Fatae, Excursus

“Le fate ci sfuggono. Sono radiose e non possono essere afferrate, e ciò che non possiamo avere, lo amiamo per sempre”.
J. Renard, Diario 1887/1910 - postumo, 1925/27 (1935)

Introduzione al Mondo delle Fate

Il Regno delle Fate, nondimeno l’“abisso” sottile che abitano, è un luogo liminare, un Aldilà che è anche un “Aldiquà”, dove i reami convergono, si contaminano, tra sogno e reale, ma anche tra isole mitiche, che nel susseguirsi leggendario che le riguarda, hanno finito per fondere i loro confini di magia e nebbioso incanto; essendo le fate presenti in molte più culture e in molti più miti di quanto si creda, spesso (erroneamente) confinandole alla cultura celtica e al suo famigerato Little People, il “Piccolo Popolo”; che è solo un testimonio dei loro poliedrici volti, se non altro rimasto più radicato nelle credenze popolari rispetto a quanto avvenuto altrove, dove le fate sono scomparse, non si sono mai fatte vedere o si sono semplicemente nascoste.
In Inghilterra, Irlanda e Galles, in Scozia, sull’Isola di Man, la loro esistenza è in effetti un dato di fatto che non viene messo in discussione da nessuno(1).
Studiando le sirene – in lungo e in largo, attraverso le lenti meno gettonate e (spero) più autentiche – ho scoperto che è impalpabile, tra l'altro, il confine tra le loro storie, sembianti e luoghi mitici o reali di appartenenza e quelli delle fate (ma anche delle Streghe, che possiedono corredi simili a entrambe, oltre che particolari nature animali che appartengono sia alla sirena che alla strega e alla fata).
Una delle più famose “fate” (e maghe) proveniente dalle leggende arturiane, è in effetti Morgana, che in Vita Merlini (2) ha otto sorelle. Secondo Robert Graves, anche le Sirene, che erano un collegio di sacerdotesse lunari e orgiastiche erano nove, custodi di un santuario oracolare insulare(3) che, con tutta probabilità, potrebbe essere il segnale di un sostrato mitico comune dovuto alle ben conosciute contaminazioni tra la cultura celtica e quella greca (dove peraltro le sirene “celesti”  e le divinità affini sono frutto di una reminiscenza di quella egizia e asiatica).
Un esempio tipico di questa e altre contaminazioni, ossia di come i connotati della donna antica si siano scissi in figure simili fra loro a cavallo tra fata, strega e sirena (4, p.177) è rintracciabile nella Melusina (anche presente in manoscritti alchemici nei panni di Iside), colei che possiede una magia che trae potere da più mondi e più nature; essendo una famigerata fata medievale di Francia ma, al contempo, avendo una “appartenenza sirenica” di dietrologia con tutta probabilità asiatica, dato che il suo sembiante di donna serpente richiama le molte forme della dea madre dell’Europa Antica, nondimeno l’area da cui le stesse sirene hanno ereditato le loro caratteristiche, dalle medesime dee e, in alcuni casi, connesse alle medesime nature animali (uccelli, serpenti), in seguito attribuite anche alle streghe e alle loro trasformazioni.
Morgana, è un esempio di come i confini tra le figure suddette siano impalpabili, i loro connotati coesistentiil nome Morgana è bretone e del resto significa “donna del mare”(5).
Regina celtica delle profondità marine, abita in un palazzo di cristallo nelle profondità del mare verde e sorge all'ora del tramonto con le sue compagne di gioco in centinaia di figure colorate, in forme sempre cangianti, significative e nuove, mai ricorrenti nello stesso modo(5).
Mor significa mare in varie lingue celtiche e Morgana era con tutta probabilità ab origine una dea del Mare il cui nome sopravvisse ancora in Bretagna, dove gli spiriti marini, forse per questo, sono chiamati morgan(6).
Secondo la mitologia del Galles era una regina di Avalon, il mondo sotterraneo delle fate(6), ma è metafora della chiave, la guardiana della soglia, l'unica attraverso la quale si può accedere a immagini, sogni, saggezza e visioni celate nel regno delle nebbie, oltre il confine dell'umana comprensione.
Si dice Fata Morgana pure quel fenomeno di rifrazione, per cui si vede o nel suolo o nell'atmosfera l'immagine degli oggetti come rovesciata. Così detto propriamente dagli abitanti dello Stretto di Messina (un'altra famigerata dimora di sirene e altri monstrum!), quasi fosse opera della fata di tal nome, celebre nei romanzi cavallereschi...
L’espressione fatamorgana(7) è anche una denominazione locale, risalente all’età medievale, di un fenomeno di miraggio che si presenta talora al di sopra del mare, o in seno a questo, di fantastiche e mutevoli costruzioni di torri e pinnacoli, che la fantasia dei poeti ha immaginato essere dimora della leggendaria Fata. Per estensione è divenuta sinonimo di miraggio, in senso generico.
Del resto, le fatesono creature affini (e spesso vicine, anche se non tutti sono in grado di scorgerle) agli artisti come poeti(8), scrittori, filosofi e in generale ai “visionari”; coloro che praticano una qualsivoglia arte creativa che trae e modella la sua forma nell'invisibile. 
Come le fate, gli artisti vivono quasi in preda alle loro emozioni o visioni: poche e pochi riescono a portare nel mondo logicamente (e quindi in modo costruttivo) ciò che è stato suggerito e creato in modo ispirato da luoghi interiori, oppure circostanti, spesso abitati da queste entità, che, se non filtrate  – imparando a conoscerle e a porre confini tra la propria voce e la loro –  rischiano di far confondere e disperdere i loro “ospiti dietro a ogni più insulso capriccio.
Dato che, le fate – almeno nel modo in cui vengono intese dall'Antro sono molto più simili a noi e partecipi delle nostre piccole diatribe umane di quanto non sarebbe, ad esempio, una divinità perfetta, lontana e lungimirante purtuttavia difficile da conoscere e contattare da coloro che si avvicinano a piccoli passi al regno sottile.
Un regno che, talvolta, allunga la mano con piccoli doni estatici, attraverso presenze a noi affini e vicine; nel bene e...nel male!

