cavallo tra la fata e l'angelo, dallo spirito essenzialmente malvagio, anche detta Reera, Rayra o Raira, una donna meravigliosa che proveniva dalle foreste del Nord dell'Iran, dove praticava la sua magia, oltre che tramutarsi in uccello per gettarsi nelle acque dei laghi. 
Un'altra creatura acquatica del folklore iraniano è la principessa del regno sottomarino Julnare, figlia della regina del mare Locusta (34, pp.36-37)

Irlandese

Liban, la sirena del Lago Lough Neagh del 90 d.c (7, p.22) e Merrow, di entrambi i sessi, possono anche mutare forma per camminare sulla terra ferma, presagivano la tempesta (10, pp. 62-63)

Islamico (e Armeno)

Paris (Cfr: Iraniano e preislamico)

Islandese

Nickers (Cfr: Norreno e Germanico)

Isola di Man

La gente dell'Isola di Man chiama le sirene dell'isola Ben Varrey(31, p.59)

Isole Shetland e Isole Faroe

Selkie, le donne-foca (10, pp. 20-21)

Indiano e Brahmanico

Si narra di donne acquose, deità del tempo piovoso e delle nubi lucenti, melodiose musicanti che distraevano portando alla beatitudine i santi e veggenti Rishi

Mediterraneo

Ondine, Naiadi, Ninfe e Tritoni, eredi delle sirene poseidoniane, appaiono anche nei cori del Faust di J.W. Von Goethe; hanno coda biforcuta. 
Uno dei racconti sul Tritone figura a Tanagra, in Grecia (dove si sarebbe eretta una statua dopo averne decapitato uno)

Nigeriano

Onijegi, sirena del fiume Idunmaibo, dove è ancora possibile udire la sua eco ( 10, pp.32-33)

Nordamericano

La storia di Menana, trasformata dal Grande Spirito in stella per poi discendere di nuovo come spirito delle acque, tra i fantasmi guerrieri in una leggenda del popolo Ottawa (10, pp. 26-28)

Orientale

Anche qui, come nel folklore europeo; ci sono testimonianze di donne-cigno (Cfr: Ramayana Vedico).

Polinesiano e Oceanico

Vatea o Avatea, dio del cielo nato dal fianco destro della madre delle origini Varima-te-takere, con corpo per metà d'uomo e metà di pesce, tipico delle Isole Cook

Portoghese

M. Savi Lopez in Leggende del Mare, in riferimento al Mar Ionio, parla della fiaba di Nato e Non Veduto, rapito dalle bionde sirene nel loro castello di cristallo (peraltro elemento ricorrente anche nel folklore europeo, anglosassone in generale e anche tipicamente italiano, che potrebbe essere legato alla figura folklorica di Dama Bianca)

Ramayana Vedico

Nel cammino di Rama, le Apsare, etimologicamente legate a Saṃsāra (che indica il mondo fisico, così come le sue manifestazioni, recanti illusioni e debolezza, distacco dall'anima) sono donne cigno probabilmente legate alla capacità di trascinare l'uomo nei piaceri del mondo fisico

Slavo

Le Rusalki (plurale di Rusalka) sono divinità, spiriti e demoni femminili associati ai fiumi e ai laghi nella mitologia slava. 
Caratteristiche e funzioni variano di paese in paese, così come i nomi. 
Lungo il fiume Reno che scorre per chilometri in territorio russo, austriaco e tedesco, sono chiamate Vile (10, pp. 85-86), diverse dalle Lorelei del Reno tedesco; si trovano anche nel Danubio e Dniepr.
Le Vile sono anche le sirene dei campi, probabilmente parenti delle Grandi Madri del raccolto che, in effetti, sono connesse alle Sirene, come Demetra e Persefone(Proserpina) e in definitiva Iside Sochit (Madre del campo di grano).

