Dove si sono
nascoste le creature magiche della Grande Madre, un tempo venerate come sue figlie e rispettate dalle donne e agli uomini primitivi? Potrebbe essere ancora possibile scorgerne la presenza,
magari in qualche luogo molto lontano – o così vicino ma invisibile? .
Questa è la storia
di Maya, colei che, durante il sogno, ovvero in uno stato di coscienza “aurorale”
scoprì quel luogo nel quale tali antiche, sacre, sotterranee e talvolta spaventose
creature si nascosero per perpetuare la Voce di Colei dal cui vagito l'intero
mondo ebbe inizio...
*****
Maya era molto cara alla sua nonnina, ella a sua volta ricambiava questo amore, cogliendo fiori per l'anziana signora e facendole sempre trovare un caldo pasto in tavola.
Un giorno, però, incuriosita da un languido tepore profumato che proveniva dalle profondità del bosco, Maya si allontanò, sporgendosi sulle rive di un sogno.
La stradicciola increspata dalla polvere e costeggiata di tulipani rossi, era avvolta da una evanescente aura sibillina, capace di parlare a Maya, che ne udì l'irresistibile richiamo.
Cammina e cammina, la piccola si ritrovò in una splendida radura dorata, ove tutto brillava e luccicava: un bosco d'oro (così a Maya parve quel luogo).
Tre bambine goffe e dai piedi sproporzionati attirarono a sé la deliziosa e minuta Maya, che invece era tanto chiara e tanto elegante quanto avrebbe potuto esserlo una principessa.
Le tre fanciulline danzavano in cerchio intonando inquietanti nenie, girando intorno ai piedi di un albero maestro che sorgeva al centro del bosco d'oro: danzavano e danzavano, confondendo lo sguardo di Maya che, a quel punto, ipnotizzata dalla spiralica danza, cadde a terra svenuta, come avvolta precipitata nell’incanto.
Giacque immobile per quelli che al suo risveglio le parvero pochi istanti, purtuttavia ignorando che, nel mondo reale, laddove la nonnina ormai morente la attendeva in apprensione, erano passati alcuni anni.
La piccola si stropicciò gli occhi e si accorse di trovarsi all'interno dell'albero cavo intorno al quale le goffe creature del bosco stavano danzando. Dinnanzi notò una bellissima serpe, anch'ella dorata, adorna di drappi d'argento e d'oro, che portava sulla cima del volto una meravigliosa pietra smeraldina che rifletteva tutti i colori dell'arcobaleno.
Ovunque all'interno dell'albero v'era oro e oro ancora. Maya non poté smettere di meravigliarsi, lasciando risplendere il suo bianco sorriso in quel luogo così puro e felice, anche se strano per lei. La piccola serpe le si avvicinò e Maya, ancora incredula, le domandò chi fosse e cosa stesse accadendo. La sinuosa creatura sbatté lievemente gli occhi con fare solenne, e le disse: — Ti ricordi di me, Maya? —.
— Al principio del mondo — le spiegò — Mi giurasti di non scordarti mai né di me né di questo magico e antico luogo. Promettesti che quando ne avessi avuto bisogno, tu saresti accorsa per adempiere al tuo dovere di sacerdotessa della natura —.
Maya scosse la testa — Non riesco proprio a capire di che stia parlando, dolce serpe — e si sentì più mortificata da quell'improvviso senso di colpa che la attraversò, che stupita dal fatto che un serpente potesse parlare.
A quel punto, la piccola serpe, compresa con non poco dolore la dimenticanza di Maya, socchiuse gli occhi di giada e lasciò sgorgare una tenera lacrima bianca, che scivolò fino alle radici dell'albero cavo.
Il liquido si dissolse nell'oro e, mentre la bambina nutriva uno strano e profondo senso di mancanza, la serpe le disse: — Perché l’amnesia dalla quale sei stata colpita non ricapiti più, sono disposta a darti le istruzioni per ricordare il messaggio di cui avresti dovuto essere consapevole portatrice —.
Maya annuì, fiduciosa che la serpe stava per rivelarle qualche misterioso segreto, di quelli che si trovavano solamente nei libri di fiabe con i quali la sua nonnina l'aveva amorevolmente cresciuta.
Continuò la piccola serpe: — Guardati bene dal non toccare questo oro, poiché anche se può sembrare meraviglioso e reale, è in realtà la proiezione di ciò che gli esseri umani hanno scelto di venerare, molto tempo fa, al posto della Grande madre degli animali e della natura —.
— Tra poco, ti chiederò di fissare con tutta la tua concentrazione la pietra preziosa che porto sul capo e, quando lo avrai fatto con totale trasporto e fiducia, tutto ritornerà come prima. Ti ritroverai davanti all'albero cavo intorno al quale stavano danzando le driadi e a quel punto ti offriranno dei doni, convincendoti che tu ne abbia bisogno, ma tu dovrai rifiutare, e dovrai ritornare alla casa della tua nonnina dove il tempo (solo se avrai rispettato la mia consegna), sarà ritornato a quando hai lasciato la tua casa —.
— Farai tesoro di quanto ti ho istruito, bambina mia? —.
