
Le formule magiche della stella
Seguono le “formule magiche” riportate sui soffitti della Chiesa di Santa Maria in Betlem a Pavia, in prossimità della elegante cappella marmorea che ospita la statua lignea della Madonna della Stella: “Stella Mattutina, Ora pro nobis”,“Stella del Mattino, prega per noi”.
E, la seguente, la formula contenuta nel libro tenuto tra le mani del bambino in seno alla Madonna:
“Ego sum, Lux mundi”,“Io sono la Luce del Mondo”.
La scrittura completa (Gv b,12) da cui il detto magico è stato estratto recita così: “Ego sum lux mundi; qui sequitur me non ambulat in tenebris, sed habetit lumen vitae”, “Io sono la luce del mondo, chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Dante non ha mancato di ricordarlo: “Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”(Inferno, Canto XV).
La Chiesa di Santa Maria in Betlem di Pavia(PV), storia ed elementi architettonici
La statua lignea della Madonna della Stella, forse opera francese la cui realizzazione è databile al XIII secolo; è una delle statue più preziose conservate a Pavia e si trova nella Chiesa di Santa Maria in Betlem, la chiesa parrocchiale di Borgo Ticino.
La Chiesa di Santa Maria in Betlem fu eretta intorno al XII secolo sull’area di una preesistente chiesa d’epoca carolingia, i cui resti sono stati scoperti nei restauri del 1953. Dopo il Mille, accanto alla chiesa sorse un ospedale destinato ad ospitare i pellegrini itineranti verso la Terrasanta.
Questo è il motivo per cui, ancora nel sec. XIV, la chiesa dipendeva dal vescovo di Betlemme. La facciata tipica romanica è decorata da un elegante intreccio di archetti e presenta il duplice cromatismo del cotto e della pietra arenaria.
Le stelle scolpite sui battenti del portone richiamano la Madonna della Stella la cui statua si trova nella prima cappella a sinistra ospitata da un ricchissimo altare marmoreo del Settecento (1).
Gli affreschi della volta furono eseguiti da Paolo Barbotti nel 1851, mentre il campanile, risalente al XIII secolo, fu rialzato in età moderna.
La processione della Stella in Borgo Ticino(PV)
Ogni anno, il 2 giugno alle ore 21 i remi dei “barcè” si bagnano nell’acqua del Ticino e la Madonna della Stella viene issata sulla tipica imbarcazione pavese, per salutare e benedire con il suo passaggio – a reminiscenza della stella guida dei marinai – il fiume e gli abitanti del paese. “Giunti nei pressi del Ponte Coperto, le barche attraccano e la Madonna viene portata a spalla fino alla chiesa e la processione riprende il suo cammino sulla terra attraverso il primo tratto di via Milazzo, piazzale Ghinaglia e via dei Mille”(1).
Iside Stella del Mare
Il mito stellare delle donne, sacerdotesse e sirene
Simile alla Tara Bianca – che esiste anche nella più conosciuta versione “verde” – la Traghettatrice e Matrona dei Mari, la Stella che guida i marinai nel Buddismo asiatico e nelle Scritture Tantriche Indù(3); “Iside è anzitutto una incarnazione della serenità e della calma spirituale, che reca una dolce promessa di immortalità, apparendo a molti come una stella in un cielo tempestoso, e risvegliando nel loro petto un incontenibile rapimento di devozione non dissimile da quello offerto nel Medioevo alla Vergine Maria”(2).
“La somiglianza tra le due potrebbe del resto non essere accidentale, infatti l’Egitto, complice il Concilio di Efeso; potrebbe aver contribuito al sontuoso simbolismo offerto dalla Chiesa cattolica a Maria. Nell’arte, la figura di Iside assomiglia talmente alla Madonna col Bambino che ha qualche volta ricevuto l’adorazione di inconsapevoli cristiani. Ed è forse Iside, nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine Maria deve il suo bell’epiteto di Stella Maris” (2).
Non è un segreto che, a differenza di altre confessioni di natura monoteista e patriarcale, nondimeno le mitologie romana e greca, dove le Dee sono state private dai loro attributi mitici primitivi e rese “imperfette”, nel cristianesimo la Grande Madre abbia mantenuto una grande presenza e potenza, sì per via del sincretismo che al Concilio di Efeso del 431 venne ritenuto opportuno affinché i pagani che veneravano ancora la triplice dea lunare ereditata dalla Antica Europa non si sentissero smarriti nel nuovo culto – dove le ombre di Diana, Iside, e la Madri Allattanti risalenti alla preistoria matriarcale regnano tutt’oggi sovrane, seppure celate oltre la logora veste cristiana.
Iside è anche, e questo è un altro attributo ereditato dalla Madonna; “la Dea dai molti nomi”, “la dea dai mille nomi”, ed anche “la dea dalle miriadi di nomi”, nonché “creatrice delle cose verdi”, “la verde dea il cui verde colore è come la verdura della terra”, “la signora del pane”, nonché recante l’epiteto “Sochit” o “Sochet”, che significa “campo di grano”(2); creatrice del grano e dell’orzo, “la signora della birra”, “la signora dell’abbondanza”; ma è anche – e questo è ciò che fa di lei l’originaria antenata della Madonna della Stella – “Sopdet” o “Sopedet”, Iside-Sopdet; la divinità egizia associata alla stella Sirio:
(…)
Ciò potrebbe avere origine, a ogni modo, nella prima storia israelita, dove i marinai cananei/fenici usavano sempre l'aspetto delle Pleiadi come orientamento per l'inizio dell'estate, nonché la stagione dei commerci nel Mediterraneo.
Questa pratica venne in effetti portata avanti dai Greci, Romani e altri fino alla adozione del vapore, dove i motori hanno sostituito il vento come fonte primaria di energia. Se la fonte secondo cui la dea Asherah – una forma di Astarte/Afrodite – che la vorrebbe associata alle Pleiadi fosse certa; ella, così come la sirena, sarebbe una versione cananea di Sopdet, la stella egizia, dea associata a Sirio – anche aspetto di Iside "Stilla Maris" – la cui elevazione eliaca indicava l'inizio della stagione delle inondazioni ogni anno.
