
La Madre del Gelo dal volto cristiano a quello precristiano
Ovvero del filo dorato che intesse tra loro la Samblana (regina dell'inverno dolomitica), la Madonna della Neve, la dea sabina Vacuna, la Madonna del Latte, le Matres-Matronae, la grande Dea Bianca dell'Antica Grecia e della Britannia primitiva e la Dama Bianca germanica preindoeuropea.
Introduzione alla Madonna della Neve e del Gelo
Sembrerebbe ovvio
pensare che il culto della Madonna della Neve, detta anche Madonna del Gelo,
possa nascondersi oltre il volto della regina dell'inverno, proveniente da una
datazione talmente antica da essere scivolata nell'oblio tra leggenda e fiaba,
ma che pare avere un valore storicistico per coloro che ancora parlano di lei e
sono solennemente devoti al suo culto e alla sua storia.
Forse il vero nome
di quella che conosciamo come “Nostra Signora della Neve”, la cui diffusa
devozione è la sostanziale continuazione di quella tributata alla sua
progenitrice precristiana, potrebbe essere Samblana(1), la regina
dell'inverno menzionata in ogni tradizione sia orale che scritta delle
amatissime Dolomiti, i “Monti Pallidi” delle Alpi Orientali quasi interamente
comprese nelle regioni di Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.
Si trova prova
della leggenda nelle contìe(2) della tradizione ladina – uno dei ceppi
etnico linguistici delle Dolomiti affianco a quello germanico – dove fiaba e
leggenda sono armonizzate in testimonianze poetiche considerate reali(2) dalle
culture di provenienza. 4
Ricorrente è la datazione
nelle fonti di ricerca, che quando citano la Samblana o la Madonna della
Neve, sovente utilizzano l'espressione “cent'anni orsono” (1)(2)(3) o forse
più, la notte in cui il racconto antico si perse tra le Alpi senza traccia (o
forse no).
Le vette bianche
delle Dolomiti, dopotutto, non sono sempre state così: in origine pare
fossero tetre e scure...
La Madonna
della Neve nelle leggende regionali italiane
Il Ghiacciaio
della Marmolada - Leggenda Dolomitica
La prima leggenda
(2, pp.55-57), narra che due fratelli litigavano per l'eredità di alcuni prati
rimasti indivisi dalle ultime volontà del padre e uno dei due se ne attribuì la
proprietà così da scatenare l'ira dell'altro che augurò che quei prati
venissero ricoperti da una neve eterna seppellendoci sotto anche quel farabutto
di suo fratello. In agosto venne la ricorrenza della Madonna della Neve e
nonostante gli spergiuri della moglie, il fratello che vinse la proprietà,
insistette a lavorare anche se in quella festa della Madonna era raccomandato
riposare.
Il cielo divenne
sempre più cupo finché, nel bel mezzo dell'estate, i fiocchi di neve
scendevano sul prato volteggiando come piume. Il contadino rimase sepolto col
suo fieno sotto la neve. Ne cadde così tanta che ancora oggi non s'è mai
sciolta, formando il Ghiacciaio della Marmolada.
— Madona da la
neif n ca,
Madona da la
neif n la.
L'è bon che è
mi fen te tobià — (1).
— Madonna della
neve di qua,
Madonna della
neve di là
Meglio che il
mio fieno sia nel fienile —.
Il Santuario della Madonna della Neve - Leggenda Dolomitica
La seconda leggenda
(2, pp.168-169) ambientata nella frazione di Corte, all'inizio delle
pendici ovest del monte Sief, narra della misteriosa costruzione di una
piccola chiesetta tutt'oggi integra dedicata alla Madonna della Neve. La
datazione è “ab immemorabili” (2), tanto lontana che si è perduta nella
memoria, avvolta nel mistero e nell'inconoscibile disegno divino come la sua
posizione, scelta da coloro che la eressero nonostante fosse soggetta a
infiltrazioni d'acqua e frane. Ci fu una diatriba (anche in questa versione
della leggenda) tra gli abitanti dei paesi circostanti per stabilire dove
sarebbe dovuta sorgere quella chiesetta crocevia di pellegrinaggio di tutti gli
abitanti dei paesi vicini che non si riuscì a venirne a capo, finché vennero i
primi di agosto e l'aria si fece miracolosamente fredda e si vide cadere una
abbondante nevicata che coprì la campagna di uno spesso strato di neve.
