Quando il campo biondeggia e il sole incomincia a ritrarre
il suo tepore, regalando tramonti rosseggianti e tiepide albe, è certo che è il
periodo del “raccolto”.
Se da un lato le streghe di oggigiorno debbano comprendere
l’aspetto simbolico di queste “scadenze” di retaggio antico, è pur vero che studiarne
le origini più pure e semplici aiuta a riconoscerne il sembiante profondo e
atavico.
Nella Wicca – una moderna religione che ha ereditato alcuni
tratti di tradizioni ben più antiche – la ricorrenza di Lughnasadh è
molto sentita. La parola si pronuncia “lunasa” e significa “la commemorazione
di Lugh”. L’ortografia Lúnasa designa il nome del mese di agosto in
gaelico irlandese. Similmente Lunasda o Lunasdal è anche Lammas,
il primo agosto in gaelico scozzese mentre nell’isola di Man il
corrispettivo è Luanys o Laa Lunys.
In Scozia l’arco di tempo che intercorre tra i quindici
giorni antecedenti Lunasda e i quindici giorni consecutivi viene detto
“Iuchar”, mentre nella penisola di Dingle, nella contea di Kerry,
la seconda quindicin a è chiamata An Lughna Dubh (tradotto con “il
festival di Lugh oscuro”).
In questo (viene evidenziato nella Bibbia delle Streghe (1))
è possibile individuare il fatto che la festa venisse celebrata in relazione
alle fasi della luna(2).
Lughnasadh è, del resto, il “parallelo” autunnale di Beltaine(1):
nel primo avvengono, metaforicamente, le nozze con l’anno crescente, nel
secondo quelle con l’anno calante. Ciò si può evincere anche dal fatto che in Irlanda
questo “dio solare” era chiamato Cenn Cruaich (colui che si inchina al
tumulo) (1), nell’ortogtrafia moderna conosciuto come Crom Cruaich e
detto aanche Crom Dubh (Il Nero che si inchina) ovvero un dio “sacrificato”
presumibilmente associato a Lughnasadh.
Nonostante la cristianizzazione, in Irlanda l’ultima
domenica di luglio si chiama ancora Domhnach Chrom Dubh, ovverosia “la
domenica di Crom Dubh” dove, oggigiorno, migliaia di pellegrini di recano per commemorare
San Patrizio, colui che con la crisitanizzazione è andato a sostituire Lugh e
il più vecchio Balor.
Molto di ciò che è rimasto di questa festa di origine
celtica proviene infatti all’Irlanda dove la cultura rurale non è stata erosa
quanto altrove da quella urbana.
Quando il Cristianesimo soppiantò e spesso assimilò a sé
culti preesistenti – e ciò vale ovunque – molti si sono legati ancora di più
alla propria tradizione, tanto da proseguire il culto precristiano in luoghi
inaccessibili, come campagne e fonti.
Il tessuto territoriale da cui l’Antro è venuto alla luce,
dopotutto, non narra una storia diversa: la pianura padana (così come altri luoghi
del Nord Italia) fu abitata dai nostri antenati celti – tracce di alfabeti finanche
proto-celti sono state rinvenute proprio in questi territori della ex Gallia
Cisalpina – prima ancora che dai romani, che ne hanno assimilato usanze,
mitologia e luoghi di culto come fonti o pozzi, nondimeno ereditando i luoghi
di potere un tempo consacrati alle divinità celtiche come la Brigid, ovvero la
protoceltica Belisama (a poco a poco
sostituita da Minerva alla quale sono state titolate le sue acque “sotterranee”).
Lughnasadh, nondimeno, celebra proprio una divinità di
luce: Lugh era un dio del fuoco e il suo nome potrebbe derivare dalla
stessa radice del latino lux – luce – come Lucifero, il portatore di
luce che rievoca Santa Lucia, Lucina, Diana “lucifera” ovverosia le damine “candelifere”
che hanno abitato tutto il paganesimo primitivo europeo, venuto a crearsi su
rotte antiche come la notte dei tempi.
Forme antiche dello stesso dio sono Baal/Beli/Balor che
purtuttavia in lui sono andati a sincretizzarsi.
Lungo questo processo, è possibile che sia avvenuta anche
una mascolinizzazione di divinità femminili preesistenti, poi chiamate “mogli”
dello stesso dio nel quale si eclissavano; sovente per espansionismo (quindi
a seguito di una invasione) o per via di un processo di modernizzazione: le
divinità dovevano rispondere a un mondo che cambiava, e insieme a lui le sfide
dei suoi popoli.