Non a caso, la Madonna della Stella viene fatta sfilare nel paese di Borgo Ticino ogni anno, nei primi giorni di Giugno, a simbolo della stella guida. Questa connessione tra Asherah e le Pleiadi converge saldamente Asherah all'ittita dea Ishara, che era la Madre dei Sebitti, delle “Seven Stars”, le sette stelle sorelle.
Ishara era la parola semita per dire convento o trattato, e come tale era la dea dei giuramenti. Il testo più antico sopravvissuto di lei proviene dalle rovine dell'era sumera dell'Elba nel nord–ovest della Siria, tuttavia fu successivamente adottato dagli Hurriti e poi dagli Ittiti come Ishara, dagli Accadi come Ashara e dagli Ugaritici cananei come Ushara(3).
Si tratta, in generale, di quello “strascico di dee”, come amo definirlo; appartenenti alla medesima “natura sirenica” – un altro termine da assumere tra molte virgolette, dato che ho pensato di introdurlo azzardatamente – alle quali si sposa, secondo le ricerche del portale di ricerca Lo Scrigno di Luce, anche la Dea Syria – riconoscibile in Strabone e in Plinio nei panni di Atargatis o Derceto – che secondo Michail Ivanovič Rostovcev è la grande Dea della Siria del Nord, la quale era dotata del “canto siriaco”, che per Giambattista Vico avrebbe preceduto la parola stessa(3).
Questa dea, di origine asiatica, assume in epoca storica svariati nomi e volti, pur essendo una continuazione della “Grande Signora degli animali della Mesopotamia”, traccia di un culto millenario – vivo e vegeto ancora sotto la dominazione romana e bizantina – che promuoveva nei propri templi l'amore libero e svincolato dal matrimonio (3).
Non è un segreto, che le Sirene, ovvero la forma più antica delle dee-ornitomorfe della nostra Europa della pietra; non solo secondo Esiodo fossero sorte dalle Pleiadi, se non identificate nelle Pleiadi stesse; ma erano anche una manifestazione della sessualità libera e sacra – diversamente dalle Muse, soggette nella mitologia greca patriarcale al plettro maschile – “ovvero le Sirene erano un collegio di nove sacerdotesse lunari orgiastiche, custodi di un santuario oracolare insulare”(cfr. Robert Graves, La Dea Bianca p.482).
Syria è dunque un altro aspetto della dea celeste e acquatica, la Dea della Sirene per antonomasia; rintracciabile ancora nella cretese Rhea, fenicia Astart, accadica Ishtar (erede di Inanna ornitomorfa), nell’anatolica Kybele, nell'ittita Kubaba, nell'egea Artemis e nella sirio-palestinese Atargatis – tutti culti distinti, ma intrecciati (3).
Riferisce Luciano di Samosata, siriano (120-80 d.c.); che Atargatis aveva corpo per metà donna e con coda di pesce, pur mantenendo cosce e piedi e, dunque, la sua inviolata femminilità, completa di ogni aspetto. Il luogo da cui proviene la Stella guida, allora, potrebbe essere quella stessa, ed unica isola femminile, dove miti di ogni parte dell’Europa, fino all’estremo Nord artico, influenzato peraltro dal mito asiatico a causa dei traffici della Via della Seta(4); dell’Isola di nebbia delle donne, chiamata Pohjola(4); ma anche del mondo, ad esempio tra gli aborigeni austrialiani che hanno concepito la venerazione delle sette stelle; hanno localizzato il famigerato convegno di donne sacerdotesse, invero la reminiscenza di quella sorellanza, vegliante il fuoco e la luce tipica anche delle Estie, delle Vestali e della Brigid/Danae, che un tempo abitò l’Antica Europa pre-agricola, dando vita al culto della trinità lunare poi conosciuta come la iniziatica religione della lucifera Erodiade/Diana(7). (…) Tracce della famigerata landa delle donne magiche, si trovavano già in Erodoto, in Ippocrate che localizza una Terra Hyperborea Incognita sotto l'Orsa Maggiore o Stella Polare, oltre i Monti Rifei; in Plinio, che narra di un luogo detto Ges Kleithron, “serratura della terra”, e nelle tradizioni di molti popoli eurasiatici che narrano della medesima terra nordica “di difficile accesso” (cfr. 3,4).
Un'altra plausibile dimora femminile ad appannaggio delle fanciulle della terra del “mitico nord stellare” potrebbe essere quella della giapponese Amaterasu – similmente al Fensalir, ovvero «sala delle profondità marine»; dove vive la Dea Frigga, venuta del resto a formare una unica dea con Freya, dopo la collisione tra i popoli pre-agricoli dell’Europa germanica primitiva e le ondate indoeuropee che hanno introdotto questo nuovo aspetto della Grande Madre germanica e norrena. Secondo gli studi Claudia Emanuele, basati su quelli di Marija Gimbutas; Freya è in effetti anche detta “Syr” – ripensiamo a Syria – o “Mardöll” – che significa «splendore del mare» (cfr.3), di indubbia etimologia legata alle sirene – presso alcune tribù germaniche.
Del resto, l’accostamento tra Frigg/Freya e le Dee associate alla Stella guida e all’aspetto celeste e “sirenico”, potrebbe non essere una illazione dei nostri studi, data la connotazione di “Dea dell’amore” della stella stessa...
(Tratto da Le Sirene, miti e rivelazioni alchemiche dalle origini, ricerca di Claudia Simone disponibile nella sezione Le Vie dell'Antro, La Via delle Sirene).
Stella Mattutina e Stella Vespertina
Astarte meteora e le dee asiatiche dell'amore
Ma è anche possibile che il sorgere d’una lucente stella desse regolarmente il segnale della festa di Adone e che, per caso, la stella fosse apparsa all’orizzonte nello stesso momento in cui l’imperatore Giuliano giunse ad Antiochia.
E, questi, potrebbe aver preso per un saluto diretto a lui le grida che, invece, erano indirizzate alla Stella.
Ora Astarte, la divina amante di Adone, era identificata col pianeta Venere e i suoi cambiamenti da “stella mattutina” a “stella vespertina” venivano accuratamente notati dagli astronomi babilonesi che ricavavano presagi dalle sue alternate apparizioni e sparizioni. Ma l’astro che il popolo di Antiochia salutava alla festa era nato a Oriente; perciò, se era veramente Venere poteva essere solamente la “stella del mattino”.