Maya annuì solennemente, fissò la pietra verde e in un baleno si ritrovò dinnanzi all'albero delle danze.
Subito le tre goffe creature le si avvicinarono.
La prima le offrì una boccetta d'oro, promettendole che se ne avesse versato il contenuto sui suoi capelli, questi sarebbero diventati più lunghi, chiari e splendenti.
La seconda le offrì un latte, che se Maya avesse spalmato sul suo corpo, l'avrebbe resa ancora più bianca e radiosa.
La terza offrì alla bambina un rimedio medicamentoso che, se assunto per via orale, l'avrebbe resa immune a malattie e vecchiaia.
Maya ringraziò le fanciulle per la loro generosità, ma rifiutò con garbo i loro doni, allontanandosi verso la stradicciola che l'avrebbe ricondotta a casa, che adesso sembrava certo meno attraente che all’inizio, dato che nulla avrebbe più potuto comparare quel magico luogo dorato e infestato dalla magia, che ora giaceva in un sogno.
Una lieve malinconia si fece strada dal plesso solare verso il suo petto, per poi sfiorarle la gola. Maya sospirò – tenendo il passo – pensando che, tuttavia, l'idea di avere mantenuto la promessa fatta alla piccola serpe la rincuorava. Forse in una qualche maniera le avrebbe portato fortuna.
Giunta a dimora, trovò la nonnina affaccendata ai fornelli, rinvigorita e meno affaticata del solito. La casa conservava un magico tepore, lo stesso che, dopotutto, l'aveva attratta a addentrarsi nel bosco. Forse non se n’era mai accorta, di quanta magia già vi fosse nella sua vita, dopotutto…
La nonna, che nel frattempo aveva dimenticato il tempo durante il quale si era accorta della scomparsa di Maya, le sorrise dolcemente: — Eccoti cara, ho visto che eri stanca e ho voluto cucinare per te, come accadeva tanto tempo fa —.
Le due cenarono in silenzio, avvolte dalla luce del caminetto scoppiettante.
Tutto era pace e giunse la notte con la sua coperta di stelle...
Maya si addormentò, pensierosa e ancora incredula, nel suo tenero giaciglio di paglia, ripensando a quanto aveva visto e vissuto, chiedendosi se avrebbe mai rivisto quella creatura magica tutta argento, oro e arcobaleno.
Nel frattempo, la piccola serpe, che stava vegliando su Maya sbirciando dalla finestra, la benedì, lanciando su di lei e sulla sua casa un incantesimo di protezione e bellezza, che, di lì in avanti, avrebbe protetta lei e la nonna da qualunque sventura le avesse sfiorate.
Nel profondo dei suoi sogni, quando Maya crebbe, rivide quella serpe ancora e ancora, sempre più spesso, giungendo alla conclusione che quel regno d'oro del quale a lungo ebbe nostalgia da bambina, in verità si trovava all'interno della sua anima e avrebbe potuto ritrovarlo ogni volta che ne avesse sentito necessità.
Forse era ed è lì, nel cuore di una bambina gentile; che le creature della Grande Madre ancora potrebbero vivere ed essere reali, facendo dono della loro saggezza anche se confinate a un luogo lontano, che oggi chiamiamo sogno.
(1) Per
approfondire il tema della caccia e conseguente annientamento delle creature
ctonie legate alla Dea Madre arcaica, quali serpenti, lucertole (e draghi) si
consiglia la lettura della Leggenda del Lago d'Orta intitolata L'Isola
dei Serpenti, nella quale si narrano le imprese di San Giulio che devastò
le acque del Lago d'Orta, annientando tutti i serpenti che le infestavano, al
fine di cristianizzare l'isola, epurandola dalle tracce pagane di cui tali
creature erano testimoni. “Il Santo morì e venne sepolto proprio lì. E nella
sacrestia di quella chiesa si conserva appesa al soffitto la vertebra di un
drago, uno dei tanti che una volta infestavano l'isola e che fuggirono
spaventati al comando di un uomo giunto da lontano, con un mantello per barca e
un bastone per remo, quel giorno lontano di tanti anni fa”. (I giorni
della Merla, Leggende tra Varesotto, Lago Maggiore e d'Orta, di Chiara
Zingarini, Pietro Macchione Editore, p. 48).
(2) La natura
della parola “sogno”, nella fiaba, si riferisce non tanto al sogno come si
tende a concepirlo, bensì raccoglie in sé il significato profondo di “visione”,
che può avvenire soltanto quando si è in pace con la propria coscienza, nonché
con la propria autentica identità ed essenza. Solo allora, nel tempo onirico
che riguarda se stesse/i, sarà possibile scorgere l'anima – nel racconto
incarnata dalla serpe – farsi strada nei propri pensieri, nelle proprie
parole e nei propri gesti che, guidati dal desiderio di armonia e di giustizia
molto più che dal bisogno di fama e possesso, condurranno alla vita di favori
che realmente spetta a tutte/i coloro che hanno fatto della custodia della
bellezza e dell'armonia interiore naturale il loro principale obiettivo.
