ESPLORAZIONI DI RICERCA
Cippi e Are a Diana, Minerva e alle Matronae I-II sec. d.C. ca.
Museo Lapidario della Canonica del Duomo di Novara(NO), Piemonte
La raccolta presenta epigrafi, are e cippi celto-romani databili tra il II e il III secolo.
La collezione epigrafica, nondimeno la terza in tutta la nostra penisola, è stata pubblicata dal filologo Theodor Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum, ovvero nelle Inscriptiones Galliae Cisalpinae.
Al centro del grande salone illuminato ci sono le are e i cippi consacrati alle Matronae, nondimeno a Diana e a Minerva; mentre alle pareti erano appese le epigrafi dedicatarie e testimonianze delle forme di culto della memoria praticate in territorio novarese. Di nostro interesse anche i documenti epigrafici che attestano la permanenza dei Celti nella zona, nonché il progressivo passaggio dagli antichi culti locali (dianici) e selvatici alla conseguente romanizzazione dei popoli autoctoni.
Sulla didascalia dell'ara, databile intorno al I sec. d.C.; si trova conferma di ciò che, negli studi dell'Antro, ho compreso e approfondito negli anni; trovando qui come in altri Musei e pievi che ospitano testimonianze del culto delle Matronae, un meraviglioso riflesso: “l’iscrizione accomuna Diana alle Matronae, caratteristiche divinità silvestri di origine celtica: questa compresenza non esclude che sotto il nome di Diana si celasse una divinità locale, e anch’essa legata all’ambiente rurale e boschivo, che i romani inserirono nel loro pantheon ufficiale dopo averla assimilata a Diana”.
Ci tengo a precisare, a ogni modo, che non solo Diana ha preso il posto di una presenza più antica e che probabilmente risale al neolitico, ma è ella stessa una Dea preromana di luce, anche conosciuta come stella in alcune fiabe dolomitiche e che affonda le radici, forse, anche nella etrusca Tana; nondimeno Erodiade/Diana potrebbe essere uno dei volti della Berchta, la brillante strega alpina che si cela dietro alla veste della meglio conosciuta Befana, figura folclorica che potrebbe affondare le sue radici già nella preistoria europea; assimilabile secondo l'ipotesi più avvallata alla dea della terra protogermanica Nerthus o Hertha; ovverosia un volto pre-eddico della filatrice Frigg; che peraltro ab origine costituiva una dea triplice insieme a Freya (proveniente dalla Frigia, a Nord della penisola Anatolica, la vera collocazione della mitica Asgard da cui molti dei Germani sono “usciti”) e Skaði.
Da ciò si potrebbe persino evincere che la trinità lunare attribuita a Diana, corrisponda alla stessa trinità germanica, ovvero al “culto germanico della Matrona”, a cui la Notte delle Madri, che cade tra il 24 e il 25 Dicembre e riguardava anche le “notti d'inverno”, le vetrnaetr; era con tutta probabilità titolato e che si celi proprio nello studio di Diana quello che è il volto della originaria, dianica; Vecchia Religione “delle streghe” illustrata da Margaret Murray nel saggio intitolato Le Streghe nell'Europa Occidentale.
Diana era una Dea lucifera, forse assimilabile anche alla protoceltica Belisama, o Belisma – di cui sono sopravvissute tracce di culto e un Tempio nell'area prealpina ove la stessa Diana ed anche Berchta hanno ricevuto venerazione – dal protoindoeuropeo bel, che significa luce. Successivamente, la figura di Belisama è stata assimiliata dai romani – prova tracce di culto nelle zone della Gallia – a Minerva, nonché volto romanizzato della Dea Celtica Brigid, custode, trina, del fuoco sacro e, pertanto, della luce.
L'etimologia del nome Diana, in effetti, deriva dalla forma omonima latina Diàna, che sta al sanscrito Divàna, dalla radice Div che significa splendere, brillare, nonché dal latino Deus, Dio; ed ha il senso di luminosa, affine al significato di Lucifero, al quale la degenerazione cristiana l'ha attribuita; anche derubandola, parallelamente a Lucia candelifera; del suo attributo di Stella portatrice di Luce.
Herodiade/Diana divenne allora la Dea delle Streghe in clandestinità, che il Canon Episcopi del decimo secolo condannava in quanto Dea dei Pagani che cavalcavano le scope in suo onore, per riunirsi al Sabba con il diavolo.
