Il vero mito di Demetra e Persefone e cenni sulle Madri dell'assolato campo biondo fino alla parentela con le Sirene
“Intanto aveva Adamo nell'attesa
fatto di vaghi fiori una ghirlanda
per adornare le sue bionde trecce
e incoronare la sua fatica agreste,
come incoronarono spesso i mietitori
la loro regina delle messi ai campi”.
Milton, Il Paradiso Perduto
Il Mito
Un tempo esisteva una estate perenne. Piante e fiori
crescevano e maturavano indisturbate, per poi decomporsi in un perfetto ciclo
di morte e rinascita. Nei clan delle Madri gli uomini si occupavano della
ricerca della selvaggina e le donne si occupavano delle erbe, esplorando
tutt'intorno agli abitatati e arrivando a conoscere le proprietà sazianti e
medicinali di frutti e piante, scorgendone anche il potere guaritore; per
grande gioia della Dea Demetra, fiera della celebrazione che gli esseri umani
facevano della sua creazione. Decise così di far loro dono del grano, affinché
se ne sfamassero: insegnò loro a piantare i semi, coltivare, e mietere e
macinare.
Tale processo essenziale di nutrimento era affidato alle donne, poiché
considerate sacre in quanto possedevano il grembo magico capace di donare la
vita, proprio come la Madre Terra; potevano forse trasferire la loro magia
procreativa anche alle colture.
La figlia di Demetra, la bellissima Persefone,
vegliava sulle messi insieme a sua madre e amava in particolare i piccoli
verdi germogli. Al suo tocco persino le piante più timide crescevano, nutrite
dal suo amore e quando erano quasi mature le lasciava alle cure della madre e
gironzolava sulle colline raccogliendo narcisi, giacinti e ghirlande di mirto
per adornare la capigliatura di Demetra.
Persefone adorava i papaveri rossi che
spuntavano fra il grano; spesso si poteva scorgere le due donne con ghirlande
fiorite, danzare per campi, valli e gentili pendii. Lo spuntare dei germogli
d’orzo o di avena dipendeva dallo stato d'animo di Demetra, che felicemente
irrorava tutto con la sua armonia, facendo crescere la natura al tocco dei suoi
piedi germoglianti. Osservando i campi da un gentil pendio, un giorno a
Persefone venne l'idea di confidare dei pensieri a sua madre: — Madre, talvolta nei miei vagabondaggi ho
incontrato gli spiriti dei morti indugiare presso le loro dimore terrene e
talvolta persino i mortali possono vederli nell'oscurità della luna, alla luce
dei fuochi e delle fiaccole. Vi sono spiriti che vagano inquieti, sebbene non abbiano
nessuna intenzione di nuocere. Io parlo con loro, Madre. Sembrano confusi, e
molti non sono neppure consapevoli della loro condizione. Non c'è nessuno nel
mondo infero ad accogliere coloro che sono morti da poco?(1) —.
Demetra allora rispose tra dolci sospiri:
— Sono io ad avere sovranità sul mondo infero. Dalle
profondità della terra, sotto la superficie, traggo le piante coltivabili e le
piante selvatiche. E nelle fosse sotto la superficie della terra ho insegnato
ai mortali a depositare i miei semi dalla mietitura fino alla semina, affinché
il contatto con il mio mondo infero lo fertilizzi. Sì, conosco molto bene il
regno dei morti, tuttavia devo compiere qui la mia opera più importante. Devo
nutrire i vivi(1) —.
Ma Persefone, voltandosi su un fianco, stesa sul verde (1),
ribatté: — I morti hanno bisogno di noi, Madre. Andrò da
loro(1) —.
Allora Demetra fece un balzo e si mise a sedere, accarezzata
da un brivido d'erba frusciante e ricordò a Persefone di tutti i privilegi che
stare lì donava loro, sotto al sole e immerse nelle fragranze gentili. Neppure
si poteva immaginare, la figlia, del locus horridus che era il regno degli
inferi, la pregò allora di ritornare sui suoi passi.
