Nocciolo
Corylus avellana
Proprietà, Segreti e Ricette
Il nocciolo è un alberello che appartiene alla famiglia
delle Betulacee.
Il suo habitat caratterizza sia il piano che la montagna.
Costituito da più fusti che si dipartono dallo stesso ceppo
e la cui altezza varia dai cinque ai sette metri, ha foglie decidue, di forma
ovale, appuntite e seghettate ai margini.
Le infiorescenze maschili sono pendule di colore giallastro
e compaiono alla fine dell’estate mentre le infiorescenze femminili,
contraddistinte da piumini rossi, appaiono in inverno (gli amenti sono in
realtà i fiori maschili, ma è la loro immagine a evocare l'opposto).
I frutti, le nocciole, sono avvolti in brattee che si
aprono a maturazione avvenuta.
Essendo sterile, il nocciolo deve essere impollinato da
un’altra cultivar.
Lo si trova in tutti i boschi dal Piemonte alla Campania,
similmente alle zone dove è diffuso il castagno.
Ha proprietà antiemorragiche, astringenti, depurative,
emollienti, lenitive ed è vasocostrittore. L’infuso di foglie è indicato in
caso di varici, disturbi circolatori e edemi.
Il decotto o la tisana di foglie ha proprietà rinfrescanti e
depurative per l’organismo. Il gemmo-derivato del nocciolo si utilizza in caso
di malattie dell’apparato respiratorio vascolare.
Ad uso esterno, l’olio possiede proprietà emollienti.
L’acqua distillata è invece ottima come lenitivo e astringente. Il decotto di
foglie agisce sui pori sebacei e sudoriferi, ed è consigliato in caso di pelle
grassa; inoltre lenisce dalle irritazioni e aiuta nella fragilità dei tessuti.
Le nocciole, frutti ad elevato valore energetico, si
accompagnano al cacao e vengono adoperate nella preparazione del gelato.
Secondo Ildegarda di Bingen, sarebbero state un
rimedio contro l’impotenza.
Secondo Plinio e Dioscoride provocavano invece emicrania e
flatulenza, un ingrassamento inverosimile nel corpo, ma tostati curavano il
catarro e, bevuti nell’idromele, la tosse cronica.
Per il botanico Pier Andrea Mattioli, sbucciate e mescolate
col grasso d’orso erano infallibili per la crescita dei capelli.
Castore Durante, invece, in Herbario Novo, le
consigliava come astringenti e anticatarrali e sosteneva che, mangiate al
principio del pranzo, liberavano dal dolore dei reni e dalla renella.
A ogni modo, la nocciola è un frutto altamente nutriente e
contiene il cinquanta per cento di olio grasso. Viene utilizzata per la
produzione di nocciolati, torroni e per fare il gianduia, costituita da farina
di nocciole con il 15/20 per cento di cacao.
La pasta di gianduia, con cui si preparano i famigerati
gianduiotti torinesi; venne creata all’inizio del XIX secolo a causa della
penuria di cacao dovuta al blocco dell’importazione di spezie decretato da
Napoleone. Nella antichità il tronco si utilizza come carbone e le nocciole,
per via della concentrazione di olio, trovano impiego nell’industria dei
profumi e dei colori.
Etimologia
I romani lo chiamavano Corylus avellana, nonchè
“abellana”.
Corylus deriva dal greco córys, che significa “casco” per
via della nocciola racchiusa in una brattea verde ed è anche chiamata “noce
barbata” per via del suo aspetto.
Plinio riferisce che i romani chiamassero il nocciolo anche
“nux pontica”, poiché pare fosse giunto in Asia e in Grecia dalla regione
asiatica del Ponto. La parola abellana, ricorda il presunto sostrato
mediterraneo anche della etimologia di Avalon, la mitica isola avvolta
dalle nebbie; il ché sembrerebbe introdurre un legame profondo tra il femminile
sacro, ovvero della reminiscenza delle sacerdotesse della Grande Madre di un
tempo addietro, che in Avalon trova uno dei suoi «luoghi altri» di appartenenza
e l'alberello in questione: anche l'Isola stessa del ciclo bretone e
arturiano, idealmente, potrebbe avere un lontano sostrato mediterraneo, sia per
analogie linguistiche che culturali.
Avalon, la insula promorum, viene da “aval” che
significa mela in bretone.
