Si presenta un brano semplice per comprendere chi sono le madri che si festeggiano nel tempo invernale, rispettivamente dal giorno di Lucia o Santa Lucia, la dama che apre la tradizione invernale con la sua corona di luce, e che anticamente venivano celebrate fino all'Epifania, od addirittura fino alla fine del mese di gennaio, quando tradizionalmente avvenivano gli ultimi fuochi invernali che salutavano la grande antenata.
La Mōdraniht, nondimeno la “notte delle madri” è una
festività di origine anglosassone i cui connotati sono rintracciabili negli
scritti di Beda Il Venerabile nella sua “De temporum ratione”
dell’VIII secolo.
Nel “Dizionario di Mitologia Norrena” di Rudolf Simek
compare invece in quanto festività germanica connessa al sacrificio, in
relazione al culto della Madre/Matrona. Qui la ricorrenza viene accostata anche
ad altre tradizioni della Scandinavia medievale come il “Dísablót”; da Dísir,
che al singolare dís significa dea o sorella; e blot, che vuol
dire sangue; con tutta probabilità legato al sangue delle Madri, al lignaggio,
invero alle antenate. Gianna Chiesa Isnardi delucida che in una fonte si
allude al fatto che i riti in onore delle Dísir avevano luogo nelle famigerate “Notti
d'Inverno” (vetrnaetr); ed avevano lo scopo di proteggere la stirpe.
Sebbene si parli di “notti delle madri” al plurale, è bene ricordare che Beda
si riferì alla “Notte delle Madri” – la unica e sola, che cade a cavallo tra
il 24 e il 25 dicembre.
Secondo una vecchia strega dei Grigioni, e ciò è stato
confermato anche dal II Volume del Taschenwörterbuch der Österreischischen
Volkskunde, il periodo di congiunzione dall'anno antico lunare con 354
notti, all'anno solare giuliano con 365 giorni si chiama “Dodicesimo”, e la Bercht,
ovvero la Berchta, in questa occasione con il suo seguito “andrebbe a cercare
la gente a casa”, trascinando nell'aria la corsa selvaggia.
Secondo questa tradizione femminile antica la notte del 24
Dicembre è quindi la notte della Madre, come in Boemia viene ancora chiamata la
“Mutternacht”, forse retaggio di una usanza preindoeuropea, ossia prima
che le originarie madri oggetto di culto nelle società preagricole venissero
sovrapposte od addirittura sostituite dalle dee dei pantheon portati dai bellicosi
popoli indoeuropei e, successivamente, nascoste nel culto della Madonne
cristiane, generalmente titolate al latte, alla neve o alle grazie.
Le Matres o Matronae che erano venerate nelle Gallie
sono il più tangibile retaggio di quella antica usanza, forse la nostra unica
porta di accesso alle madri nel loro aspetto primordiale e selvatico.
Le Matres della Gallia Cisalpina in particolare erano legate
ad una antica dea preindoeuropea del sole e della luce dal nome Diana – romanizzata
e tutt'oggi creduta erroneamente romana – forse legata alla Dea proto-celtica
della luce Belisama, o Belisma, ma in alcune fonti fatta risalire
alla Tana etrusca.
Tale Diana era una vergine dei boschi, protettrice delle madri
e delle partorienti. La parola celtica dianna o dionna,
significano in effetti “luminosa”.
Quasi tutte “le madri” possiedono questo attributo nella
loro etimologia. I luoghi dove sono state rinvenute tracce del culto di Diana,
anche con ritrovamenti di cippi votivi, sono del resto assimilabili ai luoghi dove
le leggende di Dama Bianca o Frau Holle erano ancora sentite fino a non molto
tempo fa. Holle non è altri che la versione germanica della alpina Perchta
o Berchta conosciuta in area linguistica bavarese come “la luminosa che
porta la morte”, dall'antico alto tedesco peraht, berht, brecht, termini
riconducibili presumibilmente all'inglese “bright” che significa brillare
(anche se non è la sola né l’unica etimologia possibile). Venuta a
identificarsi con la Befana italica o con Fata Piumetta, era proprio una
antica madre di origine germanica preindoeuropea, portatrice degli stessi
attributi di Diana, Lucia o Lutzl, e di Lucina delle partorienti, anche
lei erroneamente creduta romana, di origini etrusche, ma ipotesi curiose
l'hanno intessuta ad antichissimi legami nordici.