Nelle leggende dell’Irlanda Lugh era la guida del mitico
popolo dei Tuatha de Danann – il popolo di Dana (assimilabile alla
mitica dea Bianca di Robert Graves, che condivideva con la greca Demetra e con
la più lontana Iside l’epiteto di “bianca” relativo alla farina e quindi al
grano) – ma ad ogni modo un proverbio risalente a Ballycroy nella contea
di Mayo (Irlanda) recita “Tá gaoth Lugha Lámhfada ag eiteall anoth san
aer. Seadh, agus drithleógai a athar. Balor Béimeann an t-athair” ovvero “Il
fiato di Lugh braccio-lungo aleggia stanotte nell’aria. Sì, e le scintille di
suo padre, Balor Béimann” (3).
Due epiteti significativi di Lugh – il cui corrispondente
gallese è Llew Llaw Gyffes – erano Lugh Lámhfada (pronuncia Lu
lavada) e Samhioldánach (savil-danach con la “ch” aspirata) che
vuol dire “colui che è abile in tutte le arti” (similmente alla Brigid, con
la quale condivide un corredo non indifferente, date che ella è custode di
tutti e tre i fuochi e le corrispettive arti).
Forse il fenomeno che ha visto cambiare progressivamente ciò
che ab origine era una entità “unica” sono i metodi con cui si ha provveduto al
raccolto: insieme ai mezzi sono cambiate le concezioni della divinità.
Secondo Strabone (55 a.C. – 25 d.C. ca.) le città dei Celti
erano i boschi e non si fermavano mai troppo a lungo in un luogo, forse è
uno dei motivi per cui Balor per ragioni di necessità venne eclissato da Lugh,
poi conosciuto come suo figlio.
Gli stessi monumenti cristiani dedicati a San Michele
sembrano essere stati una continuazione della venerazione a Lugh: egli, custode
del fuoco; lo avrebbe sconfitto – come sconfigge il serpente – portando la “nuova
luce” del cristianesimo (4).
Al di là di ogni leggenda e collegamento, ognuna delle
storie nate intorno a Lughnasadh riecheggiano miti precedenti legati alla grande
madre nel suo aspetto di “triplice Macha”, la dea che è una e trina; difatti
ricordata in questa ricorrenza.
In effetti in molte leggende è ricorrente la rivalità di due
eroi per una eroina/dea (1); ad esempio si nota nel famigerato “scontro” tra il
Re Quercia e il Re Agrifoglio: in molti luoghi la tradizione del raccolto era
un mistero che riguardava le donne e il sacrificio da esse compiuto, al quale
gli uomini era negato l’accesso (1).
Agosto, approfondimenti
La parola Agosto prende il nome dall’imperatore Augusto, ma
in precedenza questo mese si chiamava “sextilis” – dal latino sextus, cioè
“sesto” – si pensi che secondo quanto raccolto in The Inner Mysteries (
opera contemporanea del 2003 di J. Farrar-Gavin bone p. 271 ); alcune
streghe, in particolare irlandesi; utilizzano ancora una antica concezione
della ruota dell’anno che andrebbe di sei mesi in sei mesi, rispettivamente
dividendo l’anno in due periodi o lunghe stagioni; se non addirittura in quelli
che sono considerati come due anni distinti; caratterizzati entrambi da sei
mesi: l’anno della luce e l’anno dell’ombra, ognuno sotto l'egida di una
diversa forma del dio o della grande madre; come la fanciulla e l'anziana del
vero mito di Demetra e Persefone, ereditato dall'Egitto e connettivo di un
motivo mitico di cui ogni angolo d'Europa – per espansionismo e/o assimilazione
– ha dato i proprio nomi e immagini.
Nelle festività solari si delinea in effetti una perfetta coniunctio
oppositorum nella quale si realizza l’opera alchemica cosmica che, se C.G.
Jung ne fa riferimento continuamente nelle sue opere, è proprio a ricordare
come il nostro inconscio individuale sia profondamente influenzato da queste
ritualità incancellabili dall’inconscio collettivo che vuole nella tradizione il
vas hermetis delle radici cultuali dell’anima.