Quando il bel
tempo ritornò, soltanto un piccolo spiazzo di terreno a monte del villaggio di
Corte rimase bianco e si concluse che quello era un fatto premonitore, il
segno che il volere divino stabilisse che il santuario sarebbe dovuto sorgere
lì.
Nel breve tempo la
neve si sciolse, ma a ricordo del miracolo dedicarono alla Madonna della Neve
la festa che ricorre tutt'oggi a Livinallogno il 5 agosto.
La Madonna
delle Nevi - Leggenda delle Alpi Graie
La terza leggenda
(3) ambientata nelle alte valli delle Alpi, dove finisce il prato per dar luogo
al deserto delle rocce e dei ghiacciai, cita la Rosa dei Banchi, una
montagna delle Alpi Graie sotto cui sorgono i residui dell'ultimo ghiacciaio
rimasto innevato nella Valle di Champorcher.
Agli inizi del Novecento
si narrava di un racconto di cento anni prima quando i pastori trovarono lungo
le rive di un laghetto alpino una statuetta di legno “grande come un bambino”
con una figura di donna scolpita ingenuamente. Si convinsero che si trattasse
di una statua della Madonna e la portarono via dal lago per darle dimora in un
piccolo tabernacolo del loro paesino appositamente costruito e ornato di fiori,
ma dopo poco tempo furono sorpresi dalla scomparsa della statuetta, che
magicamente sembrò ritornare da sola al suo laghetto di provenienza.
Ciò fu
interpretato come un volere misterioso della Madonna di voler stare proprio lì,
in quel regno desolato e ghiacciato, per dare aiuto a chi ne avesse avuto
bisogno in quel luogo duro della natura che tanto anelava gentilezza.
Allora eressero
una chiesetta in onore di quella Madonnina, e la intitolarono Madonna della
Neve in virtù del suo amore puro per quel luogo gelido e bianco.
Ogni anno la
chiesetta rimase meta di pellegrinaggi di persone che per lei nutrivano e
nutrono tutt'oggi una inesauribile fede, che ricevono offerte di latte
dai pastori locali.
La Madonna del
Gelo - Leggenda della Lombardia
Una storia
racconta che in tempi remoti fu realizzata, ai margini occidentali di Bannio,
in provincia di Brescia, una cappelletta dedicata alla Madonna. Il luogo era
umido e freddo per cui nacque il toponimo, “Madona du' Gil” (13), Madonna del
gelo, poi divenuta Madonna della Neve.
Questa è
l'unica leggenda la cui ricorrenza viene festeggiata il 5 marzo, e non in agosto, probabilmente perché la zona in quel
periodo è ancora innevata.
La Samblana e la
Madonna della Neve: elementi di contatto
Interessante
notare alcuni dettagli ricorrenti nelle leggende: la volontà di abitare il
ghiacciaio, la presenza di un laghetto, l'aiuto fornito agli uomini
della montagna e la menzione delle offerte di latte.
Anche la Samblana
(1), la regina dell'inverno dolomitica, ha scelto come sua dimora una alta cima
innevata, l'Antelao e a lei è intitolato anche un laghetto detto “Lago delle Cipolle”(1), che aveva creato e vi
aveva fatto piantare le cipolle curative, per aiutare gli uomini, altra
caratteristica in comune con la Madonnina della Rosa dei Banchi, che resta
lassù per accorrere in aiuto dei montanari.
Sulla Samblana
e sul suo laghetto terapeutico le vecchiette raccontavano molte storie, di cui purtroppo non si ha che una
memoria flebile. Pare che l'antica popolazione di Cadore le abbia
attribuito anche il merito di aver creato lo splendido fiore Edelweiss (dal
tedesco Edel che significa nobile e Weiss che significa bianco (candore)).
Nella parte
orientale dell'Antelao, fra la Valle Otental e la catena della Marmaròles,
c'era anche un faggio sacro ai pagani che si credeva appartenesse anch'esso
alla Samblana e che ella avesse il suo paese natio sulla vicina montagna
boscosa chiamata Bayon.
Quando giunsero i
cristiani dissero che lassù abitava la Madonna (1), dove c'era anche una
sorgente d'acqua creduta terapeutica e miracolosa.
Sia il faggio che
la sorgente pare avessero perso i loro poteri, ma un brav'uomo fece costruire
lì una cappelletta alla Madonna, che si chiamava Madonna del Caravàggio.
