La Madre di Agosto, della Neve e del Gelo dalle Dolomiti all'Appennino

La Madre del Gelo dal volto cristiano a quello precristiano

Ovvero del filo dorato che intesse tra loro la Samblana (regina dell'inverno dolomitica), la Madonna della Neve, la dea sabina Vacuna, la Madonna del Latte, le Matres-Matronae, la grande Dea Bianca dell'Antica Grecia e della Britannia primitiva e la Dama Bianca germanica preindoeuropea.

Introduzione alla Madonna della Neve e del Gelo

Sembrerebbe ovvio pensare che il culto della Madonna della Neve, detta anche Madonna del Gelo, possa nascondersi oltre il volto della regina dell'inverno, proveniente da una datazione talmente antica da essere scivolata nell'oblio tra leggenda e fiaba, ma che pare avere un valore storicistico per coloro che ancora parlano di lei e sono solennemente devoti al suo culto e alla sua storia.
Forse il vero nome di quella che conosciamo come “Nostra Signora della Neve”, la cui diffusa devozione è la sostanziale continuazione di quella tributata alla sua progenitrice precristiana, potrebbe essere Samblana(1), la regina dell'inverno menzionata in ogni tradizione sia orale che scritta delle amatissime Dolomiti, i “Monti Pallidi” delle Alpi Orientali quasi interamente comprese nelle regioni di Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.
Si trova prova della leggenda nelle contìe(2) della tradizione ladina – uno dei ceppi etnico linguistici delle Dolomiti affianco a quello germanico – dove fiaba e leggenda sono armonizzate in testimonianze poetiche considerate reali(2) dalle culture di provenienza. 4
Ricorrente è la datazione nelle fonti di ricerca, che quando citano la Samblana o la Madonna della Neve, sovente utilizzano l'espressione “cent'anni orsono” (1)(2)(3) o forse più, la notte in cui il racconto antico si perse tra le Alpi senza traccia (o forse no).
Le vette bianche delle Dolomiti, dopotutto, non sono sempre state così: in origine pare fossero tetre e scure...
 
La Madonna della Neve nelle leggende regionali italiane
 
Il Ghiacciaio della Marmolada - Leggenda Dolomitica
La prima leggenda (2, pp.55-57), narra che due fratelli litigavano per l'eredità di alcuni prati rimasti indivisi dalle ultime volontà del padre e uno dei due se ne attribuì la proprietà così da scatenare l'ira dell'altro che augurò che quei prati venissero ricoperti da una neve eterna seppellendoci sotto anche quel farabutto di suo fratello. In agosto venne la ricorrenza della Madonna della Neve e nonostante gli spergiuri della moglie, il fratello che vinse la proprietà, insistette a lavorare anche se in quella festa della Madonna era raccomandato riposare.
Il cielo divenne sempre più cupo finché, nel bel mezzo dell'estate, i fiocchi di neve scendevano sul prato volteggiando come piume. Il contadino rimase sepolto col suo fieno sotto la neve. Ne cadde così tanta che ancora oggi non s'è mai sciolta, formando il Ghiacciaio della Marmolada.

— Madona da la neif n ca,
Madona da la neif n la.
L'è bon che è mi fen te tobià — (1).

— Madonna della neve di qua,
Madonna della neve di là
Meglio che il mio fieno sia nel fienile —.

Il Santuario della Madonna della Neve - Leggenda Dolomitica

La seconda leggenda (2, pp.168-169) ambientata nella frazione di Corte, all'inizio delle pendici ovest del monte Sief, narra della misteriosa costruzione di una piccola chiesetta tutt'oggi integra dedicata alla Madonna della Neve. La datazione è “ab immemorabili” (2), tanto lontana che si è perduta nella memoria, avvolta nel mistero e nell'inconoscibile disegno divino come la sua posizione, scelta da coloro che la eressero nonostante fosse soggetta a infiltrazioni d'acqua e frane. Ci fu una diatriba (anche in questa versione della leggenda) tra gli abitanti dei paesi circostanti per stabilire dove sarebbe dovuta sorgere quella chiesetta crocevia di pellegrinaggio di tutti gli abitanti dei paesi vicini che non si riuscì a venirne a capo, finché vennero i primi di agosto e l'aria si fece miracolosamente fredda e si vide cadere una abbondante nevicata che coprì la campagna di uno spesso strato di neve.
Quando il bel tempo ritornò, soltanto un piccolo spiazzo di terreno a monte del villaggio di Corte rimase bianco e si concluse che quello era un fatto premonitore, il segno che il volere divino stabilisse che il santuario sarebbe dovuto sorgere lì.
Nel breve tempo la neve si sciolse, ma a ricordo del miracolo dedicarono alla Madonna della Neve la festa che ricorre tutt'oggi a Livinallogno il 5 agosto.
 