Scandivano e Germanico 

Nix, spirito muta-forma delle acque. 
Sono simili a draghi, poi tramutati in creature umanoidi; presenti in tutto il folklore nordico e germanico, di natura maschile, al femminile dette Nixie, abitanti dei fiumi, capaci di avverare desideri ma anche di causare sciagure, simili per connotati e attributi alle sirene e alle Nereidi greche.
La madre delle Nixie è una dea del Caos, chiamata Nott dai norreni e Nyx dai greci; entrambi i nomi significato Madre Notte(10, p. 82). 
Sia le Nixie che le Nereidi radunano le anime dei morti per condurle agli inferi, sono esseri psicopompi. 
Nei racconti norreni v'erano anche le nove figlie del dio della morte e degli oceani Ran, erano le nove gigantesse (come il numero dei nove mondi) e si chiamavano Bylgja(onda), Dufa(strolaga), Hefring(colei che solleva), Kolga(onda), Gjolp(cucciolo), Greip(pinza) e Udr(onda). 
Affliggevano i mari del Nord fino all’Irlanda (31. pp. 63-65).

Svizzero

Negli scritti di alchimia del medico svizzero che si faceva chiamare Paracelso (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim) le Ondine (già trattate nella ricerca) figurano come spiriti elementali acquatici

Tedesco

Le Lorelei, le Ondine e lo Stromkarl, creatura delle cascatelle d'acqua dolce o uomo di fiume. (Cfr: scandinavo e germanico)

Ucraina

La sirena Nastasia, per metà dell'anno cavalla acquatica e per metà abitante delle steppe col suo amato Tremsin (10, pp. 34-35)

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Mostri Marini
Cenni (Cfr:10)

Ahuizotl, mostro acquatico dell'America Centrale
Aughisky, cavallo di mare diffuso nelle Highland
Bunyp, mostri acquatici australiani
Cabyll-Ushtey, cavalli di mare dell'Isola di Man
Cthulhu, creatura immaginaria ideata dallo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft, indubbiamente ispirata alle creature mitologiche affini
Each Uisge, il più pericoloso cavallo di mare delle Highland
Kappa, creatura acquatica malvagia giapponese
Kelpie, cavallo marino con criniera spumeggiante di Scozia e Cornovaglia
Kraken, terribile minaccia marina del Nord dell'Atlantico e delle Coste della Norvegia 
Luma Luma, spirito del mito australiano giunto dalle acque nelle sembianze di una balena, capace di trasformarsi in un essere umano dai poteri distruttivi; intrappolato dalla popolazione nella regione di Arhnem, dove tutt'oggi perdura sotto forma di serpente arcobaleno
Nokke, spirito danese delle acque
Squali 'aumakua, nelle antiche Hawaii lo squalo era simbolo per eccellenza di forza e coraggio. Si narrava che alcune famiglie discendessero dagli squali, che potevano anche assumere sembianze di altri animali connessi a questa ricerca come gufi, pesci, lucertole o creature umanoidi. Potevano anche vegliare sugli esseri umani, guidarli, salvarli, possedevano natura ambivalente.
Vodyanoi, diversi tipi di mostri russi legati alle tre fasi lunari che ne dettavano il ciclo vitale, potevano essere uomini e donne. Un'altra forma mostruosa di questi mari è un pesce gigante ricoperto di alghe, avvistabile di notte.

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Conclusioni

“Es singt, manchmal”.
“A volte, canta”.
Rainer Marie Rilke, Poesie 1895-1908(Cfr:1 p. 330)

Le Sirene profumano di addio, creature del Sehnsucht (struggimento, desiderio di desiderare) (1 p. 59).
Sono ciò che prima ancora di nascere già muore, lasciando chi osserva inerme, dinnanzi a una possibilità tanto anelata quanto improbabile a dispiegarsi, quella di seguirle laddove mai si potrebbe giungere, varcando le soglie del loro arcano segreto con coraggio, oppure, accettando di vederle svanire tra le argentee gocce del meriggio, ladre di un segreto insondabile, finanche perduto. 