Testimoni Etimologici

Al di là delle connotazioni caratteriali che le fate hanno assunto nel corso del tempo, a seconda di chi ha narrato di loro; l'etimologia può essere la chiave di comprensione per scorrere indietro nel tempo tutte le fotografie che sul loro conto sono state scattate e giunte fino a noi, al fine di ricostruire un volto il più possibile “reale”, o quantomeno pertinente la loro natura più antica e ampia.
Etimologicamente, Fata ha radici nel latino Fàta (7), nome dato alle Parche, siccome regolatrici del destino e quindi affine a Fàtua (divinatrice) e collegato certamente a Fàtum che può significare vaticinio, oracolo, predizione, sorte, ventura, destino. Si chiamano in questo modo anche certe donne favolose e presaghe dell'avvenire, per lo più giovani, di gran potenza e di buon genio.
Ne deriva il verbo fatàre(7), ossia rendere fatato, cioè dotato di straordinaria virtù e quindi invulnerabile. 
Nel testo FATE di Brian Froud, Alan LeeDavid Larkin, si fa derivare “fata” dall’antico “faunoe” o “fatuoe” che nella mitologia pagana indicava le compagne dei fauni, creature dotate del potere di predire il futuro e di soprassedere agli eventi umani(8).
Qui, fata viene anche accostata a “fatica”, parola che nel Medioevo fu sinonimo di “donna selvatica” ovvero di donna dei boschi, delle acque e, in genere, del mondo naturale(8).
Altre ipotesi etimologiche di “Fairy” sono identificabili secondo un ulteriore testimonio nella radice fair, nella quale è implicito il concetto greco di kalòs kaì agazòs ovvero “bello e buono”(4), indicativo anche di coloro che sono chiare e chiari di pelle, occhi e capelli, suppergiù recanti i connotati fisici di Celti e Germani(4).
Un'altra parola per definire fata è Banshee significa “donna delle fate”, dal gaelico bean che significa donna sidhe, da sith che significa fata o sid, tradotto con tumulo delle fate”(9).