La Madonna delle Nevi - Leggenda delle Alpi Graie

La terza leggenda (3) ambientata nelle alte valli delle Alpi, dove finisce il prato per dar luogo al deserto delle rocce e dei ghiacciai, cita la Rosa dei Banchi, una montagna delle Alpi Graie sotto cui sorgono i residui dell'ultimo ghiacciaio rimasto innevato nella Valle di Champorcher.
Agli inizi del Novecento si narrava di un racconto di cento anni prima quando i pastori trovarono lungo le rive di un laghetto alpino una statuetta di legno “grande come un bambino” con una figura di donna scolpita ingenuamente. Si convinsero che si trattasse di una statua della Madonna e la portarono via dal lago per darle dimora in un piccolo tabernacolo del loro paesino appositamente costruito e ornato di fiori, ma dopo poco tempo furono sorpresi dalla scomparsa della statuetta, che magicamente sembrò ritornare da sola al suo laghetto di provenienza.
Ciò fu interpretato come un volere misterioso della Madonna di voler stare proprio lì, in quel regno desolato e ghiacciato, per dare aiuto a chi ne avesse avuto bisogno in quel luogo duro della natura che tanto anelava gentilezza.
Allora eressero una chiesetta in onore di quella Madonnina, e la intitolarono Madonna della Neve in virtù del suo amore puro per quel luogo gelido e bianco.
Ogni anno la chiesetta rimase meta di pellegrinaggi di persone che per lei nutrivano e nutrono tutt'oggi una inesauribile fede, che ricevono offerte di latte dai pastori locali.
 
La Madonna del Gelo - Leggenda della Lombardia

Una storia racconta che in tempi remoti fu realizzata, ai margini occidentali di Bannio, in provincia di Brescia, una cappelletta dedicata alla Madonna. Il luogo era umido e freddo per cui nacque il toponimo, “Madona du' Gil” (13), Madonna del gelo, poi divenuta Madonna della Neve.
Questa è l'unica leggenda la cui ricorrenza viene festeggiata il 5 marzo, e non in agosto, probabilmente perché la zona in quel periodo è ancora innevata.
 
La Samblana e la Madonna della Neve: elementi di contatto

Interessante notare alcuni dettagli ricorrenti nelle leggende: la volontà di abitare il ghiacciaio, la presenza di un laghetto, l'aiuto fornito agli uomini della montagna e la menzione delle offerte di latte.
Anche la Samblana (1), la regina dell'inverno dolomitica, ha scelto come sua dimora una alta cima innevata, l'Antelao e a lei è intitolato anche un laghetto detto  “Lago delle Cipolle”(1), che aveva creato e vi aveva fatto piantare le cipolle curative, per aiutare gli uomini, altra caratteristica in comune con la Madonnina della Rosa dei Banchi, che resta lassù per accorrere in aiuto dei montanari.
Sulla Samblana e sul suo laghetto terapeutico le vecchiette raccontavano molte storie, di cui purtroppo non si ha che una memoria flebile. Pare che l'antica popolazione di Cadore le abbia attribuito anche il merito di aver creato lo splendido fiore Edelweiss (dal tedesco Edel che significa nobile e Weiss che significa bianco (candore)).
Nella parte orientale dell'Antelao, fra la Valle Otental e la catena della Marmaròles, c'era anche un faggio sacro ai pagani che si credeva appartenesse anch'esso alla Samblana e che ella avesse il suo paese natio sulla vicina montagna boscosa chiamata Bayon.
Quando giunsero i cristiani dissero che lassù abitava la Madonna (1), dove c'era anche una sorgente d'acqua creduta terapeutica e miracolosa.
Sia il faggio che la sorgente pare avessero perso i loro poteri, ma un brav'uomo fece costruire lì una cappelletta alla Madonna, che si chiamava Madonna del Caravàggio.
Le testimonianze, anche qui, si riferiscono ad avvenimenti presunti di cento anni prima rispetto ai primi del Novecento.
 