“Io non credo che canteranno per me.
Le ho viste cavalcare l'onde verso il largo
Pettinando la bianca chioma dei flutti gonfi
Quando il vento gonfia l'acqua bianca e nera.
Nelle alcove del mare abbiamo languito
Vicino alle Sirene coronate d'alghe rosse e brune
Finché voci umane ci destano, e anneghiamo”.
T.S. Eliot, Il Canto d'amore di J. Alfred Prufrock, in Opere 1904-1939, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano 2001, p. 285, (Cfr: 1)

Anche se l'eroe patriarcale crede di aver vinto le sirene – così, almeno, ci è stato raccontato e ci è dato credere – le Sirene hanno vinto sul tempo poiché, grazie al loro apparente suicidio che, forse, è stato un consapevole inabissarsi, hanno potuto abitare le pagine della eternità. Restino allora oscurate le loro membra muliebri, agli occhi di coloro che non sono destinati ad avvicinarsi ai loro Misteri, ora preservati.

“Un canto segreto, che apriva con ogni parola un abisso, e invitava con forza a sparirvi dentro”.
Maurice Blanchot, Le Livre à Venir, 1959, (Cfr: 1 p. 52)

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Note

(1) Furono i neoplatonici, poi patristica latina, a definire chorus diaboli il canto delle sirene
(2) Da Dee Fuori dal Tempio, Melusine Edizioni, 1992, Alda Capoferri, cfr.21 pp. 71-72

