Basilica di Santa Maria Maddalena di Vézelay, Yonne, Borgogna, Francia
Introduzione
Eretta sulle rovine di una villa romana, l'abbazia dei monaci di Vézelay passò dapprima ai Carolingi, poi venne devastata dai Mori nel VIII e in seguito una parte del convento in collina venne arsa dai Normanni, che vi lasciarono inevitabilmente traccia.
In seguito, si volle ristabilire il luogo di culto e pare che la cancellata che si trova sotto all'altare della Maddalena - di cui i monaci ritenevano di possedere le famigerate reliquie - venne forgiata dalle catene dei prigionieri liberati che vi si dirigevano in pellegrinaggio.
Nei sotterranei della costruzione, scorrono le cosiddette correnti telluriche; punti strategici di incrocio delle vene d'acqua che sgorgano dal magma (il cuore) della terra; su cui i nostri antenati galli, finanche prima dei romani, erigevano i templi; per assorbire tali linee di potere, che venivano sapientemente individuate tramite la rabdomanzia.
La basilica, in effetti, fu trasformata nel XII sec. in gotica dai maestri d’opera cistercensi e templari; dedicata al culto di Maria Maddalena, un tempo era consacrata alla Vergine Nera - evidentemente epiteto della dea madre infera protostorica, forse proveniente dalla culla asiatica dell'Anatolia insieme alla Mesopotamia; da cui, fra l'altro, derivano quasi tutte le dee ctonie legate al culto delle sirene e madri ornitomorfe che abbiamo visto essere retaggio neanche troppo nascosto delle Madonne del Latte; poi assimilate ai nostri pantheon nelle varie Madri Nutrici legate ai culti del grano, della fertilità e delle acque, nell'avvicendarsi di scambi con l'oriente e/o per diffusionismo.
La Vergine Nera è infatti il lato oscuro della trinità lunare, la nera ventilatrice del grano, parafrasando R.Graves ne La Dea Bianca.
La Wouivre (nome che i galli diedero all'energia tellurica che serpeggia nei sotterranei, immaginata nelle sembianze di serpente) lì vi scorre abbondantemente, per la presenza di corsi d’acqua che nei sotterranei si incrociano, a formare particolari nodi.
Non a caso, la basilica sorge anche su una delle quattro strade che conducono i pellegrini a Compostela, e reca pertanto un potere misterico molto antico.
Ma la basilica è anche un percorso di luce: nel mezzogiorno nel primo giorno del solstizio d’estate nove cerchi di luce si allineano perfettamente lungo l’asse centrale della navata verso il coro, poiché il sole filtra attraverso le finestre in alto, situate a sud della Basilica. Inoltre, al solstizio d’inverno, i raggi luminosi, fanno sì che ogni capitello del muro nord della navata riceva un punto di luce preciso.
Ciò indica senz'altro che fosse da sempre un luogo di profonda alchimia, con tutta probabilità di natura iniziatica, non a caso era occupato dai druidi celti; che senza ombra di dubbio vi celebravano i riti stagionali.
Il paese su cui sorge portava nome di Eduen ed era territorio nella cosiddetta Gallia Pelosa (che si riferisce alle tre Gallie intorno a Lione).
Il nodo di correnti telluriche che si manifesta sotto la Borgogna, irradia una tale intensità che pare essere stata testimone di grazie e guarigioni miracolose, sin dall'antichità. In effetti, quasi tutte le chiese erette su luoghi di culto un tempo abitati dai celti, sono state successivamente titolate anche nel Nord Italia della Gallia Cisalpina, alle Madonne del Latte, della Neve e delle Grazie; che potrebbero essere, tutte, il volto più prossimo alle dee nutrici delle acque sacre che lì vi scorrevano, tra cui con tutta probabilità la romana Minerva e, andando a ritroso nel tempo, alla britannica Brigid nonché alle Matronae e alla Diana preindoeuropea, di origine forse etrusca e di dietrologie germanico/norrene, tanto è vero che significato etimologico e attributi la assimilerebbero alle Fatae madrine e filatrici Perchta/Dama Bianca; Frigg/Freya e Nerthus/Hertha.