L'esilio della Samblana sui Monti di Vetro

Secondo le testimonianze locali la Samblana venne esiliata dal popolo dei Maói poiché in qualità di loro principessa avrebbe approfittato delle tasse della brava gente per la sua vanità, facendosi intessere un vestito fatto di albume d'uovo, luce ed argento.
Fatta prigioniera venne confinata lassù sui monti di vetro nello sterile deserto di roccia e ghiaccio anche oggi chiamato “Nófes”, poiché lo strascico del vestito una volta ghiacciato divenne troppo pesante da sostenere.
La Principessa divenne però meta di viaggio delle bambine che lì spiravano non battezzate (una sorta di figura psicopompa, traghettatrice tra la vita e la morte): le prime due di loro, gemelle, dette Ymèles, liberarono il suo strascico dal ghiaccio e fu così che la principessa fu libera di spostarsi sulla Marmolada, vagando sulla Tofana di mezzo, sulla Fradùsta e infine sull'Antelao e deve essere ancora là; ma nessuno sente più parlare di lei (1) ...
 
Il ciclo delle bambine messaggere della Samblana

Quello della principessa dell'inverno e delle sue ancelle messaggere, potrebbe essere definito un ciclo leggendario diffusosi in un tempo molto lontano nel sud delle Alpi, poiché nel 1915 un vecchio signore di Pranzo (paese della provincia di Trento) raccontò una storia confusa, probabilmente già molto alterata, di due gemelle chiamate “les eguéles” – le uguali – che sarebbero uscite dal Lago di Garda ed essere state le messaggere di una regina che indossava una veste argentea e trascorreva gli inverni nel lago(1). Pare che la -s finale dell'espressione dialettale sopra citata distingua un plurale ladino che intorno al lago di Garda non si parlava già da molto tempo prima che la storia venisse riportata (1), ergo l'origine è senz'altro molto antica, ma ciò non ha impedito alla sua leggiadria di giungere a noi.
 
La leggenda romana della nevicata miracolosa, la dea sabina Vacuna e tracce neolitiche del culto

La leggenda “canonica” della Madonna della Neve viene ricordata a Roma tra il 4 e il 5 agosto (la stessa datazione delle leggende dolomitiche e lombarde) , in memoria della ricostruzione di quello che è ritenuto il santuario mariano più antico dell'Occidente, la Basilica di Santa Maria ad Nives, eretta da Papa Sisto III – che visse tra il 390 e il 440 a.C. – sull'edificio sacro che venne fondato da Papa Liberio in onore di una miracolosa nevicata avvenuta il 5 agosto di anni or sono, con festeggiamenti che consistono in un susseguirsi di celebrazioni religiose e profane, in particolare la rievocazione di antichi riti agresti di origine pagana(4) legati al bestiame e al grano, che sembrano coincidere con la presenza storica, nei luoghi coinvolti, del culto della dea sabina Vacùna, quindi con una manifestazione della Dea Madre preromana.
A Rieti (4) (dove le celebrazioni sono particolarmente sentite) è stato rinvenuto un santuario dedicato a Vacùna (5) emerso a Montenero, crocevia tra Roma e Rieti, con una campagna di scavi partita nel 2019.
I sabini, un popolo italico vissuto in epoca arcaica ed insediato nella fascia appenninica, secondo Dionigi furono la continuazione culturale degli Aborigeni, una civiltà probabilmente neolitica.
Nel corredo sono stati trovati un utero miniaturizzato, un cippo del III sec. a.C. e reperti e sepolture dell'anno mille. Quasi sempre fatta risalire ad altre Dee (come la Diana di appropriazione romana ma di origine preindoeuropea, Vesta, Bellona, Vittoria o Nike) Vacùna rimase un arcano a lungo, fino all'emergere dello scavo, a cui si sta ancora lavorando su una iscrizione che potrebbe dare la certezza definitiva che appartenesse proprio a lei. I Sabini furono uno dei tanti popoli soppressi e distrutti dai Romani, forse è per questo che il suo culto è andato deteriorandosi e fatto rivivere in altre Dee più conosciute, ma la verità potrebbe possedere sfumature ancora più complesse...