Il suo nome si trovava addirittura come toponimo della
Campania, Abella, nota per le sue produzioni di mele (Virgilio, Eneide);
che richiama a sua volta la forma “Apellon”, Creta, Sicilia; accanto ad Apollon.
(Luciana Percovich, Oscure Madri Splendenti, Venexia,
2007 p. 233)
Fiabe
Il Nocciolo di Cenerentola
Nella fiaba di Cenerentola, almeno nella versione che emerge
“dal focolare” dei fratelli Grimm, fu un rametto di nocciolo, a salvare
Cenerentola dalla persecuzione della matrigna. Quando il padre partì per una
fiera, e le domandò che cosa volesse in dono, a differenza delle sorellastre
avide e gelose la fanciulla chiese “il primo rametto che gli avrebbe urtato il
cappello sulla via di ritorno”.
Fu quel rametto che ella piantò sulla tomba della povera
madre defunta, ed annaffiandolo con lacrime sincere, divenne presto un
bell’alberello in forze, tanto che un uccellino bianco vi si posava sempre
sopra, ed ogni desiderio di Cenerentola veniva così esaudito dalla pianta.
“Piantina, scuotiti, scrollati,
d’oro e d’argento coprimi”.
Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe del focolare, Torino
1951, I, 21.
Era la formula che Cenerentola recitò per poter partecipare
alla festa da ballo a palazzo.
Ciò avvenne per tre
volte, «tre sere»: l’uccellino le gettò un abito d’oro e d’argento con
scarpette trapunte di argento e seta; ma per l’ultima sera, le due scarpine
donate erano d’oro puro.
Una delle due rimase impigliata nella pece che il principe
aveva fatto spalmare sui gradini della scalinata, per trattenere la fanciulla
che gli sfuggì ben due volte.
“Il nocciolo, su cui svolazzava il bianco uccellino, non
è soltanto una pianta, ma la vegetale presenza di una dea, come conferma sia la
sua chioma che si allarga, grazie ai tanti “polloni” che partono dal centro del
ceppo, ricordando una morfologia femminile; sia perché nella fiaba sono
coinvolte le colombe – probabile reminiscenza delle prime madri uccello della
preistoria – che intervengono più volte per smascherare i raggiri delle
sorellastre e infine per punirle”.
Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo
Cattabiani, Mondadori, pp.385-387
Il Nocciolo nella Letteratura
Romeo e Giulietta
Il legame del nocciolo con una divinità femminile o con le
sue ancelle è testimoniato anche in Romeo e Giulietta, dove Mercuzio descrive
il cocchio della levatrice delle fate, ovverosia “colei che suscita i sogni”,
come un “guscio di nocciola” lavorato dal falegname scoiattolo o dal vecchio
verme, i carrozzieri delle fate. Grazie a questa “carrozza” la fata cammina
attraverso le menti degli amati, facendo loro sognare l’amore.
(William Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto I,
scena IV)
Simbologia, Usanze, Streghe, Divinazione e Rabdomanzia
In Angelo De Gubernatis si legge che i contadini
russi portavano con sé una doppia nocciola perché propiziasse la ricchezza.
Nelle campagne di Otranto si narrava il secolo scorso che le
streghe si recavano a caccia di tesori con un rametto di magico nocciolo, sul
luogo dove sarebbe stato sepolto il rametto si sarebbe piegato verso terra o su
un lato e a quel punto si avrebbe dovuto scavare.
Il nocciolo è stato utilizzato anche dai rabdomanti, coloro
che individuavano le correnti telluriche, ovvero la ricerca delle vene d’acqua
“nascoste” nelle profondità della terra.
L’albero con i suoi frutti sferici è infatti un simbolo
lunare: si favoleggia che sia la Luna a scoprire i tesori nascosti nel cuore
della notte così come il ramo di nocciolo avrebbe il medesimo potere.
Dal punto di vista fisico il nocciolo entrerebbe in
risonanza con le onde emesse dalla radiazione dei nodi metallici nella terra o
dalla concentrazione delle acque, che venivano individuate servendosi di una
“verga biforcuta”, che aveva anche la funzione di bacchetta divinatoria, invero
possedeva le proprietà di scoprire le miniere, i tesori nascosti, i ladri e gli
assassini fuggiaschi.
“Si tiene nella mano l’estremità di un rebbio, avendo cura
di non stringerla troppo; il palmo della mano deve essere rivolto verso l’alto.
