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“Oh! Che strani fantasmi nudi al chiaro lunare! Scendevano fino a terra i lunghi capelli; gli occhi lucevano d'un magico bagliore; un'ebbizia gioia scintillava sui bruni volti e come serpi guizzavano l'agili membra, ballando il minuetto...”.
Tratto da I Mariti delle Streghe, da G. Barbetta in “Il Popolo dell’Ossola” 31 dicembre 1909 (pubblicato in Us Sent –Racconti intorno al fuoco, Supplemento a “ECO Risveglio Ossolano” n°27, 9 maggio 2000), pp. 184-185
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Ho sempre pensato a come sarebbero potuti essere gli occhi di una strega, ma non avevo mai trovato una descrizione così fedele a quanto sentissi risuonare dentro.
Poche parole, allora.
E gesti, lievi ma continui, occhi traboccanti della luce di cui si è ebbre dentro.
Non può esserci magia né incanto alcuno, per coloro i cui occhi non trasudano quel bagliore. Negli occhi della strega zampilla un tintinnio di cose non dette, spesso per il timore dello sguardo di chi, dal canto suo, ha occhi ripieni di qualcosa che non conosce purtuttavia interroga.
Sono imperlati della luce delle stelle, gli occhi di una strega.
Non importa di che colore siano, appaiono come gioielli: è un rifulgere che accade dentro, e fuori è pallido il riflesso, a confronto.
E quando accade, quando occhi di strega ne incontrano altri, simili, uguali e diversi, il sortilegio della paura si annulla e si riposa l'una nel latte celeste dell'altra.
Anche se, per molte di noi, questa fortuna potrebbe anche non accadere mai.
In alcuni casi, si può anche aver avuto quella luce negli occhi, un tempo, ma ora soli, e stanchi, gli occhi, così gelosi della loro luce, potrebbero anche finire per perderla.
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