Nel saggio dedicato alle Sirene da poco ultimato; si ha analizzato il profondo legame e assimilazione della figura della sirena allattante come punto di incontro filologico e archeologico di rilievo, tra le più recenti Madonne Galattofore sopraddette e le dee nutrici protostoriche, venerate fin dalle origini della Mesopotamia/Penisola Anatolica sotto forma di animali ctoni quali uccelli, serpenti e lucertole; poi spostatesi in tutto il continente europeo e asiatico, per diffusionismo ma anche grazie ai contatti stabiliti tra il mediterraneo e la via della seta, giunta con il suo retaggio culturale fino al Nord dell'Europa, condizionando ma mitologi artica e baltofinnica (intrisa di elementi sciamanici che richiamano l'alchimia vedica); e quella norrena; dove la Dea Frigg/Freya, incarnazione dell'energia fecondatrice e amorosa (espressa anche dalla sirena bicaudata) era venerata come Frigia nella Penisola Anatolica e addirittura recava, in alcune tribù germaniche, epiteto di Mar-doll (splendore del mare) etimologicamente vicino a Mer-maid (vergine del mare) - e Syr - etimo riconosciuto in quanto radice di sirena/siren presso diverse fonti letterarie analizzate nella ricerca dell'Antro sulle sirene.
A ogni modo, a Vèzelay la Madre Nera possiede anche il suo dolmen -(similmente alla cattedrale di Notre-Dame de Chartres) che aveva la funzione di connettere le energie telluriche a quelle stellari, in quanto simbolico dell'axis mundi, veicolo, noché albero cosmico presente in tutti i miti delle origini; sepolto accanto alla famosa cripta dov’era custodita la Vergine Nera.
Le Sirene, che secondo antiche fonti israelite, ma anche nella generale immagine delle abitatrici del mitico nord stellare tipico di tutte le culture europee e orientali antiche; abiterebbero (o sarebbero loro stesse) le sette sorelle pleiadi; così come i sotterranei acquatici (in quanto eredi delle madri ctonie protostoriche).
Per questo motivo sono per eccellenza creature protagoniste di entrambe le nature: stellare/solare e ctonia/tellurica, avendo funzione di veicolare nella loro doppiezza alchemica tale coniunctio oppositoum, ben espressa dalla loro natura duale: bifide o bicefale; a seconda del caso.
Per tale ragione che venivano poste in rilievo sui capitelli, decisamente in prossimità di tali nodi tellurici; sostituendo nel medioevo i dolmen, che avevano la funzione di segnalare tali correnti/linee.
A sud, a soli due chilometri dall'abbazia di Vézelay, sorge un santuario gallico di acque salate ed effervescenti, che pare essere connesso a livello sotterraneo alla basilica.
I capitelli all'interno della chiesa, così come negli altri luoghi sacri, figuranti sirene, draghi, centauri, e creature di intermezzo e confine quali la sirena bicaudata, avevano lo stesso scopo dei dolmen: segnavano il punto in cui l'acqua scorreva. Le sirene bifide sono ricorrenti nell’arte romanica, le si trovano a Pavia, Como, Bari nella Tuscia e in molti altri luoghi italiani e dell'Europa, soprattutto nel Nord.
Ad esempio a Pavia, sulla facciata principale della Basilica di San Michele Maggiore ci sono numerose sirene, tritoni barbuti ed ermafroditi.
Il rilievo tra Vichinghi, Sirene e Panozi
Il rilievo di interesse della ricerca, dell' XI secolo, che mi ha colpita e ho voluto raccogliere presso questi archivi, si trova nel Timpano della basilica, che risale al 1150, dove sorge un Cristo in trono dalle braccia spalancate, e intorno alla raffigurazione con apostoli ci sono diverse creature fantastiche e rilievi che rappresentano i vari popoli della Terra, fra cui un antropomorfo vestito di piume (richiamo alla natura di dea uccello della madre eddica, che portava piume di falco) che indossa un elmo tipicamente vichingo, affianco a una donna coi seni in vista, vestita di una sola gonnella e un bambino incurvato sul grembo dell'uomo.