Ma Persefone, dopo aver
cullato la madre con lacrime delicate – le due stettero a lungo abbracciate,
irradiando aure di amore e protezione – non cambiò la sua decisione, che era
ormai definitiva. Incamminandosi in silenzio giù per le colline, si guardarono
allora stanche, sorridendosi con gentilezza.
— Benissimo. Tu sei colma di amore e di doni da
dispensare e non possiamo donare soltanto a noi stesse. Comprendo perché devi
andare. Eppure, sei mia figlia e per ogni giorno che rimarrai nel mondo
inferno, piangerò la tua assenza(1) —.
Allora la giovane figlia della dea raccolse tre papaveri e
tre fasci di grano. Poi Demetra la accompagno verso l'abisso lungo e profondo,
donandole una fiaccola che avrebbe portato con sé in quella oscurità infera.
Persfone discese, allontanandosi allo sguardo della madre affranta. Con un
braccio teneva sul seno il grano della Madre e con l'altro teneva alta la fiaccola
(1).
Sul sentiero roccioso, buio e
freddo non la fecero indietreggiare, poiché quella era la sua missione e Persefone
si sentiva in pace. Dopo un lungo cammino silenzioso incominciò a sentire dei
gemiti evanescenti, che crebbero in chiarezza fino a scorgere la caverna dove
migliaia di anime dei defunti e molti spiriti si disperavano senza una meta
precisa, sconvolti e disorientati. Persefone salì allora su un masso, dopo aver
attraversato tutte quelle ombre nere, creò un sostengo per la fiaccola, un vaso
per il grano di Demetra e una ciotola ampia e poco profonda, colma di semi di
melagrana, nutrimento dei morti. (1)
Fu proprio in quella oscurità che la sua
aura vivifica divenne sempre più abbagliante e irradiava calore e luce per
tutti.
— Io sono Persefone e sono giunta qui per essere vostra
Regina. Ciascuno di voi ha lasciato il proprio corpo terreno e ora dimora nel
regno dei defunti. Se verrete a me, io vi inizierò al vostro nuovo
mondo(1) —.
A poco a poco gli spiriti che venivano a lei, si
abbandonavano a un abbraccio – simbolo del trapasso – la fanciulla prendeva
poi alcuni semi di melagrana e li schiacciava fra le mani, tingendo la fronte
con segno di succo rosso, che sembrava la forma al grano falciato e diceva: — Sei salito alla pienezza della vita e sei disceso nell'oscurità; possa tu
essere rinnovato nella tranquillità e nella saggezza(1) —.
Persefone si dedicò senza tregua a questa missione per
diversi mesi.
Nel frattempo, Demetra, rattristata, vagava in lungo e in largo
sulla terra, sperando che la figlia potesse ad un tratto riemergere dalle
segrete in cui era discesa. Tanta fu la sua pena che tutta la luce e il
nutrimento vennero riassorbite dalla natura, come filamenti d'oro ritornavano
alla fonte, alla loro madre e allora fu l'inverno; e Demetra sostò sopra il
versante spoglio di una collina e fissò i propri occhi infossati nel nulla (1)
finché un mattino non scorse dei crochi purpurei spuntare dal suolo
candidamente, circondandola in un anello fiorito. La Madre era così affranta
che non se la sentì di riprendere quei fiorellini per averle disobbedito, e nel
frattempo invocava il nome della figlia, pregando di poterla rivedere. Poi si
chinò percependo un sussurrare di voci e una tenue aria calda provenire dai
fiori:
— Persefone ritorna! Persefone ritorna! —.
Allora si affrettò sulla collina, giù verso campagne e
foreste, intonando: — Persefone ritorna! —. Ovunque calpestava la
terra ripresero allora a fiorire i germogli e pallidi petali. Gli animali
uscivano dal letargo giocando nell'erba novella, mentre gli uccelli ripetevano
in coro: —Persefone ritorna! Persefone ritorna! —. Allora la madre
creò un mantello di croco bianco per la figlia, che emerse dall'anfratto della
terra e corsero l'una incontro all'altra e si abbracciarono, piansero, risero e danzarono senza sosta. A quel punto fu di nuovo tutto fiorito e la
stagione lieta delle origini tornò, ma da lì in avanti i mortali avrebbero
notato, ogni anno, l'assenza di Persefone, che avrebbe portato ciclicamente
l'inverno sulla terra; per poi rigenerare la natura col suo ritorno, ad ogni
primavera.