Avvenimenti e Incontri Fatali

Il termine fatale deriva dal latino fatalis, a sua volta da fatum, che significa fato, destino(7). Un evento fatale è un accadimento voluto dal destino, che può essere inteso anche come necessità.
Si ricordi che, nel Mito di Er, scritto nella Repubblica di Platone, il filo del destino di un uomo o di una donna, tessuto dalle Parche-Fatae (Cloto fila il filo della vita, Lachesi lo misura e Atropo lo recide, determinando così il destino di ogni individuo) doveva infine “passare dal trono di Necessità” (Ananke, 11).
L’espressione “essere fatato” delinea a ogni modo anche ciò che è immune da qualcosa. Ciò avviene quando, ad esempio, in un momento particolare della vita si vive un evento traumatico o particolarmente speciale, dove si viene innatamente presagite di un pericolo e ci si salva per un pelo da qualcosa che avrebbe potuto ri irrimediabile, oppure durante una catastrofe se ne esce come “raccolte” da una mano invisibile che sistema le cose per noi, nella percezione di star vivendo un miracolo, una epifania che cambia la propria vita, magari per sempre...
Ciò è, sovente, il frutto dell’intervento di una fata: queste possono essere partecipi del nostro vissuto tanto negativamente quanto positivamente, anche in base al destino che si ha creato per se stesse, con le proprie mani, che ne sono le prime fautrici, i primi arti fatati cui affidarsi con responsabilità e coscienza nel mondo circostante il quale, spesso, se sembra nemico, riflette più una storia che si ha creato da sole piuttosto che un destino da ritenersi innatamente avverso...
Qui entra in gioco la nostra fata e strega alpina regolatrice dei conti e dal comportamento ambivalente, la Berchta, la brillante (dall'alto tedesco “peraht”, “berht” o “brecht”, affine alla parola inglese “bright”) nondimeno la Befana, conosciuta in Italia anche come Fata Piumetta o Fata della Neve, ossia la Dama Bianca o La Fantasma; rintracciabile nelle montagne del folklore europeo; ad esempio nelle leggende ossolane e nei racconti dei Fratelli Grimm dove è nota come Frau Holle ed essendo connessa con tutta probabilità a una antica dea delle stagioni di origine germanica.
Nella Val d'Ajoe, in Francia, fino al secolo scorso nel periodo natalizio si festeggiava ad esempio la Tante Arie (Harié, 12, p. 23) la quale – affine per questo a un'altra epifania della Dama Bianca, nondimeno Santa Lucia – si faceva preannunciare da un segnale, il sonaglio dell’asino sul quale lei giungeva (12)
Altresì reminiscenza della antenata neolitica del focolare, è colei che, nonostante le molte forme con cui ogni luogo d'Europa l'ha ricordata o immaginata; appare sotto forma di Fata Madrina nei molti racconti che la riguardano e che ne hanno infine edulcorato i primigeni tratti mortiferi; dato che, fate e streghe, sono presumibilmente il risultato di una scissione dei connotati originari di questa antica dea che ha abitato, pure se con sembianze e appellativi tutti diversi ma affini, le regioni artiche quanto quelle asiatiche: un testimonio inusuale fa derivare altresì Berchta, la nostra Befana fuligginosa; dal sanscrito bhraj(12), corrispondente del latino fulgeo, del tutto descrittivo  della sua natura di stella, riconducibile secondo le particolari ricerche dell'Antro, anche al mito della cometa Astarte che risveglierebbe Adone (Cristo) dal suo sonno d'inverno, del tutto affine alla comparsa della Befana che solca i cieli stellati sulla scopa, nella notte di Epifania (un tempo che, per sua stessa natura, appartiene alle fate nel loro antico volto di dee filatrici e di buona fortuna). 
Il paragone usato per gli occhi di un “Changeling (nel libro Racconti di fate e tradizioni irlandesi di Thomas Crofton Croker) – nondimeno un bambino o una bambina sostituiti dalle fate da uno della loro stirpe, topos nel folklore europeo, che abbiamo indagato soprattutto in quello irlandese – è che siano “simili ad una Stella in una notte gelata”....
A onor del vero, la grande antenata ha finito per vestire i panni di maga o di fata(12).
Col passare del tempo, infine, sono con tutta probabilità andati perduti i tratti arcaici di queste abitanti del mondo altro, oggi ridotte a materia disneyana.

Il Crepuscolo delle Fate
Di Luoghi e Tempi affini

“Le Streghe visitano spesso le colline cave delle fate. Questa è una delle molte accuse che furono portate contro di loro durante i processi alle streghe del diciassettesimo secolo. Isobel Gowdie confessò nel 1662 di aver ricevuto dalla Regina delle Fate “più carne di quanta ne potesse mangiare”.
Tratto da Fate, Brian Froud, Alan Lee e David Larkin
 