Sia l'uomo, che la donna che il bambino hanno orecchie grandissime - che, a colpo d'occhio, farebbero quasi pensare a delle ali , simili a quelle che Mercurio ha alle tempie e alle caviglie (connesso alle sirene nelle simbologie alchemiche medievali, in veste di Anima Mercurii). Secondo la critica, gli individui sul rilievo, sarebbero infatti delle creature molto timide che, all'avvicinarsi di estranei, dispiegherebbero le orecchie come ali per fuggire: si parla degli esemplari del popolo dei Panozi, inquadrati in un contesto familiare e intimo che sembra raffigurare una famiglia.
Questi esseri dalle orecchie alate; sono rappresentati anche sui muri di certe commanderie templari dove avevano il nome allusivo di “atlanti”.
Qualcuno crede fossero nobili Inca, chiamati dagli spagnoli orejones (dalle grandi orecchie), per via dei dischi inseriti ai lobi delle orecchie.
Altri li assimilano a Orejona, la regina-dea venusiana raffigurata sulla porta del sole di Tiahuanaco, civiltà precolombiana.
Plinio, invece nella Historia Naturalis (libro IV, capitolo 95), li riconduce al popolo dei Panozi, presunti abitanti di una terra mitica situata nell'estremo Nord d'Europa.
Altri credono fossero abitatori della lontana Scizia, area euro-asiatica antica; ma erano anche simili agli indigeni che vide Colombo durante i suoi viaggi.
Etimologicamente la parola Panozi deriva dal greco pan e othi, che significa tutto orecchi.
Compaiono ab origine in Pomponio Mela, ma forse ne diedero notizia già Periplo e Megastene.
Ctesia, negli Indaka, parla di pandae o macrobi, le cui donne hanno un solo figlio nella vita, neonato che presenta i capelli già bianchi, otto dita per ogni arto, e orecchie gigantesche.
Appaiono inoltre ne Le Gesta Romanorum, una antologia inglese francescana precedente al 1342, dove le enormi orecchie sarebbero un mezzo per ascoltare meglio la parola di Dio.
Anche nella favole di Esopo di Sebastian Brant (1457-1521 p. 372) figurano insieme ad Adamo ed Eva.
Simili creature si trovano in Malaysia e Giappone.
Il cronista a seguito di Magellano Pigafetta li chiama Cafri.
Forse sono raffigurati a memento di una propensione e saggezza all'ascolto del mondo altro da cui provengono; tema affrontato in saggio sulle Sirene, le creature del suono e della voce, che a livello psicosomatico sono connesse all'orecchio che, infatti, ricorda la forma della conchiglia e l'ambiente marino.
Non ci è dato sapere molto di più sul rilievo in questione, dove, a ogni modo, risulta una spiccata allegoria di una natura vichinga nell'uomo (le fonti sono d'accordo sullo stabilire che l'elmo è tipicamente vichingo) e la funzione di figurare in rilievo sul capitello (solitamente prerogativa della sirena bicaudata) per indicare, forse, il passaggio dell'acqua sotterranea. Dopotutto, i normanni attaccarono Vézelay, pertanto passarono di lì; Frigg/Freya, madre dei Vani, vestita di piume di falco era chiamata da alcuni germani (secondo Tacito) Syr o Mardoll e proviene come discusso in saggio dalla dea Frigia degli Aesti (Aesir, abitanti di Asgard, nonchè dalla radice etimologica della primitiva Asia) che dalla Penisola Anatolica si sono espansi a Nord, per via delle invasioni indoeuropee e, in fin dei conti, le dee alle origini del mito delle sirene, sono tutte evoluzione di madri anatoliche o mesopotamiche più antiche! Incomincia ad essere chiaro, allora, il motivo per cui un elmo vichingo, i mitici Panozi dell'estremo Nord, e una sirena bicaudata possano essersi incontrati; svolgendo simile funzione nei luoghi di culto che li ha assorbiti alla propria religione?
(1) Vézelay - Tratto da Sapienza Misterica, Portale di Vincenzo Pasciuneri
Sitografia
(1) Vézelay - Tratto da Sapienza Misterica, Portale di Vincenzo Pasciuneri
Bibliografia
Per approfondire ulteriormente il tema della rabdomanzia si consiglia la lettura delle Leyline; Il Potere della Terra nella Magia dell'Acqua, cfr. Il Fantastico Mondo delle Creature d'Acqua, D.J. Conway, Casa Editrice Armenia, p. 115
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