La ricerca
Nel mito qui presente – epurato dagli elementi patriarcali della Grecia Olimpica(1) – messaggi, simboli e segnali del passato della Dea greca Demetra e dell'avvicendarsi del tema stagionale tipico delle antiche tradizioni rurali europee, emergono nella loro purezza. La storia originaria delle divinità femminili è spesso ben diversa da quella che si ha imparato a scuola o altrove, L'Antro di Claudia è portavoce di un canto fuori dal coro, fatto di amorevole bellezza e verità.
Demetra arcaica e il passaggio
dalla Società Matrifocale a quella Patriarcale
I Misteri Eleusini, I Misteri
di Iside, La Mitologia di Ade e il Culto di Gaia
Demetra è la Madre del Grano della Grecia arcaica, ossia di
quella Grecia quasi del tutto ignorata dai miti di epoca più tarda che,
ispirati all'inno Omerico A Demetra del VII secolo a.C.(1); hanno contribuito a
diffondere il racconto del famoso ratto di Persefone(1) e pare incredibile che
questa sia l'unica storia ad attraversare l'immaginario e l'inconscio di quasi
tutte e tutti; ma è inconsistente, dato che non attinge affatto al culto
originario di Demetra e di sua figlia Persefone, dove non è mai stato descritto
alcun rapimento ad opera dell'infero Ade. Profondamente
influenzata dalla mitologia egizia, la cultura greca antica ha ripreso di pari
passo i misteri di Iside dall'Egitto, di cui sarebbero stati cambiati soltanto
i nomi, secondo Diodoro (1).
Le origini della Dea in questione sono con tutta
probabilità cretesi (1) e derivano forse dal culto di Gaia, antica Madre terra
che aveva il potere sul regno dei defunti. Ad Atene i defunti erano infatti
chiamati “demetreioi”: Demetra era colei dal cui ventre germogliava la vita, ma
al contempo colei al cui seno si adagiavano i morti. L'aspetto di Demetra
fanciulla era Kore (non è difficile immaginare il tipico avvicendarsi
dell'anno d'ombra e dell'anno di luce in questo, e del tipico ciclo
anziana/fanciulla, governati dai due aspetti dicotomici della Dea della stagione
della morte, l'inverno, e quella del risveglio, la primavera fiorita).
Non si
dimentichi che anche la miscellanea con la cultura celtica, secondo le fonti
tratte da R. Graves e Frazer, ha contribuito alla diffusione del mito
dicotomico. Si pensi ad Annis La Nera (2) e alla Brigid fanciulla dell’alba (di
cui trovate la ricerca nell'Antro); uno dei più antichi temi ricorrenti nei miti sulla Dea delle
origini delle Isole Britanniche.
Le dee arcaiche, dopotutto, incarnavano una
perfetta armonia dicotomica di gioventù e vecchiaia, nascita e morte, luce e
ombra: solo dopo, con l'accentuarsi dell'influenza patriarcale di stampo
indoeuropeo, le dee sono state rapite ( è l'unico ratto realmente avvenuto!) dalla penna misogina e cristallizzate in
aspetti femminili utili al fabbisogno maschile, incarcerate in ruoli che, originariamente,
non appartenevano loro, poiché gli spazi simbolici di queste madri e fanciulle
erano immensi ed elastici.
Le origini stesse di Persefone sono avvolte dal
mistero e probabilmente le due in principio convivevano simultaneamente in una
unica Dea (come in molte altre mitologie europee, del resto) solo più tardi sarebbe stata definita figlia. Ma Persefone potrebbe
anche essere una dea arcaica degli inferi, originaria dell'Attica e assimilata
dalla prima ondata di invasori indoeuropei provenienti dal settentrione (1).
I Doni di Demetra
Etimologia Controversa
tra Grano, Orzo e Frumento
Secondo Isocrate Demetra portò in Attica due doni, le Messi
e il Rito d’Iniziazione (1).