Con l’altra mano si tiene l’estremità dell’altro rebbio,
mentre il gambo da cui parte la biforcazione va tenuto parallelo all’orizzonte.
Si avanza allora piano piano verso il punto in cui si
suppone l’esistenza dell’acqua.
Appena vi si è giunti, la bacchetta gira nella mano e si
piega verso terra, come un ago appena calamitato. Questo, almeno, è il
resoconto di coloro che credono nella virtù della bacchetta divinatoria”.
Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo
Cattabiani, Mondadori, p.386
La Via Celtica e la Saggezza Concentrata
“I Druidi e i Bardi usavano tavolette divinatorie di
nocciolo come supporto per la loro ispirazione: vi incidevano gli “ogam”, le
loro lettere magiche”.
Florario, Miti,
leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo Cattabiani, Mondadori,
p.389
I Celti chiamavano il nocciolo “Coll”, che nel calendario
arboreo ricostruito da Robert Graves coincideva con il nome del mese
lunare che corrispondeva al periodo della raccolta delle nocciole, ovvero tra i
primi di agosto fino alla fine del mese.
Le nocciole, per i celti, erano considerate il simbolo della
saggezza “concentrata”, per via del cuore dolce, avvolto da un guscio
impenetrabile, quindi inviolabile rispetto alle opinioni volgari.
In Irlanda, i noccioli erano anche simbolo di bellezza.
La lettera “Coll” rappresentava per i bardi il numero nove,
poiché si diceva che l’albero fruttificasse dopo nove anni. Il nocciolo era il
“venerato albero del rath”, ovverosia il forte di natura circolare, chiuso
dalle palizzate, dove vivevano gli esseri fatati che popolavano l’antica poesia
irlandese, i “Sidhe”.
Battezzato dal “Coll” era anche un dio, “Mac Coll”, ovvero
“figlio di Coll”, uno dei primi sovrani dell’Irlanda che si credeva fosse
sposato con la triplice dea, colei che concedeva saggezza e ispirazione
poetica.
I Nove Noccioli del Pozzo di Connla
Anticamente in Irlanda, presso Tipperary, vi era una
fontana prodigiosa, chiamata Pozzo di Connla lambita dalle fronde dei
nove noccioli dell’Arte poetica che producevano fiori e frutti, simboli di
Bellezza e Saggezza. Le nocciole, che cadevano nel pozzo, nutrivano i salmoni e
quanti erano i frutti che essi mangiavano tante erano le macchie brillanti che
apparivano sul loro corpo.
Un mito irlandese narrava che Fionn, nipote di un
capo druida, ebbe l’ordine da un druida omonimo di cucinargli un salmone
pescato nel fiume Boyne, ma di astenersi dall’assaggiarlo.
Nel voltare il pesce nel tegame Fionn si scottò il pollice.
Per alleviare il dolore portò il dito alla bocca inumidendolo con la lingua: fu
così che ricevette il dono dell’ispirazione.
Quel pesce era infatti uno dei salmoni che si erano cibati
dei frutti caduti dai nove noccioli dell’Arte poetica; da cui, secondo i celti,
nasceva tutta la conoscenza delle arti e delle scienze.
(Tratto da Robert Graves, La Dea Bianca, Cit., pp.
88-89)
La Bacchetta di Nocciolo
Una leggenda inglese narra che un medico aveva ordinato a un
uomo di nome Farquhar di procurarsi una bacchetta di nocciolo simile
alla sua e di recarsi con una bottiglia davanti all’entrata della dimora del
serpente bianco che viveva presso un nocciolo.
Catturato il serpente era entrato nella bottiglia, Farquhar
lo fece bollire in una pentola sotto la quale ardeva un fuoco alimentato da
quel nocciolo e poi lo mangiò acquisendo la scienza universale e diventando un
medico infallibile.
*****
Bibliografia
(1) Florario,
Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo Cattabiani, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano, 1996
(2) Nuova
Enciclopedia delle Erbe, riconoscimento e uso medicinale alimentare, aromatico,
cosmetico; Edizioni del Baldo, IV Ristampa 2021
(3) Robert
Graves, La dea bianca, Gli Adelphi, Edizione Italiana 1992
(4) Jacob
e Wilhelm Grimm, Fiabe del focolare, Torino 1951
(5) Grimm,
Tutte le Fiabe, Edizione Integrale 1812-1815, a cura di Camilla Miglio
Crediti fotografia: fruttetobiologico.it
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