L'Isola della Nebbia

Al di là delle feste europee “moderne” del fuoco e inoltrandosi fra le nebbie perdute del passato britannico, la viglia di Ognissanti, è risaputo, avrebbe radici nella festa irlandese di “Samhain” o “Samain”, ricordata secondo Frazer il primo di novembre. 
Secondo le Edizioni della Terra di Mezzo, trattasi della festa più importante del calendario irlandese e rappresenta il cosiddetto “periodo chiuso”, fuori da ogni tempo, unico momento nel quale uomini e donne possono entrare in contatto con l’Altro mondo
Il termine significa, infatti, “riunione” o assemblea. 
Ricordiamo qui il celebre romanzo di M.Z. Bradley, “Le Nebbie di Avalon” ove viene donata una immagine di quel “mondo altro”, la isola o reame di armonia ove abitano esseri divini e semidivini, nonché famigerata “Tir-na-moe”, un altro nome del “Sidhe”, che significa “pace”, o anche “Tir-na-mban”, la “terra delle donne” in lingua celtica che è stata chiamata con molti nomi e alla quale sono stati attribuiti molti epiteti, tra cui l'isola dei potenti “Tuatha dé Danaan”, gli eroi evemerizzati dei miti dei Celti che vi abiterebbero da quando sarebbero stati cacciati dagli ultimi invasori d'Irlanda, i Milesi. 
Tale reame di foschia e mistero d'Oltremondo, a ogni modo, non è a solo ad appannaggio celtico!
Anche la mitologia artica, ugrofinnica e baltofinnica – le cui cosmogonie hanno una quasi certa sede originaria nell’India vedica, e quindi un cuore asiatico – ne presenta marcati aspetti, nondimeno con influenze e scambi anche con la cultura norrena dove si narra della medesima isola in alcune saghe. 
In effetti, studiosi del mondo sciamanico artico come J. Pentikäinen, si sono domandati se i viaggi di re, dei ed eroi nelle mitiche terre boreali (tipici dell’epica vichinga) non fossero proprio viaggi verso l’Isola “immersa nella nebbia” dei miti finnici, ove appare una landa mitica delle donne dimenticata e celata da una foschia invalicabile. 
Secondo A. Bremensis in questa terra il dio cristiano è sconosciuto e al suo posto erano venerati dalle donne “solo serpenti e uccelli”. 
Sembra poi che sia l’Edda che il Kalevala contengano miti arcaici provenienti dal medesimo tempo comune alle aree artiche e subartiche, che a loro volta lo avrebbero assimilato o comunque fuso, a causa degli scambi della Via della Seta, con l'Asia, e che i viaggi di Odinn e quelli degli eroi kalevaliani siano stati presumibilmente gli stessi: così la montagna rocciosa Kivimäki è assimilabile al Niflheimr, desolato regno del ghiaccio della dea Hel.
Così la Bósa Saga e il ciclo finnico del “Sampo” – una sorta di Graal kalevaliano, preservato dalla “Grande Signora” oltre la nebbia – hanno non poche similitudini. 
Erodoto e Plinio (quest’ultimo chiama tale landa “ges kleithron” ovvero “serratura della terra” che, di conseguenza, farebbe pensare proprio a dee che nel loro corredo portano “le chiavi tra i mondi”, come Frigg/Freya) parlano di “popoli magici che dormono per metà anno”, riferendosi, forse, a quelli della regione polare, assimilabile alla Isola di Pohjola del Kalevala dove “le donne hanno mantenuto i tratti divini delle fanciulle dell’Europa Antica”, reminiscenza, forse, anche del ruolo che le donne potrebbero aver rivestito nella leggenda, rintracciabile nella Origo Gentis Langobardorum (VII) dove i famigerati Winnili – di etimologia incerta, forse da “to win”, in inglese “vincere” – (in qualche modo non dissimili dai potenti Tuatha dé Danaan, secondo una personalissima suggestione) sarebbero assimilabili alle ultime genti devote alla originaria religione dei Vani di Frigg, nonché un ultimo vagito della Grande Madre preindoeuropea germanica e del suo corredo matriarcale e magico/sciamanico, ancora vivido prima che i popoli dell’Europa Antica venissero deturpati e assimilati dai guerrafondai indoeuropei, che secondo il testimonio più avvallato potrebbero identificarsi negli Asi, guidati da Odino (il germanico Wotan). 