Sebbene la prima parte del nome Demetra derivi da
un'ipotetica parola cretese che si scrive “deai”, orzo e Demetra voglia dunque
dire madre dell'orzo o madre del grano e considerato che Creta sia una delle
più antiche sedi del suo culto, si potrebbe pensare ad una origine cretese del
nome ma tale ipotesi si presterebbe secondo le fonti (3) a gravi obiezioni. Si hanno
comunque ragioni di pensare a Demetra come alla madre del grano: le due specie
associate nella religione greca sono l'orzo e il frumento, di cui è
probabilmente l'orzo l'elemento più legato alla Dea poiché fu il cibo
principale dei Greci dell'età omerica e uno dei più antichi cereali coltivati
dai popoli ariani, nonché la sua coltivazione venne praticata dagli abitanti
delle palafitte dell'età della pietra in Europa(3).
La Vergine del Grano nell'Europa Settentrionale
La Madre
Germogliatrice della Mezzanotte, Cerere Bambolina e La Grande Madre della
Mietitura
Similmente a quanto accade nel mito cretese arcaico, in
Germania, dove veniva anche chiamata madre della segale o madre dei piselli; i
contadini usavano ancora dire negli anni Sessanta — Ecco la madre del
grano!— oppure — La madre del grano corre sui campi!(3) — e ai
bambini veniva vietato di raccogliere papaveri e fiordalisi – citati nel mito
cretese sopraddetto – poiché quei fiori appartengono a Lei.
In un villaggio
della Stiria si diceva che si potesse incontrare la Madre del grano a
mezzanotte, tutta vestita di bianco, poiché a quell'ora vi passava sopra per
fertilizzarli, ma guai se ella fosse stata adirata coi contadini, avrebbe
portato sciagura al raccolto, che dipendeva dalla sua volontà (1) (forse è da questo che derivano molti dei miti sulle streghe che porterebbero sfortuna al raccolto!).
Vicino a
Danzica colui che tagliava le ultime spighe di grano ne faceva una bambolina,
detta la Vecchia o la madre del grano e veniva portata a casa insieme
all'ultimo carro della mietitura dell'anno.
Nell'Holstein la bambolina si
inzuppava d'acqua, come usanza atavica legata ai riti della pioggia.
In alcuni
villaggi della Stiria si faceva invece una ghirlanda con l'ultimo covone e alla
vigilia di Pasqua una bambina di sette anni ne levava i chicchi e li
sparpagliava tra il grano giovane (1). La paglia della ghirlanda veniva poi
gettata nelle mangiatoie del bestiame nel periodo delle festività natalizie,
per farlo prosperare.
Tutto ciò evoca il potere fertilizzante della madre del
grano, che rappresenta i germogli, le parti del suo corpo germogliatore(1).
Anche in Francia, dove più tardi è stata chiamata Cerere – la corrispettiva
romana di Demetra – l’ultimo covone si chiamava madre del grano, dell'orzo,
della segale o dell'avena e se ne ricava una bambolina con una corona e una
sciarpa bianca o azzurra. Nel suo petto si piantava un rametto d'albero, le si
danzava intorno e infine si inscenava un rogo invocando a Cerere una prospera
annata.
Secondo le fonti (3) il nome Cerere (latino “ceres” e osco Kerri,
Kerres o Kerria) fu appreso da qualche insegnante di scuola, sebbene l'antico
costume rimase intatto.
Simili usanze con l'ultimo covone che prende forma
umana femminile venivano praticate anche in Inghilterra.
Tracce Celtiche: la Gran Madre, la Cailleach, Annis la Nera e Wrach la Strega
Nell'Hannover veniva chiamata anche madre della mietitura o gran madre.
Nell'isola di Tiree nelle Ebridi, alla mietitura
vi era una gran lotta per non restare ultimi e, in caso di terre comuni, vi
erano zone non tagliate, perché erano dietro alle altre. Si temeva di sortire
una carestia e di dover nutrire fino alla successiva mietitura la Cailleach,
identificata in una vecchia immaginaria e che sappiamo coincidere col mito
arcaico britannico di Annis la Nera sopracitato.
Nell'Isola di Islay è detta
vecchia moglie o Cailleach.