Agosto, pertanto, rappresentava nell'antichità preromana, e
quindi per i popoli celti che abitavano la Britannia, la Gallia Transalpina e
la Gallia Cisalpina, l'inizio del periodo oscuro dell'anno, nonché – secondo le
mie intuizioni – il momento in cui le divinità solari e luminose lasciavano
queste terre per rifugiarsi nell'estate perpetua sulla quale si riapre un varco
ogni anno, nella notte di Samhain, il 31 Ottobre...
Durante i festeggiamenti, dedicati al più arcaico Dio dei
Celti Balor, poi eclissato in Lugh e, in fin dei conti, sostituito da San
Patrizio a opera della cristianizzazione, si celebrava la “messa del pane”
nonché la festa del raccolto, spesso fatta coincidere con la luna piena
del mese di agosto, chiamata, per l’appunto, Luna del Raccolto.
Si tratta della decima lunazione dell’anno, nota anche come Festa
del Pane.
Tale usanza veniva onorata per rendere grazie all'ancestrale
Dea Madre per l’abbondanza dei primi raccolti, e si approfittava del fatto che
questo periodo dell’anno era posto sotto l’egida dell’energia cosmica per
rinnovare la richiesta affinché i futuri raccolti fossero ugualmente generosi.
Se si pensa che la festa cristiana che vi si è sovrapposta è
stata chiamata “La Vigilia del giorno di Nostra Signora”, pare cristallino il
modo in cui la Chiesa Cattolica abbia fagocitato le antiche usanze agresti
precristiane. Il cristianesimo, infatti, ha introdotto in Occidente per mezzo
di papa Sergio I la Festa della Natività della Vergine ricordata l’otto
Settembre, “strettamente legata alla venuta del “messia” come promessa,
preparazione, e frutto della salvezza” – in questo estratto dell’articolo di
Famiglia Cristiana è innegabile la presenza, tutt’altro che velata, di un
collegamento con l’originaria festività del raccolto e le divinità portatrici
di luce suddette.
Si pensi che lo stesso Dio Lugh (che tradizionalmente nella
celebrazione si unisce alla Dea Madre per l'occasione) è stato a lungo
considerato il “Lucifero celtico”; ad ogni modo concetto ormai superato.
La Dea Bianca
Come si è visto nelle numerose ricerche dell’Antro, anche le
Madonne del Latte e della Neve sono il volto cristianizzato delle Madri del
Raccolto, prima ancora romanizzato nella figura di Minerva – sovrapponibile
alla britannica Brigit(8) tutrice delle acque sacre e custode delle tre
fiamme.
Identificata con Vesta o Hestia, in alcune fonti presentata
come Diana “vestale”(9), dal celtico dianna o diona(7) (luminosa e
brillante) è infatti tutrice della luce, ma anche delle acque e con tutta
probabilità progenitrice di tutte le madri gallattofore, del nutrimento e
dell'abbondanza, legate al culto di Cerere/Demetra, la dea dell'orzo della
Grecia Primitiva.
Le madri del raccolto, le madri del grano tra le
quali svetta Iside (che reca l’epiteto Sochit/Sochet, ovverosia “Campo di
Grano”) la quale nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai,
diede anche vita al culto della Vergine Maria nel suo aspetto di Stella Maris.
Tutte queste dee sono state raccolte sotto l'egida della
famigerata Dea Bianca di R. Graves, madre degli dèi da loro stessi
adorata, “triplice dea bianca germogliatrice, rossa mietitrice e scura
ventilatrice del grano” nella quale vivono tutte le fasi e i cicli dell’anno,
il cui colore bianco è il fondamentale poiché è il colore della prima persona
della sua trinità lunare ed in secondo luogo perché il suo antico culto sembra
essere legato al mito di “Io”, che nel lessico bizantino di Suida era
rappresentata come triplice cangiante, la dea vacca bianca madre degli Ioni,
una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia che si attribuirono i
nomi delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i “Danai”, i cosiddetti “Pelasgi”,
ossia i navigatori originari della penisola che prendevano il loro nome dalla Grande
Dea Danae, che presiedeva alle attività agricole(10).
Dea Bianca, indiscutibilmente chiamata con questo nome nella
Grecia Antica così come nella Britannia: in entrambe le culture, che si sono contaminate
durante le invasioni dei popoli indoeuropei, figurano infatti le cinquanta sacerdotesse
Danaidi (10), con tutta probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di
Brigit custodi del fuoco sacro (8).