Le dimore presumibilmente preferite delle Fate sono dunque comuni a quelle della Strega e della Befana, che durante l'anno, ovvero quando non scende tra i vivi con la sua cavalcata di folletti (Truden) e spiriti fatati, si rifugia in grotte, caverne e luoghi più segreti delle montagne (ciò deriva con tutta probabilità dal passaggio dell'usanza di inumare i morti sotto al focolare a farlo presso pietre e tumuli vicino le abitazioni; soprattutto perché i romani reputarono poco igieniche le pratiche arcaiche di tenere presso di sé i resti dei morti (12)); così la Antenata, la Strega e la Fata si spostarono nei luoghi naturali che oggi riconosciamo come magici e intuitivamente pregni di quel potere; nato in fin dei conti dall'incontro tra i defunti che vi sono stati portati tanto tempo fa, sepolti sotto la gravida terra; e i vivi che ne hanno onorato le gesta, facendoli rivivere in figure di magia e apparizione che vivono tutt'oggi presso fonti, sorgenti, grotte.
Del resto, le fate, sono famigeratamente amanti di rocce, caverne, alberi cavi, luoghi della natura che lasciano intendere un sembiante femminile, dotato di una profondità uterina, di un nucleo interno di natura trasmutativa, come un calderone magico, ventre dove le trasformazioni avvengono, dentro. Luoghi dai quali, se varcati, si viene ripartorite nuove e cambiate oppure riportate a virginea natura, similmente a come accade nella fiaba di Cappuccetto Rosso, attribuita proprio alla Perchta(1) nel suo sembiante di lupa selvatica che vive nel profondo del bosco.
Ciò prova la intima connessione tra le fate e quelle che potrebbero essere le loro progenitrici, dal mito, alle fiabe fino alle suggestioni popolari.
Nelle aree della Gallia transalpina, ad esempio, sono stati individuati luoghi di culto che si collocano particolarmente in contesti acquatici (14), e anche se in area Cisalpina non si attestano altrettante prove di tali contesti, v'è comunque da prendere in considerazione l'aspetto popolare del culto delle grotte lattifere o grotte lattaie (14), sparse peraltro per tutto lo stivale, testimoni della venerazione dell'aspetto dispensatorio della Dea che in alcuni casi ha finito per entrare nei connotati caratteristici della fata e altre entità affini. Qui, le tradizioni locali hanno a poco a poco assimilato tali grotte e le figure che le custodivano alle Ninfe e alle Fate. Abbeverarsene in fase di puerperio, dallo sgocciolamento d'acqua calcarea, responsabile del tipico colore biancastro prodotto da tali grotte, avrebbe aiutato le donne ad aumentare la montata lattea(14): non a caso, le Fate Madrine (che, a questo punto possiamo dirlo, non sono che incarnazioni di dee madri preesistenti) sono coloro che appaiono alla nascita di uomini e donne che in alcuni casi vengono loro affidate e affidati, poiché se ne prenderanno cura per tutta la vita. Di fatto, quello della fata nelle fiabe e in molti racconti si è identificato nel ruolo di madrina, ma non per caso...
Ai piedi della Rocca di Angera (VA) – in area quindi cisalpina, per me proprio dietro casa – si apre una cavità naturale, anche detta Antro delle Fate che alcune leggende locali attribuivano alle Fate, che suggerisce la presenza di un Antico Culto delle Ninfe, e quindi un possibile “Antro delle Matronae” (la grotta di Angera è tra l'altro l’unico mitreo conosciuto fino ad oggi in Lombardia e al suo esterno sono ancora visibili antiche incisioni legate ai culti misterici (15)).
Le Matronae, nelle quali vivono i tratti della Antenata del Focolare già citata, dalla quale hanno probabilmente ereditato il ruolo di tutrici della casa e quindi di lares, una compresenza nel corredo di dee celtiche come la Brigid; sono caratteristiche divinità silvestri di origine celtica: la compresenza in area Cisalpina di un culto romano che le accostava alle Fate e alla Dea Diana; non esclude che sotto il nome di Diana si celasse una divinità locale, anch’essa legata all’ambiente rurale e boschivo, che i romani inserirono nel loro pantheon ufficiale dopo averla assimilata da un culto preesistente locale(16). Forse è per questo, che Diana ha finito per incarnare la Regina delle Fate (e delle streghe, insieme alla sua presunta figlia Herodiade).
A ogni modo  – prova l’excursus che sviluppai nella mia ricerca sulle Sirene(17) – il tema acquatico riecheggia nei racconti sulle Isole dei Beati, o “Isole Fortunate”, che si trovano nel Mare Occidentale, oltre i luoghi dove tramonta il sole, nondimeno le mitiche dimore nel Nord Stellare che emergono sia da autori classici che dalle saghe norrene; uno dei più frequenti che ricorrono nella mitologia europea e oltreoceano. Siano esse dimore di fate, eroi o defunti, certo è che la coscienza collettiva le ha adattate alle proprie esigenze o evidenze metereologiche e cosmogoniche; nella ricerca del simile o nel desiderio del “diverso”, esotico, che appartenesse al “mondo altro” tanto anelato: il mondo della fate! (Le quali, in questo senso, sono anche tutte e tutti coloro che sono altre o altri da sé, creature straniere e sconosciute, per questo forse da temere...)
Uno dei nomi con cui gli irlandesi hanno chiamato queste isole è “Tirfo Thuinn”(8), “La Terra Sotto Le Onde”. 
La famigerata Avalon – fraintesa e decantata da molte e molti appassionati del genere che ha ispirato – è semplicemente la più famosa e ricorrente di esse, ma non la sola né l'unica possibile. 

“Tale regno può svelarsi senza preavviso in qualsiasi luogo, luminoso e scintillante, e sparire con la stessa rapidità. Le sue frontiere di crepuscolo, foschia e illusione ci circondano e, come una marea che si ritira, possono momentaneamente svelarci la Terra delle Fate prima di chiudersi nascondendola di nuovo”
Tratto da Fate, Brian Froud, Alan Lee e David Larkin

Le evidenti allusioni al luminoso e allo scintillante, nonché alla metafora della marea e all’elemento crepuscolare; non fanno che ricordare un legame con esseri di natura fatata, i loro epiteti e tratti, nonché le loro dimore (sia temporali che spaziali) ambivalenti.
Il loro reame si svela infatti generalmente in particolari momenti dell'anno considerati liminari, proprio per la loro funzione energetica di intercessione con defunti o entità misteriose, che vivono oltre il velo: la notte di Ognissanti, Halloween, le Dodici Notti di Natale o l'Epifania, sono tutti tempi che appartengono alle fate; nondimeno alle dee preesistenti e antichissime da cui hanno tratto i loro nomi, corredi e connotati.
Fa parte di questi luoghi di confine” anche l'Engelland(12) della Befana, il Regno Celeste d'Oltretomba, così la poco conosciuta Isola di Pohjola della Strega Louhi, tipica della mitologia baltofinnica(18).
Tali dimore (che nel caso del mito finnico sono ad appannaggio delle donne e solo particolari eroi dalla capacita di cantare alcuni segreti incantesimi possono accedervi) sono in realtà accessibili a chiunque e in qualsiasi momento, purché la predisposizione dell'ospite sia ritenuta pura e meritevole dalle fate stesse o dalle creature affini (qui ne abbiamo introdotte alcune) che vi presiedono.
Certo è che, una volta incontrate, sarà molto difficile dimenticarle e ritornare alla vita quotidiana senza riemergerne cambiate e cambiati.
In alcuni casi, sarà impossibile allontanarsi e uscirne, soprattutto se ci si attirerà addosso l'antipatia della fata che se ne cura; come ad esempio avviene presso la Rupe delle Fate di Castelveccana(19), in provincia di Varese, alle spalle di Arona dove, ogni cento anni, lo spuntone di pietra chiamato Sasso Galletto si spaccherebbe per svelare un sentiero che conduce alla sua Guardiana, davanti alla quale si dovrebbe fare una scelta che potrebbe cambiare le sorti della propria esistenza per sempre, se non indurre direttamente alla morte.
Anche Melusina(20), tra le altre, discendente con tutta probabilità dalle antiche dee asiatiche di cui si ha detto sopra; sarebbe scomparsa per sempre, a causa del tradimento del suo sposo che avrebbe scoperto e rivelato la sua natura di monstrum nonostante l'ammonimento della fata-sirena di non tradire la sua fiducia nel suo giorno settimanale misterioso...
A colui che incontrò un'altra famosa Fata, la Fata della Neve(21) così conosciuta in Gran Bretagna (reminiscenza della Madri di Inverno e Gelo), toccò una sorte anche peggiore per aver tradito i sentimenti di una abitante di questo particolare popolo di mistero e magia.
A chi non rispetta le promesse fatte a una fata, viene in effetti negato il suo amore.