Le testimonianze,
anche qui, si riferiscono ad avvenimenti presunti di cento anni prima rispetto
ai primi del Novecento.
L'esilio della
Samblana sui Monti di Vetro
Secondo le
testimonianze locali la Samblana venne esiliata dal popolo dei Maói
poiché in qualità di loro principessa avrebbe approfittato delle tasse della
brava gente per la sua vanità, facendosi intessere un vestito fatto di
albume d'uovo, luce ed argento.
Fatta prigioniera
venne confinata lassù sui monti di vetro nello sterile deserto di roccia e
ghiaccio anche oggi chiamato “Nófes”, poiché lo strascico del vestito una volta
ghiacciato divenne troppo pesante da sostenere.
La Principessa
divenne però meta di viaggio delle bambine che lì spiravano non battezzate (una
sorta di figura psicopompa, traghettatrice tra la vita e la morte): le prime due di loro, gemelle,
dette Ymèles, liberarono il suo strascico dal ghiaccio e fu così che la principessa
fu libera di spostarsi sulla Marmolada, vagando sulla Tofana di mezzo,
sulla Fradùsta e infine sull'Antelao e deve essere ancora là; ma
nessuno sente più parlare di lei (1) ...
Il ciclo delle bambine
messaggere della Samblana
Quello della
principessa dell'inverno e delle sue ancelle messaggere, potrebbe essere
definito un ciclo leggendario diffusosi in un tempo molto lontano nel sud delle
Alpi, poiché nel 1915 un vecchio signore di Pranzo (paese della
provincia di Trento) raccontò una storia confusa, probabilmente già molto
alterata, di due gemelle chiamate “les eguéles” – le uguali – che
sarebbero uscite dal Lago di Garda ed essere state le messaggere di una regina
che indossava una veste argentea e trascorreva gli inverni nel lago(1). Pare
che la -s finale dell'espressione dialettale sopra citata distingua un
plurale ladino che intorno al lago di Garda non si parlava già da molto tempo
prima che la storia venisse riportata (1), ergo l'origine è senz'altro molto
antica, ma ciò non ha impedito alla sua leggiadria di giungere a noi.
La leggenda romana
della nevicata miracolosa, la dea sabina Vacuna e tracce neolitiche del culto
La leggenda “canonica”
della Madonna della Neve viene ricordata a Roma tra il 4 e il 5 agosto (la
stessa datazione delle leggende dolomitiche e lombarde) , in memoria della
ricostruzione di quello che è ritenuto il santuario mariano più antico
dell'Occidente, la Basilica di Santa Maria ad Nives, eretta da Papa
Sisto III – che visse tra il 390 e il 440 a.C. – sull'edificio sacro che
venne fondato da Papa Liberio in onore di una miracolosa nevicata avvenuta il 5
agosto di anni or sono, con festeggiamenti che consistono in un susseguirsi di
celebrazioni religiose e profane, in particolare la rievocazione di antichi
riti agresti di origine pagana(4) legati al bestiame e al grano, che
sembrano coincidere con la presenza storica, nei luoghi coinvolti, del culto
della dea sabina Vacùna, quindi con una manifestazione della Dea
Madre preromana.
A Rieti (4) (dove
le celebrazioni sono particolarmente sentite) è stato rinvenuto un
santuario dedicato a Vacùna (5) emerso a Montenero, crocevia tra Roma e
Rieti, con una campagna di scavi partita nel 2019.
I sabini, un
popolo italico vissuto in epoca arcaica ed insediato nella fascia appenninica,
secondo Dionigi furono la continuazione culturale degli Aborigeni,
una civiltà probabilmente neolitica.
Nel corredo sono
stati trovati un utero miniaturizzato, un cippo del III sec. a.C. e reperti e
sepolture dell'anno mille. Quasi sempre fatta risalire ad altre Dee (come la
Diana di appropriazione romana ma di origine preindoeuropea, Vesta, Bellona,
Vittoria o Nike) Vacùna rimase un arcano a lungo, fino all'emergere dello
scavo, a cui si sta ancora lavorando su una iscrizione che potrebbe dare la
certezza definitiva che appartenesse proprio a lei. I Sabini furono uno dei
tanti popoli soppressi e distrutti dai Romani, forse è per questo che il
suo culto è andato deteriorandosi e fatto rivivere in altre Dee più conosciute,
ma la verità potrebbe possedere sfumature ancora più complesse...
