L'Anima in Fiore


Angelus Silesius disse “La Rosa fa la rosa senza un perché, fiorisce perché fiorisce, a se stessa non bada e non chiede che la si guardi”.
In noi c'è qualcosa che sta fiorendo – nell’esatto modo in cui dovrebbe farlo – e noi non lo sappiamo, poiché ci disturbiamo con pensieri che ci dicono come dovremmo essere.
In La Rosa e l'Usignuolo di Farid al-din 'Attar, nel commentario del celebre studioso della Persia medievale Carlo Saccone è scritto: “Non l'eterno Simurgh che vive in ascetica solitudine oltre la mitica montagna di Qaf, bensì l'effimera Rosa attorniata dagli amanti nel giardino, appare all'autore dei nostri due poemetti il simbolo più degno del soprannaturale, l'emblema della divina regalità; non l'austera upupa in connessione con la retta via di Dio, bensì il licenzioso usignuolo innamorato della bellezza di un fiore, appare l'autentico maestro dell'Amore, l'iniziatore agli arcani divini e a una sorta di esoterica sapienza”.
L'Usignuolo nei poemetti del grande poeta persiano Attar, si accorge ben presto che nonostante i suoi sforzi contrari all'amore che naturalmente lo guida e chiama a sé, non può stare senza la sua rosa, nel contesto identificata con l'anima.
Il legame con il fiore più pregiato del mondo è indissolubile, elemento imprescindibile per la felicità, che è anche la vera congiunzione col divino: pura e semplice, immediata, alla portata di tutte e tutti coloro che abbiano lo sguardo attento non appena scorgono un giardino (soprattutto quello che abita dentro, che riflette la natura fuori).
Il giardino interiore è microcosmo del macrocosmico luogo edenico esteriore, che è la natura.
La nostalgia che l'usignuolo prova nell'essere allontanato dagli altri uccelli, poiché turbati dal suo canto “profano”, può essere allora tradotta nello sconforto che talvolta prende l'essere umano in cerca della sua verità, che sente la mancanza, spesso inconsapevolmente, delle terre incorrotte dello spirito primitivo e ancestrale da cui proviene.
Ritrovare la presenza di quel luogo inviolato e incorrotto, tanto antico e lontano quanto vicino e realizzabile, diventa davvero lo scopo della cercatrice o del cercatore dello spirito.
Si impara così che l'amore per ciò che è fuori di sé è soltanto un mezzo attraverso cui elevarsi all'amore per un'altra dimensione, quella divina interna.
V'è forse un luogo del mondo in cui la saggezza e la grazia della verità della rosa non abbiano ispirato scrittori e poeti? Ciò non prova forse che la saggezza della fioritura interiore è insita al sapere innato di ogni cultura che si sia avvicinata al sacro?
Si è dimostrato che la rosa è il fiore più antico di cui si abbia testimonianza, oltre che essere presenti i suoi petali anche nelle tombe dei faraoni egizi.
I suoi petali hanno un potere immenso, capaci di uccidere i batteri al contatto, sono utilizzati dalla notte dei tempi per impedire l'infezione delle ferite, senza contare che l'olio di rosa (ce ne sono svariate specie) è da sempre rimedio universale di bellezza e giovinezza, per via dei suoi poteri elasticizzanti e antinvecchiamento.
Quella dell'usignuolo per la sua rosa, è dunque metafora della ricerca e della trasformazione interiore che Jung definì “processo di individuazione del sé”, ciò che gli alchimisti praticavano in estrazione dell'oro puro da se stessi, come distillazione dell'anima autentica che ci abita che, goccia a goccia, diviene dapprima veleno per tutte le bugie che ci siamo raccontati sul nostro conto, per trasformarsi in siero medicamentoso di purezza e conoscenza.
È nella fase della “rubedo” che gli alchimisti riconoscevano l'ultimo stadio dell'opera alchemica, e la rosa appare in molti miti sia greco-romani che ebraici, che nello stesso contesto persiano, come sangue dell'amante che si deve pungere e sanguinare per arrivare all'amato/a che (che è un mezzo per scorgere l'anima in fiore e autentica che vive in noi, una sua trasposizione).
Anche nella fiaba di Rosaspina, nonché La Bella Addormentata nel Bosco, ciò che separa il principe dalla sua amata sono i rovi che circondano tutto il castello.
Per cogliere il frutto del suo amore egli dovrà rischiare di pungersi con le spine che la proteggono e la tengono prigioniera. Ispirandomi a una citazione di Carlo Saccone ne La Rosa e l'usignuolo, riadatto leggermente un concetto: “Veniamo da un lungo viaggio, e un viaggio altrettanto lungo e una ricerca senza requie ci attende, se intendiamo recuperare i significati dei misteriosi suoni emessi dal bocciolo d'anima che vive in noi”.
“Siamo noi stessi quando odoriamo il nostro profumo preferito e da esso ci lasciamo trasportare alla terra lontana da cui proveniamo”, sottolinea Raffaele Morelli in uno dei suoi memorabili interventi.
Quella è la sola terra alla quale dobbiamo ambire, come Ulisse fa ritorno alla sua matria, così noi siamo promesse e promessi a quel roseto che trae nutrimento dallo zampillo delle acque interiori, alimentate da scelte e emozioni, continuamente (ovvero ciò che determina la natura di quelle acque e la loro capacità di condurci, in limpidezza).
Ma la ricerca dell'anima in fiore, ci costringe in qualche modo ad allontanarci da qualsiasi cammino sacro o religioso canonico e prestabilito: come l'usignuolo viene accusato di idolatria per la rosa, così noi (al costo di essere considerate pazze o pazzi) dobbiamo imparare a mettere al centro l'amore per ciò che autenticamente ci abita, e questo ci rende inevitabilmente eretici ed eretiche nei confronti di qualsiasi sentiero rivelato. Il cammino è dentro di noi, e soltanto noi, autonomamente, possiamo accedere a tale sentiero non battuto. Non ci sono sacerdoti o sacerdotesse a guidarci nella selva oscura che ci apprestiamo a penetrare, chiunque provi a spiegarvi come raggiungerla e a porgere ostacoli e regole sul vostro cammino sacro, guardatevene bene poiché quello è uno stolto e un saccente, qualcuno che, logicamente, non avendo la capacità di attingere al proprio personale “siero fiorito interiore”, ha avuto necessità di unirsi ad altri che ne erano incapaci, costruendo tutti insieme nella paura e nella presunzione di qualche formula appresa, solo una nuova chiesa (non molto diversa da quelle contro cui si battono, anche se loro, questo spesso non lo sanno…).
Rendete il vostro percorso e il vostro canto all'amata anima, “sui generis”, come quello dell'usignuolo del poeta Attar.
I vostri simili (come accade al popolo degli uccelli nei poemetti del poeta) non vi comprenderanno, vi condanneranno e vi giudicheranno, ma chi ha scoperto e amato la propria stessa fioritura interiore, invece, vi seguirà in un percorso di intesa discreta e sottile, comunicherete con un linguaggio mistico puro e libero a cui soltanto poche e pochi hanno accesso, ed è per questo che chi davvero sa, continuerà a tenerlo (in parte) segreto.
Ci sono misteri che devono restare tali, per loro stessa necessità.

