Le Dodici Notti d'Inverno


“Nel periodo che intercorre tra Natale ed Epifania cadono le Dodici Notti, il tempo del “tribunale delle streghe”, in cui non può essere steso il bucato, in cui le donne che lavorano troppo vengono punite. Il ginepro è la pianta che appartiene a questo periodo, poiché il suo fuoco magico ha il compito di trasformare, benedire, guarire; insieme al salice e al sambuco”. 
Le Tredici Lune, Luisa Francia, Venexia Edizioni, p. 40

Le notti che intercorrono tra il Natale e l'Epifania, nonché tra la rinascita della creatura solare portata dall’inverno e il giorno della Befana – che è quanto di più vicino in Italia sia rimasto della Dama Bianca, dea preindoeuropea delle stagioni alla base della germanica Frau Holle e della corrispondente alpina Perchta, conosciuta anche come “Fata Piumetta”, ovvero la Befana – sono tradizionalmente legate alle madri che, con tutta probabilità, essendo una tradizione rinvenuta nel mondo anglosassone sono proprio coloro cui queste notti erano titolate, le notti della Dama Bianca nel suo volto di strega filatrice, la luminosa che porta la morte(1). La Mōdraniht è infatti una festività di origine anglosassone i cui riferimenti si trovano perlopiù negli scritti di Beda Il Venerabile nella “De temporum ratione” rispettivamente dell’VIII secolo.
Nel Dizionario di Mitologia Norrena di Rudolf Simek compare invece in quanto festività germanica legata al sacrificio, inerente al culto della madre/matrona. Qui la ricorrenza viene accostata anche ad altre tradizioni della Scandinavia medievale quale il Dísablót; da Disir, che al singolare, Dís, in antico norreno significa dea, sorella o donna di nobile rango; e blot, che significa sangue; con tutta probabilità legato al sangue delle madri, al lignaggio, invero alle antenate.
“Diverse saghe, alcuni poemi e molte kenningar (perifrasi prestabilite che sostituiscono il nome di una cosa o di una persona); accennano alle Dísir. Tali figure sembrerebbero essere principalmente legate alla fecondità. Gianna Chiesa Isnardi riferisce che in una fonte si allude al fatto che i riti in loro onore avevano luogo nelle notti d'inverno, “vetrnaetr”; ed avevano lo scopo di proteggere la stirpe. (...)Una ipotesi che è possibile fare è, forse, quella che vede le Dísir come la personificazione delle anime delle donne morte legate a vincoli familiari. (...)La Isnardi definisce la Sippe – ovvero il concetto di tutela e crescita della stirpe – di spiriti protettori nella quale sono coinvolte, come una confraternita femminile di spiriti tutelari; in relazione soprattutto al sostantivo singolare dís, che significa proprio “sorella”. (...)Le Dísir sono infine dee preposte al destino degli uomini e, similmente alle Valchirie, hanno il potere di scegliere chi dovrà morire”. — Le Divinità Femminili del Pantheon Nordico, Claudia Emanuele, Edizioni La Zisa, pp. 69-71
Sebbene si parli di “notti delle madri” al plurale, è bene ricordare che Beda si riferì alla “Notte delle Madri”. Secondo una vecchia strega dei Grigioni, e ciò è stato confermato anche dal II Volume del Taschenwörterbuch der Österreischischen Volkskunde, il periodo di congiunzione dall'anno antico lunare con 354 notti, all'anno solare giuliano con 365 giorni si chiama “Dodicesimo”, e la Bercht, ovvero la Perchta, con il suo seguito di bestie selvagge, andrebbe a cercare la gente a casa, trascinando nell'aria la corsa selvaggia. Le Dodici Notti erano quindi in origine il tempo derivante dalla differenza tra l'antico anno lunare e quello solare. In questo periodo le streghe tenevano il loro antico tribunale, giudicavano gli affaristi, i contadini e altre persone che si erano rese colpevoli di una mancanza contro gli esseri umani, gli animali e la natura (1). Le notti dal Natale all'Epifania sono inoltre notti di oracolo sul tempo e sul destino, ed è per questo che sono connesse alle Dísir e alle Nornir.
Sono notti favorevoli per l'oracolo amoroso, per interrogare il fato, per entrare in contatto con le energie sottili e di tenebra e per svolgere incantesimi di riconoscimento della “Trud”. Invero le Truden sono i folletti scompigliatori della Perchta e, curiosamente, il nome di un delle valchirie è proprio Thrúdhr, che significa “donna” o “forza”.
Non a caso la famigerata caccia selvaggia attribuita a Odino che avverrebbe durante queste notti, potrebbe essere stata, ab origine, la marcia infernale della Perchta e delle sue Truden (assimilabile per ovvie ragioni alla cavalcata delle Valchirie).