Una leggenda conservata da Nennio racconta che
l'originaria Britannia protostorica – precedente alle invasioni romane – possa
aver derivato il suo primo nome da “Albione”, con cui era nota a Plinio, da Albina
“La Dea Bianca”, nonché maggiore delle sacerdotesse Danaidi.
Pare che da questo legame derivino espressioni germaniche
come Elven – donna elfo – Alb - elfo – e “Albdrücken” – incubo o
demone dell'incubo e, in definitiva, pare fosse legato alla parola alphiton
ossia “farina d'orzo”.
Perciò le due culture, che attraverso l'assimilazione romana
si sono sparse ovunque, nascevano probabilmente da una dea trina (ciclicamente Bianca,
Rossa e Nera) dell'orzo, che fu con tutta probabilità la stessa dea
dell'orzo Danaa di Argo (10), polis greca fondata nel primo millennio
dagli Ioni che veneravano la “vacca bianca”.
Ipotesi e collegamenti a parte, nel Romanzo di Taliesin (viaggio
senza tempo in Britannia di Merlino e Artù) appare la dea Cerridwen
che è anch'essa bianca – irlandese e gallese Wen – e Cerr che
ricorda l'arcaico spagnolo Cerdo che significa maiale (10).
I bardi gallesi descrivono questa antica dea come dea del grano:
Cerridwen è chiaramente la scrofa bianca, la dea dell'orzo, la bianca
signora della morte e dell'ispirazione; ovvero Albina o Alfito,
la dea dell'orzo che diede il nome alla Britannia (10) – nondimeno Brigit appena
nata viene allattata da una mucca bianca con le orecchie rosse (9).
Anche Ovidio nei Fasti registra il culto della Dea Bianca,
che i latini chiamavano “Cardea” e che con tutta probabilità era la stessa dea
che fondò Alba la città bianca, eretta dalle genti emigrate dal
Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice di Roma: la sua
pianta terapeutica era per ovvie intuizioni il biancospino.
In questo
contesto viene alla luce un'altra grande verità, e cioè che prima che Diana
fosse romanizzata e mascolinizzata, spesso confusa con Giano – il che ha
lasciato un enorme fraintendimento nella sua storia – e sottomessa al
matrimonio in quel susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea,
era lei stessa la Dea Bianca Cardea, con cui condivide significati ed
attributi alla base del culto delle Matronae, al fianco delle quali figura tutt’oggi
su cippi votivi rinvenuti in aree di culto celtico nel Nord Italia…
“Il potere della Dea Bianca è di aprire ciò che è chiuso, di
chiudere ciò che è aperto” (11).
Questo attributo della chiave e della dea che veicola
gli scambi tra il mondo materiale e quello sottile mi porta altresì ad
accostare la dea bianca (e quindi le madri del raccolto e del grano) ,
la luminosa Diana preindoeuropea del boschetto, alla Dama Bianca nonché alle dee che le sono
affini quali Frigg/Freya e la Perchta/Berchta.
Frigg in quanto colei che – similmente a Ecate – detiene le
chiavi dei regni, Perchta (la strega alpina corrispondente alla Befana italica, la antenata neolitica del focolare)
perché è etimologicamente assimilabile alla runa Perth, che infatti nel libro Runemal
è designata come un portale o una serratura, che la Dama Bianca e le dee di
luce e fortuna (le filatrici) al seguito aprono ed attraversano per condurre ad
un mondo-altro di trasformazione.
“La Dea Bianca è colei che ha molti nomi adorata in molti
modi, Colei che vaga in molti boschetti, che dà la vita e anche la toglie (12)”
– questa fonte antica ricorda che la Dea Bianca è la dea trivalente dai molti
nomi in cui si celano tutte le Dee citate in questa ricerca centrate
sull'armonia circolare di luce e buio, vita e morte.
Le madri – e matronae – che sono la sua eredità sono
anche, presumibilmente, le stesse a cui in un tempo antico era titolata la Notte delle Madri tra il 24 e il 25 Dicembre, ricordata da Beda il Venerabile come tradizione pagana anglosassone ma anche attribuita al Culto della Matrona nel Dizionario di Mitologia Nordica di Rudolf Simek: le vetrnaetr erano le lunghe notti d'inverno scandinave, dove le antenate della stirpe, le Dísir, venivano forse un tempo venerate; forse assimilabili alle Dodici Notti di Natale.