I Vacunalia:
una dea del riposo e delle vacanze
L'etimologia della
parola néve, singolare femminile; secondo il Dizionario Etimologico
F. Bonomi deriva dal latino nix, aco. nivem- per nigvem
(ant. ninguem), nonché il greco nipha; sicché la radice originaria è
snig-, (che nel latino e nel greco perde la s iniziale) riconducibile a “esser
umido”, “lavare”; attinente senza dubbio alla radice nig', “lavare”, “purificare”.
Altri riportano neve
alla radice snu- “scorrere”, di cui alla probabile voce nave. Ma
Neve potrebbe anche essere una variante del nome irlandese Niamh, che
significa “brillante”, “luminosa/o”, “splendente”.
Similmente nel
significato profondo, Vacùna deriva dal latino “vacare”, ossia viaggiare o essere
vuoto (6), vacuo, dal significato nascosto, legato all'assenza di
qualcosa (del lavoro, per esempio): nella leggenda dolomitica, pare che il
contadino che schernì la Madonna della Neve nella sua festa, dove ella
comandava che i lavori venissero sospesi nei primi giorni di agosto, rimase
sepolto sotto la neve!
A Vacuna erano infatti dedicati i giorni del
riposo dopo il duro lavoro nei campi e tutto ciò che ha attinenza con il
vagare, “fare vacanza”, l'essere vacante, ma c’entra anche con l’indefinito, forse.
Ciò farebbe
pensare a una “dea del riposo”, del vago, dell'ozio nel suo significato più
nobile ed antico e all'oblio. Come la neve (sotto la quale riposa il
grano, secondo un proverbio lombardo). Una tradizione rimasta in vita nei
festeggiamenti dei nostri giorni è infatti il lancio del ciambello,
legata al grano. Altri festeggiamenti in suo onore venivano svolti come
cerimonia d'apertura dell'inverno con dei fuochi, chiamati Vacunalia:
l'inverno è tradizionalmente un periodo di riposo e letargia, in cui si giace
nell'utero della Grande Madre, sepolti nel buio terapeutico e rinvigorente e
nutriti dal liquido amniotico della Dea, proprio come semi che si nutrono delle
acque, nell'oscurità della terra.
I Vacunalia
volevano propiziare i raccolti futuri, che sarebbero sorti dai semi dormienti sotto la terra fredda,
come del resto avveniva nei numerosi riti antichi legati al culto della luce,
diffusi in tutta l’Europa contadina primitiva.
Le stesse dee
alla base di un culto di origine preindoeuropea: le Matronae, Il Latte e La
Neve
Sorge dunque un
profondo legame tra Vacuna, la Madonna della Neve e le Matres Campestri e le primitive
dee del grano. La Madonna della Neve (ciò emerge dalle sue leggende) è sia
una madre della crescita e della bionda opulenza d'agosto, che una dea del
freddo invernale, della contemplazione del silenzio: una dea della
vegetazione nella quale persiste la concezione arcaica di armonia tra luce e
ombra, giorno e notte, sole e neve.
L'intuito mi ha
fatto credere fin dall'inizio che potesse esserci un legame profondo già tra la
Madonna della Neve e la Madonna del Latte (senza ancora conoscere Vacuna): entrambe
sono legate alle sorgenti, al culto del grano e alle campagne e in entrambi i
retaggi del culto non mancano le offerte di latte, come si è visto nella
leggenda della Alpi Graie e come avveniva nell'antico culto della luce sparso
in tutta l'Europa contadina primitiva sopra citato.
Ho scoperto che
sia le chiese intitolate alle Madonne del Latte che alle Madonne della Neve,
sovente riportano l'epiteto “Madonna di Campagna”, ad esempio la Chiesa di
Madonna di Campagna di Pallanza (VB) ospita due Madonne del Latte, e la Chiesa
della Madonna della Neve a Baraggia di Suno(NO) è detta anche chiesa della Madonna
della Campagna.
Recita un detto
piemontese:
— D' madone dla
nev n'uma una pr pais,
quasi sempre
d'ti camp —.
(Di Madonna
della Neve ce n’è una per paese, quasi sempre è dei campi).
Inoltre, sia la
Madonna del Latte conservata nella Cappella delle Grazie di Pallanza,
che la Madonna della Neve della leggenda romana sopraddetta, portano l'epiteto
di “nostra signora dei miracoli”, altro elemento comune tra le madri del
latte e della neve che non può lasciare indifferente un occhio attento.