Come è noto, e come L'Antro di Claudia ha posto in luce spesse volte nella raccolta di oltre sette anni di lavoro di ricerca, “Lucifero”, dal latino lucifer, composto di lux – luce – e ferre – portare – il famigerato angelo caduto che la mitologia cristiana ha associato a Satana; già divinità romana, nonché assimilabile al greco Eosforo, associato al pianeta Venere così come l’Adone semitico, dio delle cose, “ne sposava la stella”(la Madre Celeste dei Semiti invero Astarte); altri non potrebbe essere che la degenerazione del volto preindoeuropeo delle Dee di Luce sopraddette, la cui origine si perde nella notte dei tempi: Lucina candelifera, Lucia, il cui culto è ben precedente a quello attribuito dal sincretismo con la santa siracusana ed è, secondo i nostri studi, con tutta probabilità connesso al culto della luce e della gioiosa danza selvatica tipico delle Matronae e delle prime sacerdotesse della Europa Antica che veneravano la Grande Madre nella sua forma lunare triplice, ma anche nel suo aspetto solare – di cui Diana è portatrice, ed è per questo che nel mito illustrato nel Vangelo di Leland sarebbe sposa incestuosa di Lucifero, col quale darebbe alla luce la figlia Aradia, semidea medievale vendicatrice delle streghe – dato che la dicotomia e consecutiva scissione dei suoi aspetti in maschile e femminile è un retaggio delle mitologie indoeuropee, che hanno privato le dee – così le donne – dei loro attributi primigeni; spostando l’attenzione dal culto ciclico e pacifico della Grande Madre alle bellicose e prepotenti divinità solari ad appannaggio maschile: lo stesso Giano è con ogni probabilità una mascolinizzazione di Diana.
Sulla didascalia che racconta le origini della Matronae, che conferma l'excursus appens presentato; si legge inoltre: “la loro venerazione sopravvisse ed entrò nella cultualità romana senza subire sostanziali modifiche nel nome e nella sfera dell’intervento.
Le Matronae o Matres, prediligevano l’habitat dei boschi e delle selve, ed erano tre: non è del tutto chiaro in cosa consistesse il loro potere, ma è probabile che si esercitasse sulla tutela e sul destino individuali; la funzione, accostabile a quella svolta dagli angeli custodi cristiani, era da loro condivisa con le Fatae, il cui ricordo è giunto fino a noi grazie soprattutto alla tradizione favolistica germanica. Nell’Italia settentrionale e anche nel Novarese, il culto continuò ad aver seguito ancora nel corso del II secolo d.C. sia in città sia soprattutto in campagna, da parte di fedeli appartenenti al ceto più umile della popolazione, e prevalentemente da schiavi e liberti, come dimostrano le diverse provenienze dei monumenti esposti e nel lapidario. Le Matronae erano anche venerate nel santuario rurale di Suno, da cui provengono alcuni ex voto esposti nel broletto”.
Album fotografico
di Claudia Simone
Ara con voto a Minerva, di granito gneissico bianco, II secolo d.C. ca., da Cureggio, trovata in anno e sito ignoti
Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto.
Diana et Matronis, a Diana e alle Matronae, ara o cippo di porfido, I sec. d.C. ca., da Casalino, frazione Peltrengo, trovata in anno ignoto.
Cippo di granito grigio di Quarona alle Matronae, II secolo d.C. ca., da Novara, trovato in anno ignoto in località S. Agabio e già collocato nel monastero di Vallombrosa.
Cippo di serizzo a Diana, II secolo d.C. ca., da Bogogno, anno e sito di ritrovamento ignoti
Ara alle Matronae, fine del I - inizio del II secolo d.C. ca., da Borgomanero, frazione Santa Cristina
Cippo alle Matronae e agli Dei del Pantheon, granito bianco dei laghi, II secolo d.C. ca. da Casalbeltrame, anno e sito ritrovamento ignoti
Cippo a Minerva, di granito gneissico bianco, II secolo d.C. ca., da Cureggio, anno e sito di ritrovamento ignoti
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Sitografia
Contatti
Musei del Duomo di Novara su Instagram: @mudnovara
Si accede al Museo dal chiostro dei giardini canonici dalle 09:00 alle 18:00 dal mercoledì alla domenica. Attenzione: per alcuni anni resterà chiuso per opere di restauro
Si accede al Museo dal chiostro dei giardini canonici dalle 09:00 alle 18:00 dal mercoledì alla domenica. Attenzione: per alcuni anni resterà chiuso per opere di restauro
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