Prestando
attenzione allo stato di incantamento(3), nonché “aurorale”, che
talvolta attraversa la mente, magari durante una gita a contatto con la natura
o semplicemente abbandonandosi ad attività semplici come gustare una bevanda
calda, cantare, suonare, danzare – o addirittura ricercandolo
consapevolmente, creando le condizioni affinché la mente possa volontariamente
incantarsi – potrebbe capitare di vivere un'esperienza simile a quella di
Maya: la vera natura delle cose potrebbe destarsi, facendo luce sulla anima
divina che abita dentro di sé e lasciando così cadere il velo dell'illusione(4)
che ce ne teneva lontane e lontani.
(4) Come quasi
sempre accade, il tema alchemico del falso oro del volgo, nel racconto figura
chiaramente. L'aurum vulgi (l'oro comune) è appannaggio di tutte e tutti
coloro che si sarebbero fatti ammaliare dalle fanciulle del bosco, accettando i
loro doni ed accaparrandosi l'oro trovato all'interno dell'albero cavo; mentre l'aurumu
non vulgi si identifica nell'oro dell'anima, nonché nella presa di
coscienza dell'artifex – in questo caso Maya, la protagonista – di una felicità che si delinea
nel raggiungimento di quello stato di imperturbabilità interiore che gli
alchimisti medievali avrebbero identificato nella sostanza del lapis
philosophorum, nonché la famigerata pietra filosofale, capace di risanare
la materia dalla corruzione, trasformando il metallo in oro. Naturalmente, tale
materia grezza era sondata nell'anima: la sola sostanza sulla quale, dopotutto,
è realmente possibile agire se si anela a raggiungere uno stato di
incorruttibilità interiore; il che non significa certo negare a se stesse e se
stessi tutto ciò che è piacevole e nutriente, e in definitiva bello, ma
significa agire nella bellezza e per la bellezza sempre e soltanto in linea con
la propria morale, fedeli alla natura che abita il proprio mondo interno.
Esattamente come
Maya che, nella fiaba, avverte un senso di pace nell'aver rispettato la
consegna della serpe, pur essendosi dovuta negare i benefici dell'oro comune
per restare fedele al proprio sentire profondo.
(5) Maya – come
ha riferito la studiosa della via Maya-Tolteca Alessandra Comneno in una
recente diretta Facebook a cura di Laura Sofia – significa proprio “sogno”.
Questo è il motivo
per cui ho scelto di chiamare così la mia piccola protagonista.
“Māyā” è, fra
l'altro, un concetto religioso e filosofico indiano che nella speculazione Vedānta
assume definitivamente il significato di “illusione cosmica”.
Abbraccia tutto il
mondo fenomenico, inesistente e illusorio, contrapposto all’unica realtà
che è il Brahman (5).
(6) Forse, nella
capacità di Maya di lasciarsi incantare dalle danze delle fanciulle intorno
all'albero maestro, purtuttavia riuscendo a non crogiolarsi nel sogno troppo a
lungo, rifiutando i loro doni; si delinea la volontà di incantarsi, sì, ma
ricordando che è nel contesto quotidiano che le rivelazioni giunte
dall'incantamento possono trasformarsi in qualcosa di concreto, che possa anche
essere messo a disposizione degli altri.
Pertanto, se è
necessario incantarsi dinnanzi alla natura divina delle cose (contemplandone
la perfezione e traendone beneficio) è altrettanto necessario che a un
certo punto ci si desti dalla visione, per ritornare a quel luogo materiale nel
quale si ha a disposizione il potere di forgiare le rivelazioni ricevute, per
farne tesoro nella propria e altrui esperienza di vita.
Ma qual è la vera
realtà; quella che Maya vive durante la visione della sua stessa anima, o
quella nella quale si ritrova nella sua dimora, affaccendata con la dolce
nonnina? La risposta è che le due realtà sono trame intessute sul medesimo
arazzo, inteso come la totalità non-duale nella quale corpo e anima si
incontrano, poiché sono l'uno agente e custode dell'altra e l'altra maestra e
orchestratrice dell'uno. Giungendo a un rapporto equilibrato fra le due
dimensioni che si abitano, sarà possibile scorgere attimi della verità magica e
invisibile che sottostà a tutte le cose, pur godendo, con il corpo, della
realtà materiale oltre cui tale magia si cela e nella quale purtuttavia agisce,
se solo la si ricorda e risveglia.
Bibliografia
(1) Psicologia
e Alchimia, Carl Gustav Jung, Premessa di Luigi Aurigemma, Edizioni
Bollati Boringhieri, Prima Edizione 2006, Ristampa marzo 2017.
(2) La Quarta Via,
Discorsi e dialoghi secondo l'insegnamento di G.I. Gurdjieff, P.D.
Ouspensky, Casa Editrice Astrolabio (Ubaldini Editore), Roma, 1974
(3) Il Mondo come
Volontà e Rappresentazione, A. Schopenhauer, Edizione integrale, Newton
Compton Editori, 2016
(4) Enciclopedia
Treccani, www.treccani.it
(5) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Venexia Edizioni
Crediti fotografia: Pinterest di artista ignoto/a
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