Cerchi, Ridde, Cavalcate, Altre Attività e Misteriose Reminiscenze

Le fate danzano spesso sull'erba in ridde, che costituiscono un grave pericolo per l'uomo che si trovi a passare di lì. Il fascino selvaggio della loro musica potrebbe trascinare il malcapitato verso il cerchio che, come i baci, il cibo e le bevande delle fate, potrebbe ridurlo a schiavitù eterna nel loro mondo(8).
Unirsi ai saltelli forsennati di queste creature “elfiche” potrebbe creare l'illusione di aver danzato per qualche minuto o qualche ora, mentre il tempo, all'interno di quel particolare portale spazio-temporale, scorre in modo completamente diverso(8), così si potrebbe scomparire anche per anni od addirittura non farvi più ritorno, a meno di non essere salvati da qualcuno che riesca a infilare un braccio nel cerchio(8) senza lasciarsene sottrarre.
La lunghezza diversa del tempo nel Regno delle Fate ispirò molte favole della letteratura popolare; la più conosciuta è forse quella di Rip Van Winkle, scritta da Washington Irving(8).
Descritte soprattutto da Lady Wilde nel suo libro Antiche Leggende d'Irlanda, sono anche le Cavalcate delle Fate(8), un motivo (secondo una personale intesa) alla stregua delle marce selvagge di streghe e folletti attribuite a dee come la Perchta, alla Erodiade/Diana o a figure mortifere come le Valchirie, coloro che scelgono i morti (dall’antico nordico walkyrja, composto dal nome valr, che indica il morto sul campo, e dal verbo kjósa, scegliere(22)).
Le “solenni processioni”, in Scozia e Irlanda conosciute anche come “Sfilata delle Fate” e degli “Elfi Eroici”(8), rese note dalla fama mondiale di cui godono i “Daoine Sidhe”, sono attribuite ai leggendari Tuatha de Danann (Tootha day danan) ossia il “Popolo di Dana”, eroi evemerizzati che un tempo governarono l’Irlanda ma furono sconfitti e scacciati dal mitico re spagnolo Milesio.
La loro cavalcata era uno spettacolo senza eguali, i loro destrieri avevano gioielli sulla fronte, narra la Wilde, come una stella(8), ed erano cavalcati da cavalieri di nobili natali con elmi, gambali e lance forgiati nell’oro.
Questi cavalli avrebbero potuto vivere cent’anni e oltre, secondo l'autrice, pure se riferì che sarebbe morto anche l’ultimo esemplare…
Al di là della leggenda, una stirpe di Achei di primi invasori della Grecia, si attribuì i nomi delle popolazioni autoctone preelleniche, tra cui i “Danai”, i cosiddetti “Pelasgi”, ossia i navigatori originari della penisola che prendevano il loro nome dalla Grande Dea Danae, che presiedeva alle attività agricole (3).
Questa Dana, secondo le ricerche dell’Antro non è altri che la famosa “Dea Bianca”, indiscutibilmente chiamata con questo nome nella Grecia Antica così come nella Britannia: in entrambe le culture (che nel tempo sono andate a contaminarsi) figurano infatti le cinquanta sacerdotesse Danaidi (3), con tutta probabilità sovrapponibili alle sacerdotesse di Brigit custodi del fuoco sacro (23), affini alle sorellanze di cui si ha parlato sopra, di Fate e Sirene; nondimeno di donne e ancora recanti i connotati delle Matronae, custodi dell'elemento femminile del focolare.
Una leggenda conservata da Nennio(23) racconta che l'originaria Britannia protostorica – precedente alle invasioni romane – possa aver derivato il suo primo nome da “Albione”, con cui era nota a Plinio, da Albina “La Dea Bianca”, nonché maggiore delle sacerdotesse Danaidi.
Pare che da questo legame derivino espressioni germaniche che ancora riferiscono alla affinità tra questo sostrato mitico e le fate, qui contaminate con la figura dell’elfo. Tra l'altro, le creature al seguito della Perchta sono le Truden(1), e il nome di una delle valchirie proviene dal norreno ed è Thrudhr che significa forza(24). Le Truden corrispondono alle paure segrete e inspiegabili, dette anche angustie della Trud(1).  La parola “Elven” ossia “donna elfo” deriva in effetti da “Alb” (elfo) e “Albdrücken” (incubo o demone dell'incubo) e, in definitiva, pare fosse legato alla parola “alphiton” ossia “farina d'orzo”(3).