 
I Vacunalia: una dea del riposo e delle vacanze

L'etimologia della parola néve, singolare femminile; secondo il Dizionario Etimologico F. Bonomi deriva dal latino nix, aco. nivem- per nigvem (ant. ninguem), nonché il greco nipha; sicché la radice originaria è snig-, (che nel latino e nel greco perde la s iniziale) riconducibile a “esser umido”, “lavare”; attinente senza dubbio alla radice nig', “lavare”, “purificare”.
Altri riportano neve alla radice snu- “scorrere”, di cui alla probabile voce nave. Ma Neve potrebbe anche essere una variante del nome irlandese Niamh, che significa “brillante”, “luminosa/o”, “splendente”.
Similmente nel significato profondo, Vacùna deriva dal latino “vacare”, ossia viaggiare o essere vuoto (6), vacuo, dal significato nascosto, legato all'assenza di qualcosa (del lavoro, per esempio): nella leggenda dolomitica, pare che il contadino che schernì la Madonna della Neve nella sua festa, dove ella comandava che i lavori venissero sospesi nei primi giorni di agosto, rimase sepolto sotto la neve!
 A Vacuna erano infatti dedicati i giorni del riposo dopo il duro lavoro nei campi e tutto ciò che ha attinenza con il vagare, “fare vacanza”, l'essere vacante, ma c’entra anche con l’indefinito, forse.
Ciò farebbe pensare a una “dea del riposo”, del vago, dell'ozio nel suo significato più nobile ed antico e all'oblio. Come la neve (sotto la quale riposa il grano, secondo un proverbio lombardo). Una tradizione rimasta in vita nei festeggiamenti dei nostri giorni è infatti il lancio del ciambello, legata al grano. Altri festeggiamenti in suo onore venivano svolti come cerimonia d'apertura dell'inverno con dei fuochi, chiamati Vacunalia: l'inverno è tradizionalmente un periodo di riposo e letargia, in cui si giace nell'utero della Grande Madre, sepolti nel buio terapeutico e rinvigorente e nutriti dal liquido amniotico della Dea, proprio come semi che si nutrono delle acque, nell'oscurità della terra.
I Vacunalia volevano propiziare i raccolti futuri, che sarebbero sorti dai semi dormienti sotto la terra fredda, come del resto avveniva nei numerosi riti antichi legati al culto della luce, diffusi in tutta l’Europa contadina primitiva.
 
Le stesse dee alla base di un culto di origine preindoeuropea: le Matronae, Il Latte e La Neve

Sorge dunque un profondo legame tra Vacuna, la Madonna della Neve e le Matres Campestri e le primitive dee del grano. La Madonna della Neve (ciò emerge dalle sue leggende) è sia una madre della crescita e della bionda opulenza d'agosto, che una dea del freddo invernale, della contemplazione del silenzio: una dea della vegetazione nella quale persiste la concezione arcaica di armonia tra luce e ombra, giorno e notte, sole e neve.
L'intuito mi ha fatto credere fin dall'inizio che potesse esserci un legame profondo già tra la Madonna della Neve e la Madonna del Latte (senza ancora conoscere Vacuna): entrambe sono legate alle sorgenti, al culto del grano e alle campagne e in entrambi i retaggi del culto non mancano le offerte di latte, come si è visto nella leggenda della Alpi Graie e come avveniva nell'antico culto della luce sparso in tutta l'Europa contadina primitiva sopra citato.
Ho scoperto che sia le chiese intitolate alle Madonne del Latte che alle Madonne della Neve, sovente riportano l'epiteto “Madonna di Campagna”, ad esempio la Chiesa di Madonna di Campagna di Pallanza (VB) ospita due Madonne del Latte, e la Chiesa della Madonna della Neve a Baraggia di Suno(NO) è detta anche chiesa della Madonna della Campagna.
Recita un detto piemontese:

— D' madone dla nev n'uma una pr pais,
quasi sempre d'ti camp —.
(Di Madonna della Neve ce n’è una per paese, quasi sempre è dei campi).