“La Rosa può essere il chiaro simbolo di una verità interiore o del Divino steso”, recita ancora C. Saccone in Attar, citando i versi del poemetto: “Nel giardino di rose Tu contemplasti il Tuo proprio volto con l'occhio dell'usignuolo; allora risuonò il giardino del canto dell'usignuolo!”.

Nota

Resta chiaro che, ognuna e ognuno, appartiene a una diversa fioritura.
Nessuno può indicare la strada verso il proprio fiore o elemento naturale di appartenenza, ciò che conta è che la scoperta avvenga nell'intimo di sé e soprattutto spontaneamente.
Non è nemmeno detto che quando la si ha scoperta questa debba necessariamente essere resa visibile ad altre e altri.

Bibliografia e Sitografia solo per brevi cenni

(1) La Rosa e l'Usignuolo, Farid al-din Attar, Biblioteca Medievale, Carocci Editore, a cura di Carlo Saccone. Prima Edizione, maggio 2003
(2) Rosaspina, fiaba dei Fratelli Grimm, Prima Edizione Integrale 1812-815 a cura di Camilla Miglio
(3) Edizioni Riza, la Rosa e la fioritura dell'anima sono un tema costante negli interventi a cura del celebre Psicoterapeuta e studioso dell'anima Raffaele Morelli
(4) Francesco Roat, Beatitudine. Angelus Silesius e Il Pellegrino Cherubico. Prefazione di (6) Marcello Farina, Collana Il Pozzo. Ancora, Milano, 2019
(5) Psicologia e Alchimia, Edizioni Bollati Boringhieri, Carl Gustav Jung

Crediti fotografia: Pinterest di artista ignoto/a

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