Tra le occupazioni quotidiane delle fate vi sono peraltro (ricorda Laura Rangoni) filare, tessere, fare il pane e il burro (attività anche attribuite alle streghe capaci di creare famigerati unguenti per causare il volo magico ma anche di forgiare incantesimi per causare tempeste con il grano; come avvenne ad esempio tra le streghe di Croveo, la Trioria Antigorina ampiamente discussa tra le ricerche dell'Antro).
Tornando a noi; le due culture, che attraverso il processo osmotico attuato dai romani si sono sparse ovunque, concepivano probabilmente una dea trina (ciclicamente Bianca, Rossa e Nera) dell'orzo, che fu con tutta probabilità la stessa dea dell'orzo Danaa di Argo (3), polis greca fondata nel primo millennio dagli Ioni che veneravano la “vacca bianca”. 
Il numero tre è evidentemente un numero magico(23): le fate o le parche che si voglia o le damine bianche(1) sono spesso raffigurate in gruppi di tre, nondimeno è risaputo il ruolo della tredicesima fata, una delle ultime fate “attive” che ci è stata tramandata, quella che “al passaggio dei tempi”, con il battesimo di Rosaspina, pose un segno per ricordarci che non tutti accettarono i nuovi dominatori senza resistenza(1, p. 58)...
In questo contesto viene alla luce un'altra grande verità, e cioè che prima che Diana, rinomata regina di fate e di streghe, fosse romanizzata e mascolinizzata, spesso confusa con Giano – il che ha lasciato un enorme fraintendimento nella sua storia – e sottomessa al matrimonio in quel susseguirsi di attributi patriarcali nati dalla miscellanea, era lei stessa la Dea Bianca (i cui misteri sono identificabili in quelli di Iside Sochit/Sochet(25) che significa campo di grano; che, come detto, hanno influenzato se non del tutto scritto i miti greci primitivi) con cui condivide significati ed attributi alla base del culto delle Matronae, al fianco delle quali figura tutt’oggi su cippi votivi rinvenuti in aree di culto celtico nel Nord Italia…
“Il potere della Dea Bianca è di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto” (26) – forse è proprio lei, quella presenza arcaica e sussistente, che rivive nei panni di quella che conosciamo come “Fatae”, la fata: sono le fate, dopotutto, a possedere le metaforiche chiavi che separano i mondi sottili, poiché non solo li abitano ma possono varcarli e hanno poteri inimmaginabili sui loro confini, esattamente come le dee della filatura affini alle Parche che hanno abitato miti germanici, norreni e slavi, fra le altre la dea Frigg(27), nondimeno un altro volto della Berchta, Befana e Antenata neolitica.
Che le Fate e altre creature di mistero siano famigeratamente a guardia di porte, antri, e anfratti naturali inconsueti trova evidenza in molte aree di culto: i rilievi dedicatari rinvenuti in area Cisalpina (simili in località Ruvo di Puglia) costituirebbero la prova di un continuo processo di contaminazione tra le popolazioni celtiche sottomesse a Roma e quelle italiche e latine giunte dall’Italia Settentrionale dopo la conquista (23, p. 118).
A quel punto i “nuovi arrivati” avrebbero “diffuso” i loro idoli tra i locali, in un processo di assimilazione che portò alla identificazione delle Matronae con la Fata e con le Parche latine, che similmente avevano influenza sul destino umano...
Evidenza di questo “matrimonio” si trova nell’appellativo celtico che veniva dato alle Matronae, ossia “dervones”(23, p. 118). 
Dervos era il nome gallico della quercia(23), descrittivo della loro natura danzante in cerchio attorno all'albero che era sacro ai Druidi.
Su cippi e are rinvenuti, soprattutto nella Gallia Cisalpina e quindi nel nostro Nord Italia, le Matronae, che dovrebbero essere intese come vergini danzanti più che nella accezione di Madri come si è abituati a concepirle, figurano nell'atto della danza con le caratteristiche mani intrecciate a formare nodi. 
Tali nodi  – come prontamente sottolinea Marco Fulvio Barozzi in Tracce Celtiche – presuppongo l’esistenza di un filo, il filo della vita che simboleggia il destino umano.
Tale filo era nel mondo romano in potere delle Parche, chiamate ancora Tria Fata o Fatae; alle quali erano destinate lo stesso tipo di dediche che venivano fatte alle Matronae, che in alcuni iscrizioni erano chiamate fate loro stesse.
Forse è per questo che la natura protettiva legata al destino è attribuita ancora oggi alle fate. 