Inoltre, sia la Madonna del Latte conservata nella Cappella delle Grazie di Pallanza, che la Madonna della Neve della leggenda romana sopraddetta, portano l'epiteto di “nostra signora dei miracoli”, altro elemento comune tra le madri del latte e della neve che non può lasciare indifferente un occhio attento.
Le pievi e chiese che ospitano queste madonnine hanno spesso simile datazione e tipologia di costruzione e sorgono tutte su luoghi campestri e di testimonianza di culti precedenti legati alle Matronae cisalpine, madri danzanti delle acque, boschive e campestri, alla cui origine c'è la evidenza di una Dea Diana preromana, del sole e della luce(7), connessa anche alla strega alpina Perchta, nondimeno uno dei volti della Frau Holle delle fiabe dei fratelli Grimm, la luminosa Dama Bianca che porta la morte  di origine germanica preindoeuropea, probabilmente risalente alla dea delle stagioni germanica (venerata da tribù pre-agricole secondo Tacito) chiamata Hertha o Nerthus.
Vacuna è anche legata alla simbologia del toro: durante i festeggiamenti in onore della Madonna della Neve derivanti dai Vacunalia, si porta avanti la tradizione del toro ossequioso (4).
L'animale riporta ancora alle Matronae che sono protettrici del bestiame, in quando Madri del latte e della nutrizione.
Un altro elemento di contatto tra la Madonna della Neve e la Madonna del Latte potrebbe essere il fatto che la parola Vacuna richiama il termine vaccino, che sappiamo essere legato alla vacca, al latte vaccino.
Sembra così che le Matronae possano essere il nucleo di contatto fra due polmoni di uno stesso organismo materno; d'altra parte, quand'anche si voglia fingere di non vedere similitudini nei simboli e nei luoghi di culto attestati, forse ci si potrebbe convincere pensando che Vacuna figura sia nell'elenco di Dee celto-romane e preelleniche assimilabili alle Matronae, che fra quelle indicate come principale ipotesi del retaggio della Signora della Neve, sono esattamente le stesse Dee, alla base delle origini dei due culti: del latte e della neve.
La dea bianca in Egitto, Grecia e Britannia primitive
Come si è visto nelle numerose ricerche dell’Antro, le Madonne del Latte e della Neve sono il volto cristianizzato delle Matronae, prima ancora romanizzato nella figura di Minerva e assimilabile alla dea britannica Brigid (9), tutrice delle acque sacre.
Talvolta identificata con Vesta o Hestia, in alcune fonti presentata come “Diana vestale”(8) (una ipotesi è che provenga dal celtico dianna o diona(7), luminosa e brillante) è infatti tutrice preindoeuropea (forse di dietrologia etrusca) del fuoco e della luce, ma anche delle acque ed è con tutta probabilità una manifestazione delle antiche dee galattofore, le Madonne del Latte, madri delle acque, del nutrimento e dell'abbondanza legate al culto di Cerere/Demetra, la dea dell'orzo della Grecia Primitiva e quindi  madri del raccolto, le madri del grano tra cui la solenne Iside dall'epiteto “Sochit” o ”Sochet”, ovverosia “campo di grano”; la quale nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai, diede anche vita al culto della Vergine Maria nel suo aspetto di “Stella Maris”.
Tutte queste dee sono state raccolte sotto l'egida della famigerata Dea Bianca di R. Graves, madre degli dèi da loro stessi adorata, triplice dea bianca germogliatrice, rossa mietitrice e scura ventilatrice del grano, il cui colore bianco è il fondamentale poiché è il colore della prima persona della sua trinità lunare, in secondo luogo perché il suo antico culto sembra essere legato al mito di Io, che nel lessico bizantino di Suida era rappresentata come triplice cangiante, la vacca bianca madre degli Ioni, una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia che si attribuirono i nomi delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i Danai, i cosiddetti “Pelasgi”, navigatori originari della penisola che prendevano il loro nome dalla Grande Dea Danae che presiedeva alle attività agricole(10).
“Dea Bianca”, così conosciuta nella Grecia come nella Britannia primitiva.
In entrambe le culture (che si sono mischiate durante le invasioni dei popoli indoeuropei) figurano infatti le cinquanta sacerdotesse Danaidi (10), con tutta probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di Brigid, custodi del fuoco sacro(9).
Una leggenda conservata da Nennio racconta che l'originaria Britannia protostorica – precedente alle invasioni romane – possa aver derivato il suo primo nome da Albione, con cui era nota a Plinio, da Albina “la Dea Bianca”, nonché maggiore delle sacerdotesse Danaidi.
Pare che da questo legame derivino espressioni germaniche come “Elven” (donna elfo), “Alb” (elfo) e “Albdrücken” (incubo o demone dell'incubo) e, in definitiva, pare fosse legato alla parola alphiton che significa farina d'orzo.
Perciò le due culture, che attraverso l'assimilazione romana si sono sparse ovunque, nascevano probabilmente da una dea trina (bianca, rossa e nera, ciò coincide anche con le fasi della lavorazione alchemica della pietra filosofale intesa come opera interiore) dell'orzo, che fu con tutta probabilità la stessa dea dell'orzo Danaa di Argo (10), polis greca fondata nel primo millennio dagli Ioni che veneravano la “vacca bianca”.
Ipotesi e collegamenti a parte, nel Romanzo di Taliesin, viaggio senza tempo in Britannia di Merlino e Artù, appare la dea Cerridwen che è anch'essa bianca (ovvero dall’irlandese e gallese Wen) e Cerr; che ricorda l'arcaico spagnolo “Cerdo” che significa maiale (10).
I bardi gallesi descrivono questa antica dea come “dea del grano”: Cerridwen è chiaramente la scrofa bianca, la dea dell'orzo, la bianca signora della morte e dell'ispirazione; ovvero Albina o Alfito, la dea dell'orzo che diede il nome alla Britannia (10) (anche Brigid appena nata viene allattata da una mucca bianca con le orecchie rosse (9)).
Ovidio nei “Fasti” registra il culto della Dea Bianca, che i latini chiamavano “Cardea” che con tutta probabilità era la stessa dea che fondò Alba la città bianca, figlia delle genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice di Roma: la sua pianta terapeutica era per ovvie intuizioni il “biancospino”.
In questo contesto viene alla luce un'altra grande verità, cioè che prima che Diana fosse romanizzata e mascolinizzata (spesso confusa con Giano, il chè ha lasciato un enorme fraintendimento nella sua storia) e sottomessa al matrimonio in quel susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea, era lei stessa la Dea Bianca Cardea, con cui condivide significati ed attributi anche alla base del culto delle Matronae.