Ad Afaca, in Siria, presso un famoso tempio di Astarte, era “l’apparizione di una meteora” a dare il segnale per la celebrazione dei riti: cadeva, come una stella, dal Monte Libano nel fiume Adone.
Si credeva che la meteora fosse “Astarte in persona” e il suo volo attraverso l’aria rappresentava la discesa della dea innamorata tra le braccia del suo amante. Ad Antiochia e altrove “l’apparire della stella mattutina” nel giorno della festa può, in egual modo, essere stata presa come l’arrivo della dea dell’amore per risvegliare il suo amante morto dal suo letto terrestre (2).
E ancora, un altro legame tra le dee asiatiche d'amore e di natura celeste lo si comprende ricordando le origini di Freya:
(...)
Regina degli Aesir è infatti Freya, ora chiamata Frigga, che significa “la Frigia”. La Frigia è la regione montagnosa interna della Turchia nordoccidentale, dove era venerata Kibele/Cibele. La Frigia è dunque sia l'epiteto attribuito a Cibele quando viene importata a Nord a ricordarne la provenienza – così come Afrodite, nata dalla schiuma del mare a Cipro, era conosciuta come la Cipride e Artemide la Cinthia, dal monte Cintho – sia il nome che si sovrappone facilmente a Freya.
La parola Frigia ha a sua volta origine, probabilmente, nel termine sanscrito “prija”, che significa amore.
Tacito riferisce che la tribù degli “Aestii” riveriva la dea Cibele come Madre di tutte le divinità. Questi ultimi erano gli Dei della lontana “As-gard”; da “As” o “Assua”, in latino Asia; che ab origine era l'Anatolia; nonchè plausibile matria di Freya come degli altri dei degli antichi germani, ossia l'attuale Turchia od antica Troia (5); portati lassù al Nord con le ondate di popoli indoeuropei, circolati dalle parti del Mar Nero, che hanno sfiorato questa famigerata “terra di mezzo”(3, Cfr.5) che altro non è che la regione anatolica a Nord della Mesopotamia”.
(Tratto da Le Sirene, miti e rivelazioni alchemiche dalle origini, ricerca di Claudia Simone disponibile nella sezione Le Vie dell'Antro, La Via delle Sirene).
Il volo regale e le dee celesti sumere
Non mancano dee sumere connesse alla storia delle “sirene celesti”, e sappiamo che nella cultura del contesto, la regalità discese proprio dal cielo, prova un testo in cuneiforme composto tra il 2100 e il 1800 a.C., che aveva lo scopo di gettare le basi dell'unificazione del territorio di Sumer, sito nella Mesopotamia meridionale che, peraltro, risulta essere una culla di dee alla base della figura della sirena per come è venuta a delinearsi dopo, nelle sirene greche, che sono solo una pallida immagine delle potenti dee uccello, e quindi “del volo celeste della stella asiatica” di cui sono eredi(3)…
La Cometa di Natale e la Stella di Epifania
Possiamo immaginare che fosse la stella mattutina a guidare i Re Magi dall’oriente a Betlemme(2); invero, la Stella, e le dee di luce lei associate, sono la vera e più antica apparizione celeste femminile, la dietrologia pagana, di quello spirito santo fecondatore della grotta/utero che, in un tempo che si perde nella notte dei tempi, giungeva a risvegliare la terra addormentata sotto la galaverna, dando vita alla natalità della creatura solare: il sole, che al girare della ruota rinasce sotto l'egida del solstizio, dopotutto, è una stella.
La Stella Madre, che dà alla luce la stella figlia: a tal proposito, sopravvive una fiaba dolomitica intitolata proprio Madonna Luna e Stella Diana..
Testimonianze di un culto legato alla natività del sole intorno al 25 Dicembre, provengono dall'oriente persiano del dio Mithra, originariamente molto simile al culto della Grande Madre; dalla Siria e dall'Egitto, dove si festeggiava la vergine partoriente, la Grande Dea Celeste dei Semiti, che era una forma di Astarte.
Inizialmente la data adottata per la natività era in queste zone il 6 gennaio, furono i dottori della Chiesa che, volendo insabbiare le radici antiche del culto della «Stella Sole», decisero di concedere che la natività del Cristo venisse fissata il 25 dicembre, e l'Epifania il 6 gennaio.
Fu un modo per inglobare le adorazioni pagane con quelle cristiane in unicum che potesse soddisfare la richiesta del popolo e soggiogarlo con mani invisibili alla nuova religione.
È vero inoltre (e lo si apprende da una vecchia strega dei Grigioni citata ne Le Tredici Lune di Luisa Francia, e ciò è stato confermato anche dal II Volume del Taschenwörterbuch der Österreischischen Volkskunde), che il periodo di congiunzione dall'anno antico lunare con 354 notti, all'anno solare giuliano con 365 giorni si chiama “Dodicesimo”, e la Bercht, ovvero la Perchta, con il suo seguito di bestie selvagge, in queste notti andrebbe a cercare la gente a casa, trascinando nell'aria la corsa selvaggia.
Le Dodici Notti alla fine delle quali la stella cometa appariva erano quindi in origine il tempo derivante dalla differenza tra l'antico anno lunare e quello solare.
Epifania, dal latino Epiphanía, dal greco Epifhàneia significa proprio “apparizione”, ed è – secondo il Vocabolario Etimologico Ottorino Pianigiani, p. 470 – “la festa cardinale in cui la chiesa cristiana commemora la apparizione dell’astro” – «la stella» – che dall’Oriente guidò alla culla di Gesù i Re Magi, invero “i Sapienti”.
La stella, le antiche madri celesti dei semiti e la Befana che nella notte del 6 Gennaio fa la sua comparsa, coesistono dunque nella stessa entità di apparizione e miracolo?
La dea partoriente dei Semiti e la natalità della Stella-Sole
Testimonianze di un culto legato alla natività del sole intorno al 25 dicembre, provengono dall'oriente persiano del dio Mithra, originariamente molto simile al culto della Grande Madre; dalla Siria e dall'Egitto, dove si festeggiava la vergine partoriente, la Grande Dea Celeste dei Semiti, che era una forma di Astarte (2).