Anche Tacito, nella sua “Germania” ricorda come alcune tribù della Germania settentrionale, tra cui Longobardi e Angli, venerassero una madre-terra chiamata “Nerthus” o “Hertha”, ovverosia Frigg, reminiscenza nelle leggende sulla Dama Bianca – palesemente simile per connotati e corredo alla Signora di Pohjola finnica – che rivive nelle leggende di Frau Holle/Madre Hulda e nel folklore tipico delle Alpi abitato dalla Strega Perchta. 
Persino Avalon, testimonia Luciana Percovich in “Oscure Madri Splendenti”, la stessa Isola del ciclo bretone e arturiano, potrebbe avere un lontano sostrato mediterraneo, sia per analogie linguistiche che culturali. Avalon, rivela l’autrice – la famigerata “insula promorum” – deriva da “aval” che in bretone significa mela.Come testimonia Luciana Percovich in “Oscure Madri Splendenti”, Freya è la regina degli Aesir, ora chiamata Frigga, che significa “la Frigia”. La Frigia è la regione montagnosa interna della Turchia nordoccidentale, dove era venerata Kibele/Cibele. La Frigia è dunque sia l'epiteto attribuito a Cibele quando viene importata a Nord a ricordarne la provenienza – così come Afrodite, di dietrologia asiatica e sirenica nata dalla schiuma del mare a Cipro, era conosciuta come la Cipride e Artemide la Cinthia, dal monte Cintho – sia il nome che si sovrappone facilmente a Freya.
La parola Frigia ha a sua volta origine, probabilmente, nel termine sanscrito “prija”, che significa “amore”. Tacito riferisce che la tribù degli “Aestii” riveriva la dea Cibele come Madre di tutte le divinità. Questi ultimi erano gli Dei della lontana “As-gard”, da “As” o “Assua”, in latino Asia, che ab origine era l'Anatolia, plausibile matria di Freya come degli altri dei degli antichi germani. 
Alcuni studiosi vedono nel mitico scontro tra Asi e Vani; non solo quello tra due pantheon differenti, ma la probabilità di una reminiscenza di un conflitto storico realmente avvenuto; dove gli Asi sarebbero stati gli dèi degli indoeuropei, mentre i Vani, divinità più pacifiche e di carattere agricolo, sarebbero stati gli dèi delle popolazioni neolitiche preesistenti – alla stregua, come già ipotizzato sopra, dei Tuatha dé Danaan scacciati dai Milesi (per me potrebbe avere senso, ma è solo una ricostruzione personale che non pretende di detenere alcuna verità). 
Tale ipotesi su Vani e Asi, del resto; è stata messa in discussione dal celebre filologo francese Dumézil che, dedicando la sua esistenza alla mitologia comparata, suppose che il pantheon germanico apparteneva interamente alla concezione mitica indoeuropea. 