Genesi e Destino delle Fate

Secondo Laurence Hard-Lacner (Cfr: 23, p. 125), che ha ampiamente documentato la “nascita della Fata”, la figura della fata medievale sarebbe il risultato di un susseguirsi per cui agli attributi delle antiche divinità classiche, conservate fedelmente dalla cultura clericale, si sono andate ad aggiungere nel Medioevo, oltre ai tratti delle Matronae celtiche (di cui si ha parlato sopra), le tipiche divinità silvestri presenti con sembianti diversi nelle varie tradizioni locali, non ultime le Ninfe, che presceglievano gli uomini a cui donare il loro amore e le loro cure.
Dal Medioevo le Fate avrebbero a ogni modo cambiato volto; incominciando a incarnare anche una sorta di “femme fatale”, la donna e amante soprannaturale, quella fata che abita i romanzi cavallereschi che tutti ben conosciamo e che, in seguito, si sarebbe trasformata anche nella Strega, figura “contenitore” (come del resto la sirena sopra discussa) di peccati legati al moralismo cattolico quali la condanna della sessualità slegata dal matrimonio e la capacità di vivere una vita tra più mondi, in contatto con spiriti e forze considerati sovrannaturali che, con tutta probabilità  – qui intervengo a livello di esperienza personale  – davano  – e so che danno – quel sostegno capace di rendere una donna indipendente dai corti lacci maschili e vincoli religiosi fideistici patriarcali.
Figure alla base delle Streghe sono dunque le fate e le Sirene(17), risultato di una miscellanea di attributi e comparse molto più antiche rispetto a quando effettivamente la strega acquisì la parola stessa con cui la definiamo ancora oggi. 
Le streghe, è bene ricordarlo, non sono sempre state chiamate così...!
Questo è, forse, il vero nodo da sbrogliare, nonché il capo del filo che porta al termine questa ricerca nostalgica e sentita: forse, le fate, erano già presenti nella immaginazione e nella realtà di tutti i giorni delle genti celtiche romanizzate dei primi secoli dell'era volgare(23).
Ciò potrebbe essere confermato da un altro appellativo con cui venivano identificate le Matronae, prova iscrizioni scoperte a Galliano, Milano e Pavia, ovvero “Adganae”(23) che diversi studiosi hanno identificato nelle caratteristiche entità tutelari acquatiche, tipiche delle zone alpine, le Anguane (affini a Ninfe, Ondine, Silfidi e Pelne). 
Le Anguane possedevano un canto (come quello delle Sirene) cui nessuno poteva resistere che spingeva giovani e fanciulli a incamminarsi verso le fate per poi scomparire nelle acque (28 Cfr: 23 p. 127).
Come Morgana, erano viste danzare nude sotto al chiaro di luna, prima di tuffarsi nelle acque e perdersi in mille spruzzi iridescenti (28, Cfr: 15 p. 127).
Fra le Adganae gallo-romane e le Anguane delle leggende alpine c'è inoltre un legame consentito dalla linguistica, ovvero una possibile evoluzione da Adganae ad Anguane, forse attraverso l'intermedio Aggane, presente tra le denominazione delle nostre fate(23).
Se le Matronae sono, come finora ipotizzato, le custodi del corredo tipico delle Anguane, (sopratutto nella Gallia Cisalpina) allora  potrebbero essere loro stesse discendenti delle progenitrici celtiche delle fate, quelle medievali-cavalleresche e, in fin dei conti, quelle dei nostri tempi.

Sembianti delle Fate

Anche se tendenzialmente le Fate sono invisibili, ci sono aspetti di loro che possono essere descrittivi di una natura fisica e quindi presumibilmente “reale”.
Un sembiante caratteristico delle fate, conosciuto, ad esempio, nel folklore francese, nei panni della Tante Arie (Tante, in tedesco, significa “zia” anche se la etimologia della figura è oscura) che Eduard Hoffmann-Krayer connette al termine Heer; alla Frau Harre tedesca ( dove Harre, secondo una personale intuizione; è forse affine al verbo tedesco harren, ossia “sperare”; nondimeno, ancora una volta, un rimando alla ambivalente Befana); è quello con tratti zoomorfi, poiché tendenzialmente appare con zampe d'oca (12, pp. 23 - 24). 
Ma le fate possono anche apparire con piedi caprini (32).
Nelle fiabe si sono conservati i motivi della bacchetta magica, così come del mantello o del cappello indossati per rendere invisibili poiché gli esseri fatati sono figure eredi di antenati e antenate della stirpe: esseri magici come la Befana, nondimeno antenata della strega, non volevano in alcun modo essere visti, per questo si sono protratte nel tempo immagini dello spirito incappucciato o velato. 
La Befana era infatti la “donatrice invisibile”, un motivo che accompagna anche le storie che riguardano le fate, anche chiamate Damine Bianche(1).
Nella Grecia antica, ad esempio, avvolgere la testa significava rivestire il defunto o il neofita od iniziato ai misteri e ad nuovo fato(13). L'immagine della strega con il cappello a punta, altresì, si è definita a ogni modo in Europa; tra il Settecento e l'Ottocento, (il cappello a cono ab origine aveva lo scopo di vergognare la strega pubblicamente) per poi non sparire più dall'immaginario collettivo...