Inizialmente la data adottata per la natività era in queste zone il 6 gennaio, furono i dottori della Chiesa che, volendo insabbiare le radici antiche del culto del sole, decisero di concedere che la natività del Cristo venisse fissata il 25 dicembre, e l'Epifania il 6 gennaio.
Fu un modo per inglobare le adorazioni pagane con quelle cristiane in unicum che potesse soddisfare la richiesta del popolo e soggiogarlo con mani invisibili alla nuova religione.
Lucifero Stella del Mattino
“Io, Gesù, ho inviato il mio angelo che attestasse a voi quanto concerne le chiese. Io sono la radice, la stirpe di Davide, la stella lucente del mattino”.
(La Bibbia, San Paolo Edizioni, Apocalisse, 22:16, p. 1305)
“Lucifero”, dal latino lucifer, composto di lux – luce – e ferre – portare – il famigerato angelo caduto che la mitologia cristiana ha associato a Satana; già divinità romana, nonché assimilabile al greco Eosforo, associate al pianeta Venere così come l’Adone semitico, dio delle cose, “sposava la stella Astarte”; altri non potrebbe essere che la degenerazione del volto preindoeuropeo delle Dee di Luce sopraddette, la cui origine si perde nella notte dei tempi: Lucina “candelifera”, Lucia, il cui culto è ben precedente a quello attribuito dal sincretismo con la santa siracusana ed è, secondo i nostri studi, con tutta probabilità connesso alla figura della Erodiade/Diana preindoeuropea, di dietrologia forse etrusca, e protagonista del culto della luce e della gioiosa danza selvatica delle prime sacerdotesse della Europa Antica che veneravano la Grande Madre nella sua forma lunare triplice, ma anche nel suo aspetto solare – di cui Diana è portatrice, ed è per questo che nel mito illustrato nel Vangelo di Leland sarebbe sposa incestuosa di Lucifero, col quale darebbe alla luce la figlia Aradia, semidea medievale vendicatrice delle streghe – dato che la dicotomia e consecutiva scissione dei suoi aspetti in maschile e femminile è un retaggio delle mitologie indoeuropee, che hanno privato le dee – così le donne – dei loro attributi primigeni; spostando l’attenzione dal culto ciclico e pacifico della Grande Madre alle bellicose e prepotenti divinità solari ad appannaggio maschile: lo stesso Giano, è una mascolinizzazione di Diana.
Macrobio (390-430 circa) ci dice che Giano è anche detto Gemino (3), perché come il Sole esso sarebbe padrone “dell’una e dell’altra” parte del cielo: interessante che, la nostra Diana preindoeuropea, che peraltro potrebbe sussistere nel volto romanizzato delle Matres/Matronae di origine celtica, fosse proprio, fra le altre, una dea della luce e della vegetazione, legata quindi a un simbolismo solare.
Inoltre, in latino, porta si dice “juana”, dal sanscrito “jana”, da cui Diana, Giana, “Domus de Janas”. “Juanua coeli” era infatti un epiteto delle dee, poi passato alle litanie della Madonna (10, Cfr. p. 57).
Presso la Chiesa di Santa Maria Assunta di Armeno, che ospita tre Madonne del Latte, che sono, secondo i presenti studi, alla radice dello stesso culto precristiano che abita le Madonne della Neve, delle Grazie e, in generale, tutte le Madonne di Campagna; è conservato un affresco della trinità tricefala quattrocentesca, anche in questo caso mascolinizzata, ma recante l’antico attributo triplice della Grande Madre preistorica.
La leggenda cristiana della Madonna della Stella
Sulla statua della Madonna della Stella è nata una curiosa leggenda. Si racconta di un gruppo di mercanti pavesi che, in piena estate, si trovavano a Venezia per vendere le loro merci. Pronti a fare il loro rientro a Pavia, una sera di agosto i mercanti si preparavano per seguire il percorso naturale del Po e del Ticino.
Un viaggio lungo e faticoso che avrebbe comportato ben otto giorni di navigazione per risalire la corrente. Prima della partenza una donna con un bambino in braccio, chiese un passaggio fino a Pavia, ma i marinai, per non avere problemi a bordo le negarono l’imbarco. Solo un certo “Paron Antonio” accettò di cederle la branda e di dividere con lei il cibo. L’equipaggio affrontò la prima notte di navigazione ma all’alba, mentre tutti dormivano, uno dei rematori si rese conto di essere giunto proprio a Porta Salara.
Pavia apparve loro imbiancata di neve nonostante fosse il mese di agosto. Tutti furono svegliati dalla sorprendente notizia ma nella confusione nessuno si accorse che la donna e il bambino erano spariti. Qualcuno però notò che la misteriosa passeggera aveva lasciato le sue orme sul manto di neve.
I marinai seguirono la luce, che portava in una chiesa del Borgo Ticino (Santa Maria in Betlem), dal portone spalancato e lì, sull’altare videro una statua della Madonna che assomigliava alla signora che avevano trasportato.
Anche il bambino in braccio alla Vergine era quello della passeggera e sul petto della donna brillava una stella luminosa (1).
Madri di stelle, neve e latte
La Madonna della Stella e La Madonna della Neve
Leggende a confronto
Come nella leggenda della Madonna della Stella, anche la leggenda della Madonna della Neve narra di una “miracolosa nevicata estiva”, che peraltro trova riscontro in racconti locali anche lombardi, piemontesi e dolomitici(8); e viene ricordata a Roma tra il 4 e il 5 Agosto, in memoria della ricostruzione di quello che è ritenuto il santuario mariano più antico dell'Occidente, La Basilica di Santa Maria ad Nives, eretta da Papa Sisto III (che visse tra il 390 e il 440 a.C.) sull'edificio sacro che venne fondato da Papa Liberio in onore della famigerata nevicata del 5 Agosto, con festeggiamenti che consistono in un susseguirsi di celebrazioni religiose e profane, in particolare la rievocazione di antichi riti agresti di origine pagana legati al bestiame e al grano, che sembrano coincidere con la presenza storica, nei luoghi coinvolti, del culto della Dea sabina Vacùna, e quindi con una manifestazione della Dea Madre preromana.
A Rieti, dove le celebrazioni sono particolarmente sentite, è stato rinvenuto un santuario dedicato a Vacùna emerso a Montenero, crocevia tra Roma e Rieti, con una campagna di scavi partita nel 2019. I sabini, un popolo italico vissuto in epoca arcaica ed insediato nella fascia appenninica, secondo Dionigi furono la continuazione culturale degli Aborigeni, una civiltà probabilmente neolitica.