Nel Galles la bambolina veniva chiamata “wrach” (strega) ed in questo caso l'ultimo covone era fortunato: chi colpiva col
falcetto la bambolina vinceva una birra. Non solo, tale usanza rimase fino agli
anni Sessanta vicino alla contea di Pembroke, ma quando il falcetto venne
sostituito dalla macchina per mietere l'usanza cadde in disuso.
La Madre del Grano tra gli Slavi: la Baba del Covone e la Regina del Grano
Usanze simili si trovavano tra i popoli slavi: in Polonia
l'ultimo covone è la Baba, ossia la vecchia. — Nell'ultimo covone sta la Baba!—,
dicevano.
Anche in Boemia la bambolina veniva fatta e chiamata Baba. Talvolta gli
uomini gridavano alle donne che legavano i covoni al carro: — Chi lega l'ultimo
covone è la Baba e ha la Baba — e la ragazza sarebbe poi rimasta incinta.
Nella
provincia di Cracovia dicevano — Sull'ultimo covone ci sta a sedere la Baba —.
Anche in Russia si dava forma di donna all'ultimo covone e lo si portava in
paese accompagnati con danze.
Per i Bulgari si creava una bambina di grano che
si chiamava regina o madre del grano che poi veniva bruciata e con le sue
ceneri sarebbero stati fertilizzati i campi.
In Svezia se una donna di fuori
compariva nell'aia, veniva adornata con steli di grano e una corona di spighe e
i mietitori gridavano — Guardate la donna del grano! —.
Nel distretto di
Erfurt, nella Slesia talvolta il covone veniva chiamato anche La Nonna, e alla
bambola veniva messo un grembiule.
In Svevia era detta La Vecchia, nella
Prussia occidentale si dava vita a un vecchio fantoccio.
Il Paganesimo Primitivo dei contadini europei
Dal Tempio Naturale della Madre primigenia al Dio cartesiano
Ognuna delle usanze citate, altro non era che un modo per
scongiurare il passaggio tra il vecchio grano e quello nuovo, ossia tra la
vecchia e la fanciulla.
Si tratta, ovunque in Europa, delle nostre progenitrici
e progenitori che praticavano lo stesso paganesimo primitivo fin dagli albori (3); dove ciò che veniva bruciato (la vecchia) per essere sostituito dal nuovo non rivestiva un ruolo negativo ma propedeutico alla rinascita.
Alcune caratteristiche speciali di questo paganesimo agreste è che non c'erano
persone particolarmente rilevanti a livello sociale a praticare i riti, che
erano alla portata di tutte e tutti e non c'erano templi speciali, poiché erano i
campi i templi della Madre del Grano.
E non v'era la concezione di una Divinità
distante e superiore o più nobile dell'uomo o della donna: la Madre del grano
era più considerata uno spirito, una presenza concreta e sondabile,
profondamente legata alla natura e ai suoi cicli, che rispecchiano il suo
comportamento, in cui gli esseri umano potevano (e ancora potrebbero, forse) riconoscersi, all'interno di
una ciclicità spontanea più tardi perduta a causa della concezione di
un dio maschio, austero, cartesiano, che vive lassù in qualche eremo da cui ammonisce.
I costumi dei nostri contadini pagani europei, in tutta Europa,
erano definiti da Frazer primitivi, legati cioè a una natura animista, molto
più vicina a quella che si nutriva all'età della pietra, dove la grande madre
veniva toccata con le mani. In principio si
utilizzavano nomi generici, le dee non avevano storie individuali,
caratteri alla stregua dei sentimenti umani, bensì erano puro spirito che
attraverso il comportamento naturale si esprimeva ed attraversava ogni cosa.
Siamo di fronte a una madre, ancora una volta, primigenia, così
meravigliosamente lontana dagli attributi che le sono stati dati in seguito,
dai miti indoeuropei di stampo patriarcale.
I Costumi della Mietitura tra Celti, Greci e Teutoni
La rozza madre dell'assolato campo biondo
I Greci devono aver in un certo tempo osservato costumi
della mietitura simili a quelli praticati dai Celti, Teutoni e Slavi, analogamente praticati dagli Indiani del Perù e da molti popoli delle Indie Orientali.