Secondo questa tradizione femminile antica la notte santa del 24 Dicembre è la (prima) notte della Madre.
In Boemia viene ancora ricordata come la “Mutternacht”, retaggio di una usanza preindoeuropea, ossia prima che le originarie madri dell'Europa Antica venissero sovrapposte od addirittura sostituite dalle dee dei pantheon portati dai popoli indoeuropei e, successivamente, nascoste nel culto della Madonne cristiane generalmente titolate al latte, alle fonti o alla neve, che altro non sono che il volto più prossimo a noi delle antiche madri.
“L'ultimo dei mistici dodici giorni è l'Epifania o Dodicesima Notte ed è stato scelto come il tempo più opportuno per l'espulsione delle potenze del male in varie parti d'Europa”. — James G. Frazer, Il Ramo d'Oro, studio sulla magia e la religione, Bollati Boringhieri, p.656
Le undici notti consecutive alla Notte delle Madri, rispettivamente dal 25 dicembre al 6 gennaio che ne conclude il ciclo (chiudendo il portale sottile che connette i due mondi), in Boemia si chiamavano “Unternächte”, in tedesco unter significa sotto, e sono cioè le notti sotto l'egida della madre, delle madri. Sotto, potrebbe essere anche un attributo legato al “regno di sotto”, in quanto luogo ctonio e tellurico dove il seme riposa nel grembo della terra.
 In effetti, un altro modo di chiamare le Dodici Notti in tedesco antico è “Rauhnächte”: secondo alcuni, risale all’aggettivo alto-tedesco medio rûch, “peloso”; che si riferirebbe a demoni vestiti di pelliccia che vagherebbero per la terra in questo periodo (Krampus), o a rituali volti a proteggere il bestiame. 
Altri studiosi credono invece che la parola faccia riferimento al fumo dell’incenso che soprattutto i contadini cospargevano nelle stalle per purificarle e benedirle. In uso anche il termine Glöckelnächte che si riferisce al Glöckeln ossia andare di porta in porta e suonare il campanello (una usanza che senz'altro ricorda un altro tempi liminare di streghe e demoni femminili, quello della Notte di Ognissanti).
In italiano potrebbero anche essere chiamate notti fumose, poiché in tedesco il rauchen significa fumare; tuttavia nel contesto della antica Madre Bianca dell'inverno (e in effetti anche la parola bianca deriva dal tedesco blank, che significa splendente); potrebbero essere viste come delle notti atte alle fumigazioni di purificazione; tipiche anche dei riti funebri di reminiscenza egizia che avvengono a Novembre. Come accennato nella citazione di Frazer sovrastante, era un tempo in cui le “potenze del male” – che ad oggi potremmo immaginare come delle tossine dell’anno passato da espellere – venivano esorcizzate ed allontanate con grandi fuochi: ciò avveniva in Europa già nel neolitico, quando gli antenati venivano “cacciati” nel regno di sotto in occasione del Capodanno che poteva svolgersi alla fine di gennaio ma anche in un tempo più lontano, a segnare la fine della stagione fredda e accogliere la primavera.
La grande antenata – anche conosciuta come custode del fuoco celeste, di cui la Befana è ereditiera se non la incarna ella stessa – veniva invitata ad abbandonare i villaggi dei clan, che nella cenere riconoscevano le ultime tracce del suo volto.
Queste usanze sono rimaste intatte in molte culture pagane primitive d’Europa.
L'atto di bruciare il ceppo di quercia veniva consumato nel periodo solstiziale, così come l'atto di bruciare una bambola feticcio dalle sembianze di vecchia nel mese di gennaio, come simbolo di conclusione dell'anno passato e accoglienza dell’anima solare bambina.
Anche la fumigazione della salvia, sacra alla Dama Bianca, potrebbe essere un attributo di queste notti fumose e brumose, oscure, arcane e magiche, contenitore cosmico di esperienze oniriche legate ai segreti della grande filatrice del destino, fata madrina del mondo.
Un altro modo di chiamare le Dodici Notti che susseguono la notte natale è “Innernächte”, ossia le notti interne, le notti interiori, le notti dentro al segreto del sé, le notti introspettive e letargiche di ricongiungimento con le radici ataviche della antenata, ma anche le notti nelle quali era meglio restare dentro alle case, a rifocillarsi, a raccontare storie, a godere dei legami familiari, intessuti alle radici antiche del lignaggio che connette alle ave.
Le Dodici Notti, nonostante la natalità del sole solstiziale, potrebbero essere considerate il periodo più oscuro dell'anno dove è meglio stare al riparo
Le Dodici Notti sono soprattutto una dimensione segreta che giace dentro di noi…