Nel corredo sono stati trovati un utero miniaturizzato, un cippo del III sec. a.C. e reperti e sepolture dell'anno mille. Quasi sempre fatta risalire ad altre Dee, come la Diana di appropriazione romana ma di origine preindoeuropea, Vesta, Bellona, Vittoria o Nike, Vacùna rimase un arcano a lungo, fino all'emergere dello scavo, a cui si sta ancora lavorando su una iscrizione che potrebbe dare la certezza definitiva che appartenesse proprio a lei. I Sabini furono uno dei tanti popoli soppressi e distrutti dai Romani, forse è per questo che il suo culto è andato deteriorandosi, e fatto rivivere in altre Dee d'importazione, ma la verità potrebbe possedere sfumature ancora più complesse.
Sorge dunque un profondo legame tra Vacuna, e quindi tra la Madonna della Neve e le Matres Campestri, le Antiche Dee del grano e con la Madonna della Stella. La Madonna della Neve è sia una Madre della crescita e della bionda opulenza d'agosto, che una Dea del freddo invernale, della contemplazione, della Neve e del Silenzio: una Dea della vegetazione nella quale persiste la concezione protostorica di armonia tra luce e ombra, giorno e notte, sole e neve. L'intuito mi ha fatto credere fin dall'inizio che potesse esserci un legame profondo tra la Madonna della Neve e la Madonna del Latte; e riscontrare la medesima leggenda legata alla neve, dedicata alla Madonna della Stella, e quindi alla “serena figura di Iside”, non fa che confermare quanto scrissi: “entrambi i culti – del latte e della neve, ed a questo si aggiunge, oggi, quello della Stella – sono legati alle sorgenti, al culto del grano, e alle campagne; e in entrambi i retaggi non mancano le offerte di latte, come si è visto nella leggenda della Alpi Graie, e come avveniva nell'antico culto della luce sparso in tutta l'Europa Antica.
Ho scoperto che sia le chiese intitolate alle Madonne del Latte che alle Madonne della Neve, sovente riportano l'epiteto "Madonna di Campagna", ad esempio la Chiesa di Madonna di Campagna di Pallanza (VB) ospita due Madonne del Latte, e la Chiesa della Madonna della Neve a Baraggia di Suno (NO) è detta anche chiesa della Madonna di Campagna. Recita infatti un detto piemontese: “D' madone dla nev n'uma una pr pais, quasi sempre d'ti camp” (8). Inoltre, sia la Madonna del Latte conservata nella Cappella delle Grazie di Pallanza, che la Madonna della Neve della leggenda romana, portano l'epiteto di “nostra signora dei miracoli”, altra similitudine che non può lasciare indifferente un occhio attento, e che è intrinsecamente legata anche al concetto del miracoloso volo della stella.
Questo tipo di chiese hanno spesso simile datazione e tipologia di costruzione, così la Chiesa della Madonna della Stella di Pavia presenta uno stile romanico; e sorgono sovente su luoghi campestri e di testimonianza di culti precedenti legati alle Matronae cisalpine, madri danzanti delle acque, boschive e campestri, alla cui origine c'è La Dea Diana preindoeuropea del sole e della luce. Vacuna, dietrologia della Madonna della Neve e con tutta probabilità anche del Latte – similmente a Iside alla base del culto della Madonna della Stella, alla quale gli Egizi assimilavano una vacca di legno dorato con un sole fra le corna – è legata alla simbologia del Toro: durante i festeggiamenti in onore della Madonna della Neve derivanti dai “Vacunalia”, si porta infatti avanti la tradizione del toro ossequioso.
L'animale fa pensare alle Matronae che sono protettrici del bestiame, in quando Madri del latte e della nutrizione; nonché alla Berchta, la Strega Perchta tipica dell’area alpina e della Germania bavarese, che presenta gli stessi attributi “luciferi” di Diana e portava l’epiteto di “signora delle bestie”. Un altro elemento di contatto tra la Madonna della Neve e la Madonna del latte – nonché di legame con Iside Stella Maris – potrebbe essere il fatto che la parola “vacuna” richiama al termine “vaccino”, che sappiamo essere legato alla vacca, al latte vaccino. (...)
Sembra così che le Matronae possano essere il nucleo di contatto fra due polmoni di uno stesso organismo materno(8); d'altra parte, quand'anche si voglia fingere di non vedere similitudini nei simboli e nei luoghi di culto attestati; forse ci si potrebbe convincere pensando che Vacuna figura sia nell'elenco di Dee assimilabili alle Matronae, che fra quelle indicate come principale ipotesi del retaggio della Signora della Neve: sono esattamente le stesse Dee, alla base delle origini dei due culti: il latte, e la neve, al quale si aggiunge, per ovvi accostamenti, quello della Stella; ovvero di Iside, Madre del Grano, dell’Orzo – dalla quale la stessa Cerere/Demetra ha ereditato i suoi tratti – ora Stella del Mare.
La Mater Matuta, la Stella del Mattino e la Dea Bianca
La luce delle madri dall'Egitto alla Grecia, fino alla Britannia primitiva
Un’altra iconografia che ho rintracciato nella Chiesa di Madonna della Neve che, abbiamo visto, cela “un nucleo segreto” a cui potrebbero appartenere, indistintamente, le Madri del Latte, della Neve, delle Campagne, delle Grazie e della Stella; è Santa Liberata Vergine o Liberata da Como o semplicemente Santa Liberata vergine e martire che assomiglia incredibilmente alle antiche rappresentazioni della “Mater Matuta”.
(…)
Non risulta difficile, nel contesto campestre in cui sorgevano le fondamenta di questi santuari, immaginare che proprio lì vi fosse un culto della madre, delle madri, le Matres/Matronae che secondo i qui presenti studi altro non sono che la vera eredità di tutte le madonne della neve, del latte, del nutrimento e della grazia celeste.