Ogni popolo dedito all'agricoltura ha in qualche modo immaginato una stessa
madre della coltura. Probabilmente Demetra e Persefone, le belle e maestose
figure della mitologia greca, derivano dalle semplici credenze e pratiche che
fino agli anni Sessanta ancora fiorivano tra i nostri contadini moderni ed
erano inizialmente rappresentate da rozze bambole fatte con biondi covoni sui
campi di grano, assai prima che le loro immagini venissero foggiate artificialmente
con il marmo.
Scavando nel passato contadino della Grecia primitiva,
senz'altro, secondo le fonti, si scoprirebbe che molte “Demetre” e molte “Persefoni”
venivano forgiate con il grano e non appartenevano affatto al contesto
maestoso dei templi ellenici che si sono appropriati delle loro figure
primitive e semplici, nelle quali viveva il vagito della mietitura e della semplicità. Come
potevano le Madri del grano, che appartenevano al sole e alla terra, adattarsi
al clima fresco e ombroso del maestoso tempio? (3)
In alcuni scritti, a ogni
modo, è ancora possibile intravedere la rozza figura primitiva della Madre del
grano, poiché è da lì che ella giunge, dall'assolato campo biondo.
“La divinità è nella natura e pure al di là di essa”.
Biancaspina
Osservando le fonti e unendo i punti tra le varie usanze
che hanno attraversato l'intera Europa primitiva e pagana, è possibile cogliere
nell'usanza di raccogliere il grano maturo, lo spirito di Demetra -
assimilabile, quindi, a quello di una vecchia o di una madre - e il grano da
seme preso da esso e seminato in autunno, avrebbe in sé invece lo spirito di
Persefone, la giovane, la vergine, la bambina del grano (3).
Il mito
originario, pertanto, potrebbe rappresentare questo avvicendarsi dove la
Persefone di un anno, diviene la Demetra dell'anno dopo. Quando con il
progresso religioso il grano venne personificato con una Dea immortale e
quindi non soggetta al ciclo di morte e rinascita tipico delle concezioni
primitive, si dovette trovare posto a una figlia, affinché non vi fosse una
cristallizzazione del mito in cui le genti della campagna non si sarebbero
riconosciute.
Ecco, quindi, il ruolo di Persefone.
La concezione più antica
della Madre del Grano è quindi quella di uno spirito immanente che alberga in esso
(1): il concetto di una natura animata dalla divinità è essenzialmente più
antico e originario rispetto alla concezione di divinità esterne alla natura,
che abitano in un al di là (che pure esiste e al contempo abitano) al di fuori di essa.
Sebbene i nuovi dei antropomorfizzati contentino le esigenze
religiose delle intelligenze più sviluppate e “al passo coi tempi”, i membri più
arretrati della civiltà continueranno ad essere, forse, i soli a conservare l'animismo
delle origini.
Dal momento, dunque, che la Madre del Grano è stata
concepita come al di fuori del grano stesso, l'elemento divino, così come
l'anima, all'interno del grano, è per molte e molti sparita. Da qui il progressivo distacco dal
regno naturale e dalla sua essenza pura e genuina di bellezza e divinità. Ma la
fantasia popolare, non felice di ciò e necessitando di rimanere ancorata
all'anima del grano, ha immaginato Persefone come la figlia di quella Madre che
è stata violentemente distaccata dalla sua bambina, il suo elemento, il campo,
la terra, il seme, l'animus.
Anche Iside e Osiride potrebbero rientrare in
questo giogo: Iside è la madre che dà vita al grano, Osiride è l'anima del
prodotto del grembo della madre. Naturalmente sarebbe impossibile risalire a una verità che possa essere presa per certa, anche secondo le fonti più autorevoli
(3) è necessario consacrarsi al dubbio, in quanto beneficio di non doversi
asservire a concezioni che non appartengono e poter scegliere,
autonomamente, a quale via sentire di scegliere per sé.