Indizi di un culto preindoeuropeo

La culla gravida di retaggi della Dama Bianca, nonché delle Matres/Matronae (che sono il riflesso della Grande Madre preindoeuropea) si trova perlopiù nella tradizione anglosassone, vive nel folclore germanico ma anche in quello slavo; russo ed ucraino. Intimamente legate alla più ampia Dama Bianca sono anche Freya, Frigga e Holda, chiaramente divinità femminili del folclore germanico e nordico. Un modo per chiamare la signora Holle è infatti “Mutter Hulda” o “Mother Hulda”. Un'altra Dea che assomiglia per attributi e poteri a Holle, è la preindoeuropea Nerthus, venerata come Madre Terra già negli insediamenti germanici autoctoni.
La Boemia, fonte preziosissima che porta tutt'oggi la testimonianza del culto locale della Notte Santa in quanto Notte della Madre, confina infatti con la Germania bavarese, territorio tedesco di maggiore memoria di Perchta e quindi della Dama Bianca. Un altro indizio è la forte somiglianza in attributi tra la Dama Bianca e la Dea Ucraina Mokosh, che possiede similitudini profonde con la funzione delle Matres celtiche e con i loro luoghi tipici ed animali, al più è anche dea delle faccende domestiche proprio come la Perchta, nella Befana italica, e nella Fata Piumetta che fa nevicare spiumazzando i cuscini ed il piumone.
Qui emergono anche gli attributi della (romanizzata), antichissima Diana, alla quale era con tutta probabilità titolato il culto lunare triplice pre-agricolo delle donne/streghe dell'Europa Antica, individuato dalla egittologa Margaret Murray. Perchta e Diana condividono infatti l'attributo e l'etimologia della luce.
Perchta è la splendente, o la brillante (per via del legame dell'alto tedesco peraht, berht o brecht con la parola inglese “bright” anche se un'altra ipotesi etimologica la accosterebbe alla parola inglese “birth”, simile al suo nome originario, Bertha); mentre Diana – probabilmente dal celtico Dianna o Diona – evoca la luce e la luminosità; così come “blank” da cui deriva l’epiteto di Dama Bianca, in tedesco antico significa splendente. Anche le Dísir, come Dama Bianca, ovverosia come Lucia/Lussi, che è un altro volto della stessa Berchta; hanno un aspetto protettivo e benevolo, ed uno fortemente legato alla tenebra e alla morte.

Bibliografia

(1) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Casa Editrice Le Civette di Venexia, capitoli uno, due e tre.  2011, Collana Le Civette -  I Saggi, a cura di Luciana Percovich.

Crediti illustrazione: Pinterest di artista ignoto/a

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