“Il potere della Dea Bianca è di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto (11)” – l'attributo della chiave e della dea che veicola gli scambi tra il mondo materiale e quello sottile ricorda l'accostamento tra la luminosa Diana preindoeuropea/Perchta/Frigg/Dama Bianca ed Ecate argomentato nella ricerca dell’Antro intitolata “La Dama Bianca, l'antico culto della luce e le vere origini del Natale e dell'Epifania”.

“La Dea Bianca è colei che ha molti nomi adorata in molti modi, Colei che vaga in molti boschetti, che dà la vita e anche la toglie (12)” – questa fonte antica ricorda che la Dea Bianca è la dea trivalente dai molti nomi in cui si celano tutte le dee citate in questa ricerca centrate sull'armonia circolare di luce e buio, vita e morte.
 
Di latte, neve e il culto della Stella

Una ultima suggestione è quella che riguarda la miracolosa nevicata che avviene sia nella leggenda cristiana della Madonna della Stella che in tutte le leggende italiane che riguardano la Madonna della Neve. Se è vero (secondo Frazer) che la Iside col bambino ha ricevuto nel corso del tempo la inconsapevole adorazione da parte dei cristiani e se è vero, e lo è; che la sua solenne figura di madre dei campi reca sia l'epiteto di Sochet (campo di grano) che il più tardo Sopedet – la Stella Guida dei marinai Egizi, conosciuta con molti nomi dai semiti in tutta la prima storia israelita – allora anche la Madonna della Stella è assimilabile dello stesso culto (del latte e della neve, nondimento della campagna e del raccolto). Per approfondire, è disponibile la ricerca dell’Antro Iside Stella Madre, dee e sincretismi dalla prima storia israelita; reperibile nella sezione Le Vie dell’Antro alla voce La Via Celeste.
 