La Dea Bianca e le madonne campestri
Il culto di Cerere/Demetra, la Dea dell'Orzo della Grecia
Primitiva; è quindi quello delle antiche Madri del raccolto, le Madri del Grano
a cui si riferiva La Dea Bianca di R. Graves(4), Madre degli Dei e da loro
stessi adorata, triplice Dea bianca germogliatrice, rossa mietitrice e scura
ventilatrice del grano, il cui colore bianco è il fondamentale poiché è il
colore della prima persona della sua trinità lunare, in secondo luogo perché il suo antico culto sembra essere legato al mito di Io, che nel lessico
bizantino di Suida era rappresentata come triplice cangiante, la Dea vacca
bianca Madre degli Ioni, una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia che
si attribuirono i nomi delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i
Danai, i cosiddetti Pelasgi, navigatori originari della
penisola che prendevano il loro nome dalla Grande Dea Danae che presiedeva
alle attività agricole(10).
In entrambe le culture (greca e celtica) che si sono mischiate durante le
invasioni dei popoli indoeuropei, figurano infatti le cinquanta sacerdotesse
Danaidi(4), con tutta probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di Brigit
custodi del fuoco sacro(5).
Una leggenda conservata da Nennio racconta che
l'originaria Britannia protostorica ( precedente alle invasioni romane) possa
aver derivato il suo primo nome da Albione, con cui era nota a Plinio, da
Albina “La Dea Bianca”, nonché maggiore delle sacerdotesse Danaidi. Pare che da
questo legame derivino espressioni germaniche come Elven (donna elfo), Alb (elfo)
e Albdrücken – incubo o demone dell'incubo e, in definitiva, pare fosse legato
alla parola “alphiton” che significa farina d'orzo.
Perciò le due culture, che
attraverso l'assimilazione romana si sono sparse ovunque, nascevano
probabilmente da una Dea trina, Bianca, Rossa e Nera dell'orzo, che fu con
tutta probabilità la stessa dea dell'orzo Danaa di Argo (4), polis greca
fondata nel primo millennio dagli Ioni che veneravano la vacca
bianca.
Nel romanzo di Taliesin, viaggio
senza tempo in Britannia di Merlino e Artù, appare la dea Cerridwen che è
anch'essa bianca (irlandese e gallese Wen) e Cerr che ricorda l'arcaico spagnolo
Cerdo che significa maiale(4).
I bardi gallesi descrivono questa antica dea come
Dea del Grano: Cerridwen è chiaramente la scrofa bianca, la dea dell'orzo, la
bianca signora della morte e dell'ispirazione; ovvero Albina o Alfito, la dea
dell'orzo che diede il nome alla Britannia(4) (similmente, Brigit che appena
nata viene allattata da una mucca bianca con le orecchie rosse(5)).
Anche Ovidio
nei Fasti registra il culto della Dea Bianca, che i latini chiamavano Cardea e
che con tutta probabilità era la stessa Dea che fondò Alba la città bianca, eretta dalle genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione
e fondatrice di Roma: la sua pianta terapeutica era per ovvie intuizioni il “biancospino”.
In questo contesto viene alla luce un'altra grande verità, cioè che prima che
Diana fosse romanizzata e mascolinizzata, spesso confusa con Giano (il che ha
lasciato un enorme fraintendimento nella sua storia) e sottomessa al
matrimonio in quel susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea,
era probabilmente lei stessa la Dea Bianca Cardea, con cui condivide
significati e attributi che sono anche alla base del culto delle Matronae
celtiche assimilate dai romani nei territori delle antiche Gallie . Le Matres, che sono la presenza di un femminile più antico, ora nascosto nelle varie Madonne della Campagna (le Madonne del Latte, della Neve,
e delle Grazie) che potrebbero essere tutte, in fin dei conti, una trasposizione della antica Madre del Grano.
Demetra la Dea-Cavalla, le Tre Epone e Rhiannon
Tracce del Culto in Irlanda
Il culto di Demetra come dea-cavalla era assai diffuso tra i
celti della Gallia che la adoravano sotto il nome di Epona, o le tre epone (a
onorare la sua trinità, probabilmente).
Nella Topographia Hibernica di
Giraldo Cambrense c'è un curioso episodio che rivela come tracce dello stesso
culto sopravvissero ancora in Irlanda nel XII secolo, dove l'incoronazione di
un reuccio irlandese a Tyrconnell prevedeva un breve rito con una bacchetta
bianca (a rappresentare la giumenta bianca) in onore della Triplice Dea
Bianca; nel tempo sostituita dalla trinità cristiana.