Mater Matuta in italiano significa “madre propizia”, anche se l'etimologia di Matuta è ancora incerta e potrebbe anche significare “mā-tu-to‑”, ossia “mattiniero”, mattino, oppure da “mā-tu-ro‑”, maturo, pronto per il raccolto, come derivazione preromana: di fatto, il culto delle Matres, a cui con tutta probabilità anche questa Madre nascosta dal mantello di Liberata è assimilabile, era vivo nelle Gallie molto prima che vi giungessero i romani che ne hanno assimilato dee e culti.
Secondo Plutarco, nell'antica Roma venivano festeggiati i “Matralia”, in onore della Mater Matuta, con ricorrenza 11 giugno, a cui potevano partecipare solo le donne libere.
Anche qui, la assimilazione a Iside – per via della stella mattutina e per via dell'ancora una volta connesso culto del grano alla stella – è inopinabile. Iside è infatti colei che si cela oltre il velo della famigerata Dea Bianca.
(…)
Come si è visto nelle numerose ricerche dell'Antro, le Madonne del Latte e della Neve sono il volto cristianizzato delle Matronae, e prima ancora romanizzato nella figura di Minerva – sovrapponibile alla dea britannica Brigit – che prima dell'assimilazione alle divinità romane era lei stessa tutrice delle acque sacre.
Talvolta identificata con Vesta o Hestia, in alcune fonti presentata come Diana “vestale”, dal celtico dianna o diona – luminosa e brillante – è infatti tutrice preindoeuropea – forse di dietrologia etrusca – del fuoco e della luce, ma anche delle acque, ed è con tutta probabilità la progenitrice di tutte le Antiche Dee galattofore, le Madonne del Latte, Madri delle acque, del nutrimento e dell'abbondanza, legate al culto di Cerere/Demetra, la Dea dell'Orzo della Grecia Primitiva; e quindi antiche Madri del raccolto, le Madri del Grano a cui si riferiva La Dea Bianca di R. Graves, Madre degli Dei e da loro stessi adorata, triplice Dea bianca germogliatrice, rossa mietitrice e scura ventilatrice del grano, il cui colore bianco è il fondamentale poiché è il colore della prima persona della sua trinità lunare, ed in secondo luogo perché il suo antico culto sembra essere legato al mito di Io, che nel lessico bizantino di Suida era rappresentata come triplice cangiante, la Dea vacca bianca Madre degli Ioni – così come a Iside, e a Vacuna, come sopraddetto, era associata alla prima la vacca di legno con le corna d’oro e alla seconda il toro – una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia che si attribuirono i nomi delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i Danai, i cosiddetti “Pelasgi”, ossia i navigatori originari della penisola che prendevano il loro nome dalla Grande Dea Danae, che presiedeva alle attività agricole.
Dea Bianca, così chiamata nella Grecia Antica come nella Britannia.
In entrambe le culture, che si sono mischiate durante le invasioni dei popoli indoeuropei, figurano infatti le cinquanta sacerdotesse Danaidi, con tutta probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di Brigit custodi del fuoco sacro.
Una leggenda conservata da Nennio racconta che l'originaria Britannia protostorica possa aver derivato il suo primo nome da “Albione”, con cui era nota a Plinio, da Albina “La Dea Bianca”, nonché maggiore delle sacerdotesse Danaidi. Pare che da questo legame derivino espressioni germaniche come “Elven” – donna elfo – “Alb” – elfo – e “Albdrücken”, che significa incubo o demone dell'incubo e, in definitiva, pare fosse legato alla parola “alphiton” – farina d'orzo. Perciò le due culture, che attraverso l'assimilazione romana si sono sparse ovunque, nascevano probabilmente da una Dea Trina, Bianca, Rossa e Nera, dell'orzo, che fu con tutta probabilità la stessa dea dell'orzo Danaa di Argo, polis greca fondata nel primo millennio dagli Ioni che veneravano la “vacca bianca”.
Ipotesi e collegamenti a parte, nel Romanzo di Taliesin, viaggio senza tempo in Britannia di Merlino e Artù, appare la dea Cerridwen che è anch'essa bianca – irlandese e gallese “Wen” – e “Cerr” – che ricorda l'arcaico spagnolo “Cerdo” che significa maiale. I bardi gallesi descrivono questa antica dea come Dea del Grano: Cerridwen è chiaramente la scrofa bianca, la dea dell'orzo, la bianca signora della morte e dell'ispirazione; ovvero Albina o Alfito, la dea dell'orzo che diede il nome alla Britannia – similmente a Brigit che appena nata viene allattata da una mucca bianca con le orecchie rosse.
Anche Ovidio nei Fasti registra il culto della Dea Bianca, che i latini chiamavano “Cardea”. e che con tutta probabilità era la stessa Dea, che fondò Alba la città bianca, fondata dalle genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice di Roma: la sua pianta terapeutica era per ovvie intuizioni il “biancospino”. In questo contesto viene alla luce un'altra grande verità, e cioè che prima che Diana fosse romanizzata e mascolinizzata, spesso confusa con Giano – il ché ha lasciato un enorme fraintendimento nella sua storia – e sottomessa al matrimonio in quel susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea, era lei stessa la Dea Bianca Cardea, con cui condivide significati ed attributi alla base del culto delle Matronae.
Non solo: secondo le intuizioni dei presenti studi, alla base dello stesso culto ci sarebbe Iside: e non è un segreto che Demetra abbia ereditato quasi sicuramente ogni suo tratto di signora dei campi e del raccolto dalla Grande Madre Egizia; così come non è un segreto che Demetra e Persefone, nella mitologia greca, ma anche in quella romana nei panni di Proserpina; condividessero dimora e antiche fattezze con le Sirene-uccello, a seconda delle versioni del mito.
Ancora una volta è di stelle, di volo, di luce – Persefone, come la Stella Maris attraverso i cieli, illumina con la fiaccola i defunti che navigano sperduti “nel buio mare dell’oltretomba – assurgendo a ruolo di Stella Guida, e regolando il ciclo del raccolto annuale, che da lei, e dalla sua luce dipende. La Dea Bianca – così come Iside – porta il medesimo epiteto di “colei che ha molti nomi”, adorata in molti modi, Colei che vaga in molti boschetti, che dà la vita e anche la toglie (8).