La Dea Bianca e la Dama Bianca: elementi comuni

La farina bianca

All'inizio della ricerca mi sembrava impossibile, credevo di vagare senza meta, proprio come l’insegnamento di Vacuna suggerisce di fare, dopotutto; ma alla fine sono riuscita a dare risposta alla domanda dalla quale questo lavoro di esplorazione è scaturito: e se la Madonna della Neve fosse in qualche modo assimilabile alla Dama Bianca? Perché non c’è traccia di un collegamento fra le due figure? D'altra parte, sia i luoghi del culto (con nucleo nelle Alpi) che i ceppi linguistici di entrambe rimandano alla cultura germanica e celtica, che si sono inevitabilmente intrecciate nel corso delle “integrazioni” indoeuropee su luoghi di culto precedenti e confuse ancor più con l'opera missionaria dei cristiani.
Dapprima credevo fosse soltanto una intuizione data dal desiderio che fosse così, tuttavia non si può negare che le Matronae siano il punto di collegamento fondamentale di questo arcano finalmente svelato: il loro culto – di cui le Madonne del Latte e della Neve sono inopinabile eredità, intimamente collegate tra loro – sorge dal precedente culto della Diana preindoeuropea dei boschi e della luce, che abbiamo visto in molti modi e testimonianze essere accostabile a Perchta, la Dama Bianca di origine germanica preindoeuropea, la strega Alpina, la luminosa che porta la morte.
Come si è visto, sia la Dama Bianca che la Madonna della Neve hanno un legame con Diana Bianca Cardea (insieme a Demetra, Ecate, Cerridwen e a Brigit/Minerva).
Alla fine dei conti, c'è un filo d'oro che intesse una trama comune e che potrebbe fare di loro un’unica entità pulsante, in equilibrio tra la nascita, la crescita e la morte del ciclo lunare e del grano delle tre donne archetipiche: la fanciulla, la donna matura, e l'anziana.
La Dama Bianca è anche una dea che moltiplica la farina, la bianca del grano e la sua origine più vera coincide con una antica dea della terra germanica. La Dama Bianca è anche una dea della natura, delle stagioni e delle precipitazioni nevose.
 
Gli incubi

Nella tradizionale figura della Strega Perchta (la Dama Bianca) ha a suo servizio i folletti Truden, che in tedesco sono associati a paure e incubi dell'uomo.
Interessante similitudine con le Albdrücken sopra citate; in tedesco incubo o demone dell'incubo etimologicamente legate alla parola alphiton (farina d'orzo), la stessa radice etimologica della Dea Bianca che, come detto, avrebbe originato la Britannia primitiva. Quelle di un legame tra la Dama Bianca e la Madonna della Neve e del Gelo potrebbero essere ipotesi fondate…
 
I luoghi del culto ai giorni nostri

Probabilmente è stata proprio la neve, nonché l'attestazione della sua presenza, a dare continuità alla figura della Madonna della Neve e del Gelo e sebbene la maggior parte delle leggende italiane sulla regina d'inverno arrivino dalle Dolomiti, nonché dalla parte orientale delle Alpi e dalle Alpi in generale; importante sembra la svolta storica del culto della Madonna della Neve nei pacifici luoghi appenninici dell'Italia Centrale; in particolare nel Lazio, d'altra parte la stretta connessione tra l'antica religione britannica, greca e romana nata dalla miscellanea dei popoli indoeuropei in tutta l'Italia e l'Europa ha notoriamente generato la sovrapposizione o il riadattamento di antiche figure divine preindoeuropee, degenerate conseguentemente nell'opera di cristianizzazione della nostra penisola, dove in definitiva l'antico culto della Regina della Neve precedente all'opera missionaria è stato cristianizzato.
Oggi in Italia si contano 152 edifici intitolati alla Madonna della Neve, ma le regioni dove sono concentrate sono il Piemonte (che ne conta trentuno), la Lombardia (che ne conta diciannove) e la Campania che ne conta diciassette.
Nel territorio napoletano così come in quello laziale, il culto e le celebrazioni sono assai sentite con manifestazioni folcloristiche.
 
La miracolosa nevicata interiore

Tracce dell'antica dea della neve e del gelo sono praticamente ovunque, ma è possibile riconoscerla in tutto ciò che vaga o riposa, sospeso tra i ghiacci di un inverno atavico, ricordando che, a volte, restare ferme a trarre ristoro dalle acque della propria grotta buia interiore, può rivelarsi il viaggio più utile di sempre: come fiocchi di neve roteanti nel cielo, vaghiamo noi altre su questa terra, ma soprattutto vaghiamo, spesso smarrite, dentro noi stesse, predisponendoci con fiducia alla miracolosa  nevicata di consapevolezza interiore che la stasi letargica e meditativa nell'utero cosmico può scaturire.
 