Il culto del cavallo in
Britannia risale ad epoca preistorica, ben rappresentato nel romanzo di Pwyll principe
del Dyfed, a cui la Dea Rhiannon (corruzione linguistica di Rigantona, nonché grande
regina) appare evidentemente sotto forma di una giumenta bianca, forse impossibile da raggiungere (4).
Demetra, Persefone e le Sirene
L'ira di Demetra nel secondo inno omerico
La condizione originaria di beatitudine e gaiezza nella
quale versavano Demetra e Persefone, potrebbe essere accostata a quella di cui godevano anche le sirene (di origine asiatica), prima di essere derubate dei loro primigeni attributi sacri dalla mitologia greca. Originariamente le sirene erano ornitomorfe (dato che la coda di pesce, almeno in Europa, sarebbe arrivata con il
romanticismo ottocentesco). Qui le giovani ninfe sarebbero state trasformate in
uccelli simili alle arpie dall'Ira di Demetra. In questo contesto omerico (che
abbraccia il ratto di Persefone a opera di Ade che già abbiamo chiarito essere una falla della narrazione, Demetra viene dipinta come una megera vendicativa e crudele).
Le Ninfe vennero trasformate in
donne-uccello dalla Dea per non aver saputo difendere la loro sorella
Persefone, con la quale vivevano in armonia fino all'arrivo di Ade.
Simili alle
spaventose Lamie delle grotte, Empuse (vampire sanguinare nella tradizione greca) e assimilabili dunque al sacro femminio infero e orrorifico, le sirene
potrebbero essere – solo in questo particolare contesto, si specifica, e
secondo il mio modesto parere – la degenerazione simbolica del personaggio delle anime
sofferenti dei defunti guidate da Persefone...
Persefone/Proserpina e le sirene in Ovidio e Igino
Sia Ovidio che Igino collegano il mito siciliano di Demetra
e Persefone alle sirene. La versione del mito narrata nelle Metamorfosi di
Ovidio narra che invece sono state le Ninfe stesse a chiedere agli dei di
concedere loro le ali, affinché potessero volare sopra al mare per ritrovare la
loro compagna scomparsa, Proserpina (la Persefone latina).
Sofocle le definì korai – probabilmente per un collegamento etimologico con Kore – Euripide le
chiama “Parthenoi”, in entrambi i casi le sirene figurano come messaggere del
lutto, compagne di dolore di Demetra.
Del resto, anche la loro provenienza ne fa sue vicine di casa, tanto è vero che il mito delle sirene ha un cuore mesopotamico e una delle loro dee per eccellenza (dalla quale si è evoluta la stessa Afrodite) è la dea Syria, che condivide alcuni aspetti con la Iside (nel suo aspetto di Stella Maris) da cui il mito di Demetra si è con tutta probabilità generato.
Note e Bibliografia
(1) Il mito di Demetra e Persefone è tratto (ma snellito e rinarrato a parole proprie,
fatta eccezione per i dialoghi che sono integrali) da Le Dee Perdute
dell'Antica Grecia di Charlene Spretnak, Casa Editrice Le Civette di
Venexia, pubblicato per la prima volta nel 1979, Collana Le Civette; I Saggi a cura di
Luciana Percovich.
(2) The Inner Mysteries, Stregoneria Progressiva e
Connessione con il Divino, Janet Farrar & Gavin Bone, Prefazione a cura di
Phyllis Currot, Casa Editrice Brigantia, 2013
(3) Il Ramo d'Oro, Studio sulla Magia e la Religione, James
G. Frazer, Casa Editrice Bollati Boringhieri, maggio 2016
(4) La Dea Bianca, Robert Graves, Gli Adelphi Edizioni,
Milano,1992; Edizione 2022
(5) Tracce Celtiche, Curiose, Misteriose ed Inquietanti;
Marco Fulvio Barozzi, Edizioni della Terra di Mezzo, Quinta Edizione 2014
Crediti fotografia: Brian Clark and Kay Steventon
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