(…)
Ciò è provato sia dal fatto che le sirene rapaci, con zampe d’uccello, nel mito greco e romano sono accostate a Persefone/Proserpina – con la quale negli scritti di Nicolas Flamel condividerebbero la dimora del prato fiorito ai piedi del Monte Etna – sia dalla eccezionale congruenza tra l’ambiente della campagna e del raccolto, e la “sirena”, che abbiamo visto possedere una intrinseca natura celeste. In un mito slavo di reminiscenza primitiva, esistono tutt’oggi le leggende delle “sirene dei campi”, che sembrerebbero un incredibile ed esaustivo, quanto inusuale, quadro definitivo dove la Madre che allatta, la Madre del Raccolto e la Stella Guida «coesisterebbero in una unica incredibile Madre nutrice, stella e sirena» (3).
Maria, Madre Stella e Sirena
Studio etimologico
Maria è la forma latina del greco biblico Μαρία – María – a sua volta giunto dall'ebraico Miryam. Mutuato anche nel greco Mariam è poi giunto all’italiano Miriam.
La teoria più plausibile è che Maria possa avere una origine egizia, ossia da “mry” o “mr” che significano “amata” e “amore”. Ed è forse a Iside, nel suo carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine Maria deve il suo bell’epiteto di «Stella Maris». Qualcuno ha interpretato Maria con il significato di “mare amaro”, nome composto da mar “amaro” e yam “mare”. Tale teoria venne riportata in un'opera di San Girolamo e tratta dall'Onomastica di Origene e Filone, ma pare sia stata esclusa per la sua inconcretezza.
Altre interpretazioni basate di nuovo su termini ebraici, fanno derivare Maria da mara – che significa “signora” o “principessa” – e da mari – “forte” o “che governa” – da marah – “desiderata per figlia” (di etimologia incerta); o da “mirra” che verrebbe da mor, oppure “mirra del mare” – da mor e yam – “signora del mare” – da mari e yam – e “goccia del mare” – da mar e yam.
Quest'ultima ipotesi fu trascritta anche da San Girolamo ed era presente in un manoscritto di Bamberga di fine XIX secolo come “stilla maris”, come testimoniato da diversi studiosi quali Varrone, Quintiliano, Aulo Gellio.
Quando i latini scambiarono nelle trascrizioni dall’ebraico molte “i“con le “e”, l'espressione si tramutò in “stella maris”, “stella del mare”, «che resta una delle interpretazioni più diffuse del nome ed è tuttora uno dei titoli della Madonna».
Secondo Douglas N. ne “La Terra delle Sirene”, p.12; “le Madonne (di Napoli) sono «tutte» antiche reincarnazioni di sirene, regine del mare con le loro corone scintillanti in capo”. Ne deduco che le Sirene sono le stelle del mare, e le Stelle, compreso il Sole che anche loro appartiene; sono le sirene del cielo.
Forse, protagoniste della forma più primitiva di rito femminile, quello del «rispecchiamento»; per parafrasare Luisella Veroli, archeologa dell’immaginario (3).
La Rosa dei Venti
La bacchetta con la stella impugnata dalla Madonna della Stella di Pavia, presenta una stella a otto punte, evidente simbolo delle Madri celesti e portatrici di luce menzionate nella ricerca. Otto sono, inoltre, le sirene/stelle che intonano e reggono l’armonia canora celeste nella mitologia platonica, e otto sono i raggi della stella polare, ovvero la rosa dei venti; che guida i marinai e in generale i viandanti sulla rotta.
La Stella Polare
Il Culto Artico e Baltofinnico dell'Orsa Maggiore
I popoli artici, e lo sciamanesimo di tradizione annessa, di cui, peraltro, è intrisa tutta la mitologia baltofinnica, di molto influenzata da quella asiatica e che a tratti irrora anche la reminiscenza di quella norrena; veneravano la Stella Polare credendo che fosse Ella stessa una Madre, identificata nell’Orsa, la progenitrice artica legata al cielo da una catenina d’oro. Nel mito finnico, Pohjola, la magica isola dell’Aldilà, è un luogo distante, ai confini del mondo, dove è difficile entrare così come uscirne. Il popolo sciamanico dei Sami aveva un termine, “boasso”, che indicava un luogo della tenda sciamanica situato a settentrione – e, quindi, in direzione della famigerata terra magica del nord – dove riponevano tamburo sacro ed equipaggiamento per la caccia.
Secondo lo studioso Nils Lid, il boasso aveva la funzione di riprodurre, nell'ambiente microcosmico della tenda, la landa di Pohjola, ossia il macrocosmo corrispettivo. Il rito dello sciamano – il praticante era detto tietaja – consisteva proprio nel compiere un viaggio estatico verso la landa di Pohjola, il luogo a cui ogni ricercatore dello spirito, probabilmente, avrebbe dovuto tendere.
Similmente nei riti sciamanici praticati dai siberiani nella yurt, la tenda, prevedevano il salire e scendere attraverso l'immaginario asse del mondo che connetteva la terra al cielo. Il boasso, la yurt, sono tutti stratagemmi creati al fine di percepire un trait d'union fra i diversi livelli dell'universo, dove ci si poneva con il tamburo in traiettoria con la stella polare, e quindi al centro del cosmo, dato che la stella rappresentava l'ago del cielo intorno al quale giravano tutte le altre stelle.
Da quella tenda, lo sciamano incominciava un viaggio alla volta del cielo, verso la terra di Pohjola, abitata dai morti sì, ma anche dalla magia, necessaria allo sciamano per portare guarigione alla sua gente.
Lo stesso Sampo, l’oggetto magico simile al Graal custodito dalla Signora di Pohjola, per cui gli eroi kalevaliani (ma anche alcuni eroi delle saghe islandesi) si battono, probabilmente, secondo lo studioso Uno Harva, potrebbe essere considerato l'asse del mondo, e dunque non un oggetto che può essere in qualche modo trovato al di fuori di sé, ma una connessione interiore ed invisibile fra la terra e il cielo, che oggi definiremmo equilibrio interiore, la silenziosa magia che ci abita e che si connette a noi nel ritrovamento “della stella”. Il mito dell'Orsa potrebbe essere molto più antico di quanto si pensi e risalire a tutto il mondo nordico dell'età della pietra.
Secondo lo studioso Martti Haavio, la madre antenata Emmu – assimilabile a una grande madre nordica – si sarebbe trasferita sull'Orsa Maggiore, dove provvederebbe lei stessa alla reincarnazione degli orsi uccisi e quindi non morirebbero per davvero durante la caccia, ma passerebbero ad altra forma di vita.