Bibliografia

(1) Atlante delle Sirene, Viaggio Sentimentale tra le creature che ci incantano da millenni; Agnese Grieco, Casa Editrice il Saggiatore, Milano 2017
(2) Le Sirene Esistono, Storia di un Mito divenuto Simbolo, Fiaba, Realtà, Elissa Piccinini, Ottolibri Edizioni, 2014
(3) Il Codice dell'Anima, James Hillman, Casa Editrice Gli Adelphi, Milano, 2018
(4) Repubblica, X, 620d-e, cfr.(1)
(5) Platone, Fedro, Casa Editrice Economica Laterza, Bari, 2019
(6) Oscure Madri Splendenti, Le Radici del Sacro e delle Religioni, Luciana Percovich, Collana Le Civette di Venexia, 2007 by Venexia
(7) Fate, testo e illustrazioni di Brian Froud e Alan Lee, a cura di David Larkin, Rizzoli, Edizione Originale 1979
(8) Corpus Hermeticum, a cura di Valeria Schiavone; Bur, Rizzoli, classici greci e latini,2016
(9) Psicologia e Alchimia, Carl Gustav Jung, Case Editrice Bollati Boringhieri, Torino, 2017
(10) Il Fantastico Mondo delle Creature dell'Acqua, le doti magiche delle creature acquatiche, le leggende e i miti di cui son protagoniste, le tecniche per evocarle; D.J. Conway, Gruppo Editoriale Armenia S.p.A.m 2005, traduzione di Anna Carbone
(11) Odissea, Omero, Universale Economica Feltrinelli, Grandi Classici, 2014
(12) Streghe in Piemonte, Pagine di Storia e Mistero, Massimo Centini, Priuli e Verlucca, 2010, 2018, Ivrea/Torino
(13) Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Rizzoli, Milano 2007
(14) Igino, Miti, a cura di Giulio Guidorozzi, Adelphi, Milano 2000, p.98
(15) Maurice Blanchot, Il Libro a Venire, trad. italiana di Guido Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino 1969, cfr. (1)
(16) Aurora, Pensieri su Pregiudizi Morali, F. Nietzsche, Gli Adelphi, 1978
(17) Ovidio, Metamorfosi, Libro III, vv. 395-401, trad. italiana di Mario Scaffidi Abbate, Newton Compton, Roma 2013, cfr. (1)
(18) Le Dee Perdute dell'Antica Grecia, a sua volta tratto da E.O. James, The Cult of the Mother Goddess: An Archeological and Documentary Study; Frederick A. Praeger, Inc., New York 1959, p. 147
(19) Franz Kafka, Die Briefe, cit., p. 1081. Cfr. Luciano De Fiore, “Sirene tra Logos e Desiderio”, in La Mente, il Corpo e i loro Enigmi; Saggi di Filosofia, Stamen, Roma 2007, pp. 171 e sgg. In particolare, il paragrafo “Allarmi e Silenzi”, p. 183 (Cfr:1)
(20) Bertolt Brecht, Odysseus und die Sirene, Agniese Grieco cita da Berichtigung alter Mythen, in Bertolt Brecht, Gesammelte Werke, hrsg. Elisabeth Hauptmann, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1967, vol. XI, p. 209.
(21) Era della Roccia Madre è una espressione coniata dall'archeologa dell'immaginario Luisella Veroli, Dal Cosmo alla Cosmesi, la divina seduzione e l'arte del trucco dalla preistoria al futuro, Luisella Vèroli, pref. di Silvia Vegetti Finzi, Iacobelli Editore, 2016, p.47 e pp. 71 - 73
(22) G. Weiker, “Seirenen”, in Ausfuhrliches Lexikon der griechischen und romischen Mythologie, a cura di W. H. Roscher, Teubner, Leipzig, 1884-1937, IV coll. 599-639, cfr. (2 p. 22)
(23) Marco Tullio Cicerone, Il sommo bene e il sommo male, vv. 48-53, a cura di Fabio Demolli, Milano, Bompiani 1992, pp. 307-311, cfr. (1)
(24) La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, pp. 71-85, 1992
(25) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Le Civette di Venexia, 2011, Collana Le Civette, a cura di Luciana Percovich
(26) Magia e Spiritualità Hawaiane, Scott Cunnigham, Età dell'Acquario, Torino 2017
(27) Le Dee e gli Dei dell'Antica Europa, Miti e Immagini del Culto, 6500-3500 a.C.; Marija Gimbutas, Stampa Alternativa, Viterbo, 2016
(28) Antonio Silla, La Fondazione di Partenope; dove si ricerca la vera origine, la Religione, e la Polizia dell'antica città di Napoli, Stamperia Raimondiana, Napoli 1769, cfr. 21, p. 101.
(29) Le Secret de l'Ourse, Marie Cachet, Printed in Great Britan by Amazon, 2018
(30) Le Divinità femminili del pantheon nordico, Claudia Emanuele, Edizioni La Zisa, p.16

Sitografia

(a) Digital Commons @Andrews University, Faculty Publications, 2010, Paul Z. Gregor
(b)Kalevala: il passato pagano e il sacro femminino alle origini della mitologia baltofinnica e la progenitrice nei miti artici, ugrofinnici e scandofinni - Ricerca di Biancaspina
(c) Antichità Uniroma - Saggio di Fabrizio Moro
(d) www.parcodellavaldorcia.com
(e) www.academia.edu
(f) Vincenzo Pisciuneri, Sapienza Misterica
(g) www.liutprand.it
(h) Goddess Tara - Magazine Nepal

Supporti e Ringraziamenti

Si ringrazia Emmanuel Riondino, ricercatore in scienze ermetiche e mitologia, che opera come tarologo da oltre dieci anni, offrendo corsi e consulenze di avviamento alla comprensione della coscienza e dell'interiorità; per le informazioni preziose e fonti altrettanto rare fornite su Tara Bianca e le indicazioni su Kenneth Grant, solo brevemente citato in saggio.
Si ringrazia Yadira C., una delle donne che mi ha permesso di sperimentare atti di vera e propria iniziazione al culto delle dee acquatiche africane primitive

Crediti immagine: La Sirena, William Arthur Breakspeare

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