Le pievi e chiese
che ospitano queste madonnine hanno spesso simile datazione e tipologia di
costruzione e sorgono tutte su luoghi campestri e di testimonianza di culti
precedenti legati alle Matronae cisalpine, madri danzanti delle acque,
boschive e campestri, alla cui origine c'è la evidenza di una Dea Diana
preromana, del sole e della luce(7), connessa anche alla strega alpina Perchta,
nondimeno uno dei volti della Frau Holle delle fiabe dei fratelli Grimm, la
luminosa Dama Bianca che porta la morte
di origine germanica preindoeuropea, probabilmente risalente alla dea
delle stagioni germanica (venerata da tribù pre-agricole secondo Tacito) chiamata
Hertha o Nerthus.
Vacuna è anche
legata alla simbologia del toro: durante i festeggiamenti in onore della
Madonna della Neve derivanti dai Vacunalia, si porta avanti la tradizione del toro
ossequioso (4).
L'animale riporta
ancora alle Matronae che sono protettrici del bestiame, in quando Madri del
latte e della nutrizione.
Un altro elemento
di contatto tra la Madonna della Neve e la Madonna del Latte potrebbe essere il
fatto che la parola Vacuna richiama il termine vaccino, che sappiamo
essere legato alla vacca, al latte vaccino.
Sembra così che le
Matronae possano essere il nucleo di contatto fra due polmoni di uno stesso
organismo materno; d'altra parte, quand'anche si voglia fingere di non vedere
similitudini nei simboli e nei luoghi di culto attestati, forse ci si potrebbe
convincere pensando che Vacuna figura sia nell'elenco di Dee celto-romane e preelleniche
assimilabili alle Matronae, che fra quelle indicate come principale ipotesi del
retaggio della Signora della Neve, sono esattamente le stesse Dee, alla base
delle origini dei due culti: del latte e della neve.
La dea bianca in
Egitto, Grecia e Britannia primitive
Come si è visto
nelle numerose ricerche dell’Antro, le Madonne del Latte e della Neve sono il volto
cristianizzato delle Matronae, prima ancora romanizzato nella figura di Minerva
e assimilabile alla dea britannica Brigid (9), tutrice delle acque sacre.
Talvolta
identificata con Vesta o Hestia, in alcune fonti presentata come “Diana
vestale”(8) (una ipotesi è che provenga dal celtico dianna o diona(7), luminosa
e brillante) è infatti tutrice preindoeuropea (forse di dietrologia etrusca)
del fuoco e della luce, ma anche delle acque ed è con tutta probabilità una
manifestazione delle antiche dee galattofore, le Madonne del Latte, madri
delle acque, del nutrimento e dell'abbondanza legate al culto di
Cerere/Demetra, la dea dell'orzo della Grecia Primitiva e quindi madri del raccolto, le madri del grano tra cui
la solenne Iside dall'epiteto “Sochit” o ”Sochet”, ovverosia “campo di grano”;
la quale nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai, diede anche
vita al culto della Vergine Maria nel suo aspetto di “Stella Maris”.
Tutte queste dee
sono state raccolte sotto l'egida della famigerata Dea Bianca di R. Graves,
madre degli dèi da loro stessi adorata, triplice dea bianca germogliatrice,
rossa mietitrice e scura ventilatrice del grano, il cui colore
bianco è il fondamentale poiché è il colore della prima persona della sua
trinità lunare, in secondo luogo perché il suo antico culto sembra essere
legato al mito di Io, che nel lessico bizantino di Suida era
rappresentata come triplice cangiante, la vacca bianca madre degli Ioni,
una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia che si attribuirono i nomi
delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i Danai, i cosiddetti “Pelasgi”,
navigatori originari della penisola che prendevano il loro nome dalla Grande
Dea Danae che presiedeva alle attività agricole(10).
“Dea Bianca”, così
conosciuta nella Grecia come nella Britannia primitiva.
In entrambe le
culture (che si sono mischiate durante le invasioni dei popoli indoeuropei)
figurano infatti le cinquanta sacerdotesse Danaidi (10), con tutta
probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di Brigid, custodi del fuoco
sacro(9).
Una leggenda
conservata da Nennio racconta che l'originaria Britannia protostorica –
precedente alle invasioni romane – possa aver derivato il suo primo nome da Albione,
con cui era nota a Plinio, da Albina “la Dea Bianca”, nonché maggiore delle
sacerdotesse Danaidi.