Dopotutto, un altro potente legame tra La Dama Bianca anglosassone e la Dea Bianca del grano si evince dal fatto che nel folclore e nelle leggende germaniche moltiplichi la farina e la sua origine più gettonata dalle fonti coincide con
una antica dea della terra germanica pre-agricola, detta Hertha o Nerthus (con tutta probabilità in seguito mascolinizzata in Njordr).
Una dea della natura, delle stagioni, come Diana, come Demetra, come le
Matronae, le Madonne del latte e le Madonne della neve e del gelo, che sono tutte
eredità di ciò che è rimasto di una Dea della natura onnicomprensiva che sembra
aver seminato il grano della sua verità nelle diverse culture d'origine che,
nonostante si siano mischiate tra loro, di lei ci danno testimonianza nella
tradizione celtica, germanica, greca ed egizia; entrate solo in un secondo
momento a far parte del corpus del pantheon romano da cui sono state
assimilate.
Conclusioni
La madre irrora allora con benedizioni di opulenza tutto il
creato. La terra dà alla luce i frutti dei semi che a lungo hanno sostato nelle
profondità per poi biondeggiare in Agosto nelle vaste distese della campagna.
Il campo più rigoglioso e opulento o quello più scarso e
desolato, a ogni modo, si trova dentro di noi: il raccolto (e quindi il favore delle divinità di luce e fortuna) dipende, di
anno in anno, esclusivamente da ciò che si ha creato da sé, poiché ciascuno, in
ciascun momento della sua vita, sta creando il destino del raccolto a cui va in
contro.
Celebrare Lughnasadh
In tutte le Isole Britanniche (non solo nella frangia celtica ma anche in luoghi come la contea di Durham e lo Yorkshire) i costumi tradizionali di Lughnasadh sono stati spostati alla domenica precedente o a quella successiva al 1° agosto, non solo a causa della cristianizzazione ma anche perché coinvolgono grandi raduni di persone, spesso su montagne o colline, che sono possibili solo in quei giorni di vacanza convenientemente messi a disposizione dal Cristianesimo(1).
Un altro modo di chiamare quella particolare domenica, la Domhnach Chrom Dubh è la Domenica delle Ghirlande o la Domenica dell'Aglio, ma anche Fraughan Sunday, dal gaelico fraochán o fraochóg che significa mirtillo(1): la raccolta dei mirtilli avrebbe segnato, nella tradizione, la positività o meno del raccolto, e quindi il favore del dio Lugh.
Per onorare la tradizione è possibile porre un piccolo pane sull'altare oppure un panino o una focaccina: grano, papaveri e mirtilli insieme ad altri fiori di stagione onoreranno il dio e le dee del raccolto. Il calderone, decorato con steli di grano, verrà posto a Est.
Bibliografia
(1) La Bibbia delle Streghe, Volume I, Otto Sabba per le streghe; Janet e Stewart Farrar, I blu della Caminata, pp. 143-160
(2) Ibidem p.144 Cfr: Máire MacNeill, The Festival of Lughnasa, p.16
(3) Ibidem p.408
(4) Ibidem p.5
(5) Psicologia e Alchimia, Carl Gustav Jung, Bollati Boringhieri
(6) The Inner Mysteries, Janet Farrar e Gavin Bone, Brigantia Edizioni
(7) Il Grande Libro della Magia Bianca, Eric Pier
Sperandio, Armenia Edizioni
(8) Tracce Celtiche, curiose, misteriose ed inquietanti; Piccolo viaggio all'interno di alcuni segni, misconosciuti o ignorati, del passato celtico antico e medievale nell'Italia alpina e padana, Edizioni della Terra di Mezzo, Marco Fulvio Barozzi, pp.152-153, 2000
(9) Il Ramo D'Oro, Studio sulla Magia e la Religione, James G. Frazer, Edizioni Bollati Boringhieri, 2016
(10) La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, pp. 71-85, 1992
(11) Citazione di Ovidio, in La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, p. 80, 1992
(12) Il più completo e ispirato tratto della Dea Bianca di tutta la letteratura antica si trova nell'Asino d'oro di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata dal profondo della sua infelicità, XI, 1-5; Cfr:(10)
Sitografia
Crediti illustrazione: Pinterest di artista ignoto/a
Commenti
Posta un commento