Riflessioni

Nessuno può introdurre qualcun altro al Regno delle Fate, nondimeno ai tempi e luoghi che appartengono loro, fluttuanti, sottili, spesso del tutto inaccessibili: o ci accettano nel loro mondo o non lo fanno, sono loro a deciderlo(8).
Entrare in contatto con le fate è una predisposizione, che ciò avvenga è solo e solamente una loro scelta: non ci sono mezzi per raggiungerle né incarichi o particolari ruoli o titoli da possedere che possano avvicinarle.
Ma può essere vero il contrario, ossia che le fate, in virtù della loro particolare attitudine a ciò che è naturale, selvatico e quindi somigliante alla sua primigenia forma e alla sua natura più pura e semplice; potrebbero allontanare o maledire, ovvero inficiare negativamente il destino di coloro che millantano particolari posizioni in relazione ai loro reami di foschia e magia, e protendere, piuttosto, alla vicinanza di quelle e quelli che a loro guardano con mistero e il dovuto rispetto; oppure preferire la compagnia di chi, dimentica o dimentico di molte cognizioni sull’argomento – magari essendo anche molto ignorante – semplicemente piaccia loro per la sua purezza di spirito e per la sua particolare missione di vita, che questi esseri potrebbero intendere come “speciale” o particolarmente importante per il mondo.
L’unica cosa che conta, nel mondo delle fate, è che l’unica cosa certa è che nulla è certo(8).

Bibliografia e Sitografia di Ricerca

(1) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Collana Le Civette di Venexia, Ed. Venexia (Roma 2011)
(2) Vita Merlini, Geoffrey of Monmouth, translated by John Jay Parry
(3) La Dea Bianca, Robert Graves, p.482 (Milano 1992)
(4) Oscure Madri Splendenti, Luciana Percovich, Collana Le Civette di Venexia, Ed. Venexia (2007) p. 180
(5) Worterbuch der Mythologie, Cfr: 1, p.63
(6) Le Donne nei miti e nelle leggende, Patricia Monaghan, Cfr: 1  p. 63
(7) Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, Forgotten Books, Classic Reprint Series
(8) FATE, Brian Froud, Alane Lee & David Larkin, Rizzoli (1976 Unieboek B.V.)
(9) Banshee, Online Etymology Dictionary
(10) 
(11) Repubblica, Platone, X, 620d-e Cfr: Il Codice dell'Anima, James Hillman, Gli Adelphi (Milano 1997)
(12) L'Incanto e l'Arcano, Claudia Manciocco - Luigi Manciocco, Per una antropologia della Befana, Armando Editore (Roma 2006) p. 36
(13) Mitologia degli alberi, dal giardino dell’Eden al legno della Croce” di Jacques Brosse
(14) www.academia.edu.com, Articolo a cura di Cristina Miedico, Direttrice Scientifica e Conservatrice del Civico Museo Archeologico di Angera(VA), Dee che danzano. Le Matronae di Angera e le Altre
(15) www.lifegate.it
(16) Tratto da Incontrando Matronae, Streghe, Antichi Alfabeti Runici, Stelle e Sirene passeggiando nei Musei Canonici di Novara - Quaderno di Rotta di Una Strega, Testo di Claudia Bianca Simone
(17) Le Sirene, Miti e Rivelazioni Alchemiche dalle Origini - Ricerca di Claudia Bianca Simone
(18) Kalevala: il passato pagano e il sacro femminino alle origini della mitologia baltofinnica e la progenitrice nei miti artici, ugrofinnici e scandofinni - Ricerca di Claudia Simone
(19) Tratto da La Rupe delle Fate di Castelveccana - Quaderno di Rotta di Una Strega, Testo di Claudia Bianca Simone
(20) Il Fantastico Mondo delle Creature dell'Acqua, le doti magiche delle creature acquatiche, le leggende e i miti di cui son protagoniste, le tecniche per evocarleD.J. Conway, Gruppo Editoriale Armenia S.p.A.m (2005), traduzione di Anna Carbone
(21) La Fata della Neve, Leggenda della Gran Bretagna - Enciclopedia della Fiaba a cura di Fernando Palazzi, Casa Editrice Giuseppe PrincipatoFiabe e Leggende dell'Europa Occidentale pp. 72-73, nr. 66, anno 1952
(22) www.unaparolaalgiorno.it
(23) Tracce Celtiche, curiose, misteriose ed inquietanti; Piccolo viaggio all'interno di alcuni segni, misconosciuti o ignorati, del passato celtico antico e medievale nell'Italia alpina e padana, Edizioni della Terra di Mezzo, Marco Fulvio Barozzi, pp.152-153, (Milano 2000)
(24) Le Divinità Femminili del Pantheon Nordico, Claudia Emanuele, Edizioni La Zisa (Palermo 2015)
(25)Il Ramo d'Oro, studio sulla magia e la religione, James G. Frazer, Bollati Boringhieri, (Gravellona Toce(VB) 2016)
(26) Ovidio, Cfr: 3, p. 80, 1992
(27) Frigg e Freya, studio sulla regina dei Vani e degli Asi - Ricerca di Claudia Simone

Crediti fotografia: Pinterest di artista ignoto/a

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Crediti

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