I Sami Kolt, e forse anche i FInlandesi e i Careliani, secondo le fonti, si consideravano figli di un accoppiamento avvenuto tra una donna e un orso, tradizione, naturalmente, cancellata dal cristianesimo. Anticamente, la festa veniva anche chiamata matrimonio dell'orso, probabilmente per questo motivo.
Notevole il fatto che il funerale di un orso veniva fatto coincidere con il suo matrimonio con la morte. Gli antichi finni utilizzavano, spesso, la stessa parola per definire dicotomie di gioia e dolore, significando una meravigliosa allegoria dell'armonia di opposti che si canalizzava nei riti sacri di morte e rinascita.
Sia in Lapponia che in Carelia, dopotutto, si narrava che gli sciamani e le sciamane, avessero la capacità di trasformarsi in orso, considerato alla stregua degli esseri umani, nonché chiamato il re dorato del bosco.
Magia Omeopatica della Stella
Raccomanda Marcello di Bordeaux, medico di corte di Teodosio I, nella sua curiosa opera di medicina, che se si soffrisse di pustole bisognerebbe stare attenti per vedere una stella cadente e, appena la si scorge, nel medesimo istante in cui corre per il cielo, si dovrebbe strofinare le pustole con un pezzo di stoffa; o con quel che capiti fra le mani.
Proprio mentre la stella cadrebbe dal cielo, le pustole cadrebbero dal corpo; purché non le si strofini con la mano nuda, altrimenti le pustole ci si attaccherebbero sopra (2, Cfr. p.29). Questa è in verità una forma di «magia omeopatica», dato che si tratta di un “simile che genera il simile” – in questo caso, la “caduta della stella”, che corrisponde alla “caduta della malattia”.
Star of Bethlehem, Il Fiore di Bach e La Stella di Davide
Ornithogaum umbellatum, “latte di gallina”; è un fiore appartenente alla famiglia dei gigli. Viene chiamato Stella di Betlemme non solo per il fatto che è un fiore comune in Palestina, ma anche perché la sua corolla con sei petali ricorda la geometria della stella di Davide, simbolo della sintesi degli opposti, ed espressione della unità di tutte le cose, come scrive Scilla di Massa in Curarsi con i Fiori di Bach.
Star of Bethlehem è il fiore a cui affidarsi in caso di profondi traumi, dove armonia e benessere dell'organismo sono pesantemente minacciati e c'è bisogno di ripristinare la calma e la pace; già descritta nel paragrafo dedicato a Iside Stella Maris, che la incarna e la irrora; Dea Bianca, come bianco è questo fiore (9).
La Legge della Stella
C’era una legge nella costituzione spartana che ogni otto anni gli efori scegliessero una notte chiara e illune e sedessero in terra a osservare il cielo in silenzio.
Se durante la veglia avessero veduto una meteora o una stella cadente, ne avrebbero dedotto che il re aveva peccato verso la divinità e lo sospendevano dalle sue funzioni sinché l’oracolo delfico o olimpico non ve lo reintegrasse di nuovo.
Tracce di questa usanza sono presenti anche nella barbara gestione della successione del trono svedese, ove il re Aun o On sacrificò otto dei suoi figli a Odino (2, Cfr. 333).
Sacrificio di Stella
I Pawnee, una tribù di nativi americani; sacrificavano ogni anno, a primavera, una vittima umana, quando seminavano i campi. Si credeva che il sacrificio fosse stato loro ordinato dalla Stella Mattutina o da un certo uccello che la Stella Mattutina aveva mandato loro come messaggero.
L’uccello veniva imbalsamato e conservato come un potente talismano. Credevano che una omissione di questo sacrificio sarebbe stata seguita dalla perdita totale del raccolto del granturco, dei fagioli e delle zucche.
Naturalmente, tralasciando la barbarie sacrilega, sia nel “volo dell’uccello” – l’animale sacro alle dee celesti e “sireniche” di cui si ha parlato precedentemente – che nella adorazione della Stella in relazione al raccolto del Grano, si evince una reminiscenza di Iside: non è un segreto che le rotte della prima storia israelita abbiano condotto la Grande Madre del Grano e Stella protettrice dei marinai oltre ogni confine; così è certo che, ovunque, nel mondo, si ha concepito la medesima stella, la medesima guida, ad appannaggio di tutte e tutti.
Bibliografia e sitografia
(1) QuatrobPavia
(2) Il Ramo d'Oro, Studio sulla Magia e sulla Religione, James G. Frazer, Bollati Boringhieri
(3) Le Sirene, Miti e Rivelazioni dalle Origini, Ricerca di Claudia Simone (Cfr. fonti in calce al saggio)
(4) Il Sacro Femminino Alle Origini della Mitologia Baltofinnica e La Sacra Progenitrice nei Miti Artici, Ugrofinnici e Scandofinni, Ricerca di Claudia Simone
(5) Oscure Madri Splendenti, Le Radici del Sacro e delle Religioni, Luciana Percovich, Le Civette di Venezia
(6) G. Weiker, “Seirenen”, in Ausfuhrliches Lexikon der griechischen und romischen Mythologie, a cura di W. H. Roscher, Teubner, Leipzig, 1884-1937, IV coll. 599-639, Cfr. Le Sirene Esistono, Storia di un Mito divenuto Simbolo, Fiaba, Realtà, Elissa Piccinini, Ottolibri Edizioni, 2014, p.22
(7) Streghe, Dee, Donne e Valchirie: alle origini della Stregoneria e la Vecchia Religione nell'Europa Antica e Occidentale, Ricerca di Claudia Simone
(8) L'Antica Dea della Neve e del Gelo dalle Dolomiti all' Appennino, Ricerca di Claudia Simone, Cfr. La Dea Bianca, Robert Graves, Gli Adelphi
(9) Fiori di Bach, Il Manuale Completo, Fabio Nocentini e Maria Laura Peruzzi, Demetra Edizioni, p.226
(10) Dal Cosmo alla Cosmesi, La Divina Seduzione e l'Arte del Trucco dalla Preistoria al Futuro, Luisella Vèroli, Iacobelli Editore, p. 57
Commenti
Posta un commento