Pare che da questo
legame derivino espressioni germaniche come “Elven” (donna elfo), “Alb” (elfo)
e “Albdrücken” (incubo o demone dell'incubo) e, in definitiva, pare fosse
legato alla parola alphiton che significa farina d'orzo.
Perciò le due
culture, che attraverso l'assimilazione romana si sono sparse ovunque,
nascevano probabilmente da una dea trina (bianca, rossa e nera, ciò
coincide anche con le fasi della lavorazione alchemica della pietra filosofale
intesa come opera interiore) dell'orzo, che fu con tutta probabilità la stessa
dea dell'orzo Danaa di Argo (10), polis greca fondata nel primo
millennio dagli Ioni che veneravano la “vacca bianca”.
Ipotesi e
collegamenti a parte, nel Romanzo di Taliesin, viaggio senza tempo in
Britannia di Merlino e Artù, appare la dea Cerridwen che è anch'essa bianca
(ovvero dall’irlandese e gallese Wen) e Cerr; che ricorda
l'arcaico spagnolo “Cerdo” che significa maiale (10).
I bardi gallesi
descrivono questa antica dea come “dea del grano”: Cerridwen è chiaramente
la scrofa bianca, la dea dell'orzo, la bianca signora della morte e
dell'ispirazione; ovvero Albina o Alfito, la dea dell'orzo
che diede il nome alla Britannia (10) (anche Brigid appena nata viene allattata
da una mucca bianca con le orecchie rosse (9)).
Ovidio nei “Fasti” registra il culto della Dea
Bianca, che i latini chiamavano “Cardea” che con tutta probabilità era la
stessa dea che fondò Alba la città bianca, figlia delle genti emigrate
dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice di Roma: la sua
pianta terapeutica era per ovvie intuizioni il “biancospino”.
In questo contesto
viene alla luce un'altra grande verità, cioè che prima che Diana fosse
romanizzata e mascolinizzata (spesso confusa con Giano, il chè ha lasciato un
enorme fraintendimento nella sua storia) e sottomessa al matrimonio in quel
susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea, era lei stessa
la Dea Bianca Cardea, con cui condivide significati ed attributi anche alla
base del culto delle Matronae.
“Il potere della Dea Bianca è di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto (11)” – l'attributo della chiave e della dea che veicola gli scambi tra il mondo materiale e quello sottile ricorda l'accostamento tra la luminosa Diana preindoeuropea/Perchta/Frigg/Dama Bianca ed Ecate argomentato nella ricerca dell’Antro intitolata “La Dama Bianca, l'antico culto della luce e le vere origini del Natale e dell'Epifania”.
“La Dea Bianca
è colei che ha molti nomi adorata in molti modi, Colei che vaga in molti
boschetti, che dà la vita e anche la toglie (12)” – questa fonte antica ricorda che la Dea
Bianca è la dea trivalente dai molti nomi in cui si celano tutte le dee citate
in questa ricerca centrate sull'armonia circolare di luce e buio, vita e morte.
Di latte, neve
e il culto della Stella
Una ultima
suggestione è quella che riguarda la miracolosa nevicata che avviene sia nella leggenda
cristiana della Madonna della Stella che in tutte le leggende italiane che
riguardano la Madonna della Neve. Se è vero (secondo Frazer) che la Iside col
bambino ha ricevuto nel corso del tempo la inconsapevole adorazione da parte
dei cristiani e se è vero, e lo è; che la sua solenne figura di madre
dei campi reca sia l'epiteto di Sochet (campo di grano) che il più tardo
Sopedet – la Stella Guida dei marinai Egizi, conosciuta con molti nomi dai
semiti in tutta la prima storia israelita – allora anche la Madonna
della Stella è assimilabile dello stesso culto (del latte e della neve,
nondimento della campagna e del raccolto). Per approfondire, è disponibile
la ricerca dell’Antro Iside Stella Madre, dee e sincretismi dalla prima storia
israelita; reperibile nella sezione Le Vie dell’Antro alla voce La
Via Celeste.