Ognuna di loro aveva il dono di far sgorgare la luce dal
buio del grembo invernale: persino in Ucraina, una antica madre preindoeuropea
della terra che pare essere anche una custode delle pulizie domestiche, proprio
come Perchta, possiede attributi simili alla Dama Bianca, si tratta della
grande Mokosh.
Intimamente legate alla più ampia Dama Bianca sono Freya,
Frigga e Holda, chiaramente divinità femminili del folclore germanico e nordico.
Un modo per chiamare la signora Holle è infatti “Mutter Hulda” o “Mother Hulda”.
Un'altra Dea che assomiglia per attributi e poteri a Holle, è la preindoeuropea
Nerthus, venerata come Madre Terra già negli insediamenti germanici
autoctoni. Come Mokosh è una dea della terra, in questo caso di origini
germaniche antichissime, responsabile probabilmente anche del tempo meteorologico:
questo la connette intuitivamente alla antenata neolitica, la custode del
focolare che deteneva il fuoco celeste e che penetrava da una fessura delle
abitazioni analogamente a come fa la “nostra Befana”, erede di tutte queste dee
che sono, forse, progenitrici della sua leggenda.
Queste immagini di dee sono solo alcuni dei motivi per cui
celebriamo la Notte della Madre, e sono solo alcune delle manifestazioni – riconoscibili
in fiabe, racconti e folclore – della Grande Madre dell'Europa Antica alla
quale dobbiamo la certezza della rinascita che ogni anno ci consente di ritornare
alla luce dal buio introspettivo dell'inverno.
Sembra scontato eppure non è così: si pensa che ciò che si
ha non potrà mai essere tolto, e si dimentica che la madre che giunge dal “regno
di sotto”, durante le Unternächte (letteralmente le “notti di sotto”,
ossia undici notti consecutive e sotto l'egida della notte della madre che cade
tra il 24 e il 25 dicembre) a far visita alle case, con il suo corteo di
spiriti fatati e randagi, è realmente nostra madre.
E, realmente, accade che lei accordi o meno premi e
punizioni, poiché ognuna, alla fine, avrà sempre ciò che si merita dalla strega
dell’inverno…
Le madri dentro
La Grande Madre che celebriamo nel periodo solstiziale e di
rinascita, vive anche dentro di noi: è l'occhio saggio che vede tutto, al quale
non possiamo nascondere nessun atto, nessuna emozione e nessuna intenzione e non
esiterà ad ammonire od a gratificare, durante il suo passaggio sulla terra,
nelle sue notti, in base a ciò che avremo dimostrato di nutrire durante il
corso dell'anno, nella totale libertà di scegliere le conseguenze del destino
che da soli ci saremo creati e che stiamo continuando a creare.
La notte della Madre, è la notte nella quale concentrarsi
sulla vivida consapevolezza e sulla sincera gratitudine per tutto ciò a cui,
per mezzo della sua intercessione, possiamo avere accesso, o non averne
affatto.
La maternità ancestrale
Nei giorni solstiziali, quest’anno avverto una profonda necessità
di buio, silenzio e pace.
Ad un tratto mi sento calata in un antico luogo sottile dove
le membra possono trovare ristoro, riposando nella posizione fetale, ed
immaginando di essere in seno a una madre capace di tacere il pianto e la
sofferenza, nel buio medicamentoso del suo abbraccio atavico.
Mi lascio pervadere dall'immagine di una grotta tanto
antica, che potrebbe essere esistita in un tempo antecedente alla storia. In
quella grotta una grande madre dava alla luce dalla sicurezza e dalla
protezione del suo grembo oscuro, una creatura fatta di luce, con la promessa
di ristorare il gelo dell'inverno con i suoi neonati caldi raggi di fuoco.
Immaginando quella maternità ancestrale che tutto avvolse,
mi viene alla mente la nascita della creatura solare dal grembo di una grande
orsa che ha vissuto la sua gestazione nel più gelido inverno del Nord. Le
ricerche dell’antro hanno portato alla luce la possibile verità che i primi ad
aver scongiurato il ritorno del sole nel freddo dell'inverno, con riti ed
usanze legate al sole nascituro, fossero stati proprio i popoli artici.
Laddove il buio è più fitto, può essere che la luce che ne scaturisce sia
ancora più calda e brillante...
Crediti illustrazione: JM Leotti
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