Consacrarsi alla Madre della Neve

Ci si potrebbe rivolgere a lei ogni qual volta si sente di aver perso la strada, dato che è la Dea dello smarrimento e dello scorrimento, ma anche quando si vuole trovare pace e porre fine a conflitti di qualsiasi natura, lasciando che la neve si adagi dolcemente sulla rabbia, “resettando” ogni cosa.
Le si può erigere un piccolo altare vicino al caminetto, o in una fessura scavata nella pietra in giardino, magari procurarsi una statuetta della Madonna della Neve e darle dimora, intitolandola a protettrice della casa.
Uno degli aspetti della madre della neve, nonché delle Matronae e delle dee di luce e opulenza che le sono progenitrici tanto quanto lo sono delle Madonne del Latte e di tutte le Madonnine campestri; era quello di essere numi tutelari delle abitazioni, lares cui affidarsi nella attività quotidiana, affinché ispirassero e regolassero l'alchimia che intercorre tra lavoro e riposo, tra luce e ombra, fuoco e gelo; al quale forse ci si potrebbe ancora affidare, affinché non si commetta l'errore di quel pastore delle Dolomiti che, tanto  tempo fa, in preda a ira e competizione con il fratello; lavorò senza sosta e si rifiutò di contemplare l'ammonimento divino della dea della neve e del gelo, la quale costrinse tutti al riposo con una inaspettata e copiosa nevicata che seppellì i campi su cui entrambi gli uomini avidi rivendicavano proprietà.
Ignorare l'invito della neve a far riposare la rabbia tra le sue bianche braccia, accecò l'uomo che sfidò la tempesta e si condusse con le proprie azioni alla morte.
Chi prova a sovvertite la volontà introspettiva della dea nel suo giorno, va inevitabilmente in contro a pessime conseguenze...
 
Note, bibliografia e sitografia

(1) Rododendri Bianchi, Leggende delle Dolomiti, Karl Felix Wolff, Casa Editrice Mursia, L'Antelao e la Samblana, pp. 183-190, Edizione 2018
(2) Le Dolomiti nella Leggenda, Ulrike Kindl, Case Editrice Frasnelli-Keitsch Coop. a.r.l; Edizione 1993, p.27
(3) La Madonna delle Nevi, Enciclopedia della Fiaba a cura di Fernando Palazzi, casa Editrice Giuseppe Principato Milano-Messina, Quarta Edizione, Leggende Regionali Italiane, pp. 457-458, Leggenda nr. 81
(4) Festa della Madonna della Neve, Bacugno, 1992, www.giuseppebonifazio.it, Articolo del 2016
(5) Sugli Scavi del Santuario di Vacuna www.artribune.com Articolo di Maurizio Zuccari, 29 luglio 2021
(6) Dizionario Etimologico Rusconi Libri, realizzato da Artemisia Progetti Editoriali, Genova, Edizione aggiornata 2012
(7) The Inner Mysteries, Stregoneria Progressiva e Connessione con il Divino, Janet Farrar & Gavin Bone, Casa Editrice Brigantia, Le Dee e gli Dei della Stregoneria, Diana p.229
(8) Il Ramo D'Oro, Studio sulla Magia e la Religione di James G. Frazer, Edizioni Bollati Boringhieri, 2016
(9) Tracce Celtiche, curiose, misteriose ed inquietanti; piccolo viaggio all'interno di alcuni segni, misconosciuti o ignorati del passato celtico antico e medievale nell'Italia alpina e padana, Edizioni della Terra di Mezzo, Marco Fulvio Barozzi pp.152-153, 2000.
(10) La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, pp. 71-85, 1992
(11) Citazione di Ovidio, in La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, p. 80, 1992
(12) Il più completo e ispirato tratto della Dea Bianca di tutta la letteratura antica si trova nell'Asino d'oro di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata dal profondo della sua infelicità, XI, 1-5.
(13) www.ossolanews.it
(14) I Sabini, Wikipedia (brevi cenni)

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“Accogli il richiamo e sussurra alla via, sovente celata da bruma o foschia. Segui il sentiero, non ti voltare e al tuo risveglio saprai ricordare”.

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