La Dea Bianca e
la Dama Bianca: elementi comuni
La farina bianca
All'inizio della
ricerca mi sembrava impossibile, credevo di vagare senza meta, proprio come l’insegnamento
di Vacuna suggerisce di fare, dopotutto; ma alla fine sono riuscita a
dare risposta alla domanda dalla quale questo lavoro di esplorazione è
scaturito: e se la Madonna della Neve fosse in qualche modo assimilabile
alla Dama Bianca? Perché non c’è traccia di un collegamento fra le due
figure? D'altra parte, sia i luoghi del culto (con nucleo nelle Alpi)
che i ceppi linguistici di entrambe rimandano alla cultura germanica e celtica,
che si sono inevitabilmente intrecciate nel corso delle “integrazioni”
indoeuropee su luoghi di culto precedenti e confuse ancor più con l'opera
missionaria dei cristiani.
Dapprima credevo
fosse soltanto una intuizione data dal desiderio che fosse così, tuttavia non
si può negare che le Matronae siano il punto di collegamento fondamentale di
questo arcano finalmente svelato: il loro culto – di cui le Madonne del
Latte e della Neve sono inopinabile eredità, intimamente collegate tra loro –
sorge dal precedente culto della Diana preindoeuropea dei boschi e della luce,
che abbiamo visto in molti modi e testimonianze essere accostabile a Perchta,
la Dama Bianca di origine germanica preindoeuropea, la strega Alpina, la
luminosa che porta la morte.
Come si è visto,
sia la Dama Bianca che la Madonna della Neve hanno un legame con Diana Bianca
Cardea (insieme a Demetra, Ecate, Cerridwen e a Brigit/Minerva).
Alla fine dei
conti, c'è un filo d'oro che intesse una trama comune e che potrebbe fare di
loro un’unica entità pulsante, in equilibrio tra la nascita, la crescita e la
morte del ciclo lunare e del grano delle tre donne archetipiche: la
fanciulla, la donna matura, e l'anziana.
La Dama Bianca è
anche una dea che moltiplica la farina, la bianca del grano e la sua
origine più vera coincide con una antica dea della terra germanica. La Dama
Bianca è anche una dea della natura, delle stagioni e delle precipitazioni
nevose.
Gli incubi
Nella tradizionale
figura della Strega Perchta (la Dama Bianca) ha a suo servizio i folletti Truden,
che in tedesco sono associati a paure e incubi dell'uomo.
Interessante
similitudine con le Albdrücken sopra citate; in tedesco incubo o demone
dell'incubo etimologicamente legate alla parola alphiton (farina d'orzo),
la stessa radice etimologica della Dea Bianca che, come detto, avrebbe originato
la Britannia primitiva. Quelle di un legame tra la Dama Bianca e la Madonna della
Neve e del Gelo potrebbero essere ipotesi fondate…
I luoghi del culto
ai giorni nostri
Probabilmente è
stata proprio la neve, nonché l'attestazione della sua presenza, a dare
continuità alla figura della Madonna della Neve e del Gelo e sebbene la maggior
parte delle leggende italiane sulla regina d'inverno arrivino dalle Dolomiti,
nonché dalla parte orientale delle Alpi e dalle Alpi in generale; importante
sembra la svolta storica del culto della Madonna della Neve nei pacifici luoghi
appenninici dell'Italia Centrale; in particolare nel Lazio, d'altra parte la
stretta connessione tra l'antica religione britannica, greca e romana nata
dalla miscellanea dei popoli indoeuropei in tutta l'Italia e l'Europa ha
notoriamente generato la sovrapposizione o il riadattamento di antiche figure
divine preindoeuropee, degenerate conseguentemente nell'opera di
cristianizzazione della nostra penisola, dove in definitiva l'antico culto
della Regina della Neve precedente all'opera missionaria è stato
cristianizzato.
Oggi in Italia
si contano 152 edifici intitolati alla Madonna della Neve, ma le regioni dove sono concentrate sono
il Piemonte (che ne conta trentuno), la Lombardia (che ne conta diciannove) e
la Campania che ne conta diciassette.
Nel territorio
napoletano così come in quello laziale, il culto e le celebrazioni sono assai
sentite con manifestazioni folcloristiche.
La miracolosa nevicata
interiore
Tracce dell'antica
dea della neve e del gelo sono praticamente ovunque, ma è possibile
riconoscerla in tutto ciò che vaga o riposa, sospeso tra i ghiacci di un
inverno atavico, ricordando che, a volte, restare ferme a trarre ristoro dalle
acque della propria grotta buia interiore, può rivelarsi il viaggio più utile
di sempre: come fiocchi di neve roteanti nel cielo, vaghiamo noi altre su
questa terra, ma soprattutto vaghiamo, spesso smarrite, dentro noi stesse,
predisponendoci con fiducia alla miracolosa
nevicata di consapevolezza interiore che la stasi letargica e meditativa
nell'utero cosmico può scaturire.
Consacrarsi
alla Madre della Neve
Ci si potrebbe
rivolgere a lei ogni qual volta si sente di aver perso la strada, dato che è
la Dea dello smarrimento e dello scorrimento, ma anche quando si vuole
trovare pace e porre fine a conflitti di qualsiasi natura, lasciando che la
neve si adagi dolcemente sulla rabbia, “resettando” ogni cosa.
Le si può erigere
un piccolo altare vicino al caminetto, o in una fessura scavata nella pietra in
giardino, magari procurarsi una statuetta della Madonna della Neve e darle
dimora, intitolandola a protettrice della casa.
Uno degli aspetti
della madre della neve, nonché delle Matronae e delle dee di luce e opulenza
che le sono progenitrici tanto quanto lo sono delle Madonne del Latte e di
tutte le Madonnine campestri; era quello di essere numi tutelari delle
abitazioni, lares cui affidarsi nella attività quotidiana, affinché
ispirassero e regolassero l'alchimia che intercorre tra lavoro e riposo, tra
luce e ombra, fuoco e gelo; al quale forse ci si potrebbe ancora affidare,
affinché non si commetta l'errore di quel pastore delle Dolomiti che,
tanto tempo fa, in preda a ira e
competizione con il fratello; lavorò senza sosta e si rifiutò di contemplare
l'ammonimento divino della dea della neve e del gelo, la quale costrinse tutti
al riposo con una inaspettata e copiosa nevicata che seppellì i campi su cui
entrambi gli uomini avidi rivendicavano proprietà.
Ignorare l'invito
della neve a far riposare la rabbia tra le sue bianche braccia, accecò l'uomo
che sfidò la tempesta e si condusse con le proprie azioni alla morte.
Chi prova a
sovvertite la volontà introspettiva della dea nel suo giorno, va
inevitabilmente in contro a pessime conseguenze...
Note, bibliografia
e sitografia
(1) Rododendri
Bianchi, Leggende delle Dolomiti, Karl Felix Wolff, Casa Editrice Mursia,
L'Antelao e la Samblana, pp. 183-190, Edizione 2018
(2) Le Dolomiti
nella Leggenda, Ulrike Kindl, Case Editrice Frasnelli-Keitsch
Coop. a.r.l; Edizione 1993, p.27
(3) La Madonna
delle Nevi, Enciclopedia della Fiaba a cura di Fernando Palazzi, casa Editrice
Giuseppe Principato Milano-Messina, Quarta Edizione, Leggende Regionali
Italiane, pp. 457-458, Leggenda nr. 81
(4) Festa della
Madonna della Neve, Bacugno, 1992, www.giuseppebonifazio.it, Articolo
del 2016
(5) Sugli Scavi
del Santuario di Vacuna www.artribune.com Articolo di Maurizio
Zuccari, 29 luglio 2021
(6) Dizionario
Etimologico Rusconi Libri, realizzato da Artemisia Progetti
Editoriali, Genova, Edizione aggiornata 2012
(7) The Inner
Mysteries, Stregoneria Progressiva e Connessione con il Divino, Janet
Farrar & Gavin Bone, Casa Editrice Brigantia, Le Dee e gli Dei
della Stregoneria, Diana p.229
(8) Il Ramo D'Oro,
Studio sulla Magia e la Religione di James G. Frazer, Edizioni Bollati
Boringhieri, 2016
(9) Tracce
Celtiche, curiose, misteriose ed inquietanti; piccolo viaggio all'interno di
alcuni segni, misconosciuti o ignorati del passato celtico antico e medievale
nell'Italia alpina e padana, Edizioni della Terra di Mezzo, Marco
Fulvio Barozzi pp.152-153, 2000.
(10) La Dea
Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, pp. 71-85, 1992
(11) Citazione di Ovidio,
in La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli Adelphi, p. 80, 1992
(12) Il più
completo e ispirato tratto della Dea Bianca di tutta la letteratura antica si
trova nell'Asino d'oro di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata
dal profondo della sua infelicità, XI, 1-5.
(13) www.ossolanews.it
(14) I Sabini, Wikipedia
(brevi cenni)
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