A ogni modo non è dato avere una risposta certa, anche se il legame tra il pantheon dell'Edda e la penisola anatolica (ed è forse da questa “uscita” che Frigg e Freya incominciarono a coesistere tutto sommato in una stessa Dea) è pur vero che il culto delle divinità legate alla fecondità – e Frigg/Freya è una dea delle partorienti, “che da alla luce”, non a caso assimilabile a Santa Lucia, che del resto è un altro aspetto di Dama Bianca, la quale presiede sia il tempo dei morti che quello natalizio – potrebbe essere indicativo dell'antica religione praticata dalle popolazioni autoctone, anche testimoniata dagli studi di Margaret Murray che ha riassunto tale culto della Grande Madre, simile in tutta l’Europa pre-indoeuropea con il termine “Culto di Diana”, che non è una Dea romana ma una madre luminosa di dietrologie preindoeuropee dedite a una forma di stregoneria e sciamanesimo volti alla sopravvivenza e alla agricoltura, nella Penisola scandinava meridionale, lo Jutland e/o la Germania settentrionale prima dell'arrivo degli indoeuropei, con cui storicamente si fusero durante il III millennio a.C., dando così vita alle popolazioni proto-germaniche e germaniche. 
In questo caso quindi i Vani incarnerebbero i sacri resti delle precedenti forme di culto, ovverosia coloro che potrebbero aver avuto accesso alla mitica isola di nebbia delle donne sulla quale, forse, nella Festa di Ognissanti si apre un rarissimo varco: non a caso, anche nel mito finnico le abitanti di Pohjola sono bionde e divine, mentre gli eroi invasori provengono dalla profana terra di Kalevala. Dopotutto, nel culto di Nerthus/Herthum o Hertha rilevato da Tacito – dietrologia delle Madri del Filato di tutto il folclore europeo legato alla figura di Dama Bianca a cui è assimilabile Frigg/Freya, ma anche figure del fato e antenate della stirpe come le Nornir e le Dísir – c'erano proprio le tribù germaniche occidentali tra cui i Longobardi, i quali continuarono a adorare Frigg/Freya come Madre della Terra. 
Riassumendo, ognuna delle narrazioni proposte del “mondo altro”, ricorda l'efficacia dell'organizzazione sociale gestita dalle donne nei tempi antecedenti alle armi, ossia prima dell’invenzione del ferro. 
Nella leggenda dei Winnili sopra citata, fu proprio la Sciamana che canalizzava i consigli di “Frea”, a suggerire alle donne di travestirsi da “uomini con lunghe barbe” (da qui il termine longibardi o longobardi) per presentarsi al confronto con i vandali indetto da Wotan. 
La famigerata “insula feminarum” che i miti sopraddetti descrivono come un luogo altro che “appare e scompare nella foschia” richiama altresì le “Dodici Notti”, che sono un altro tempo dove il varco si spre: le “Rauhnächten” – in tedesco rauchen significa fumare o fumigare – o ancora le “Unternächte” – Unter significa sotto, “le notti di sotto”; infatti la nebbia sale “da sotto”–   anche dette “Mutternächte” – notti della Madre, in riferimento alle Madri del Filato suddette – tipiche della tradizione anglosassone ma di reminiscenza senz’altro preindoeuropea, che cadono sotto l'egida di Yule, la “Yuletide”, dall’anglosassone “jul” che significa ruota e segna la rinascita, la natalità dello spirito. 
Il mito celtico dell’altrove trova dunque affinità in molte altre suggestioni europee; come nell’Isola di Pohjola, la landa delle donne guidata e preservata dalla signora di Pohjola e dalle sue ancelle a difenderne la soglia, in cui v’è reminiscenza delle guerriere Amazzoni per via del viaggio che il mito ha svolto dall’Asia al gelido Nord. 
Tale strega è chiamata anche “Strega Lohui” e sotto la sua protezione stanno le fanciulle più luminose e belle che abitano l'isola magica dove agli uomini (salvo rare eccezioni) non è consentito accedere se non pronunciando specifici incanti canori. Tracce della mitica “isola iperborea”, posta nel famigerato Nord magico, anche inteso come reame celeste, sono riscontrabili quindi nel Fensalir di Frigg/Freya, che significa “stanza delle profondità marine” o le dimore delle sette sorelle Pleiadi che guidavano la rotta dei marinai, nella prima storia israelita e ancora la dimora celeste della dea Amaterasu, nonché nella magica stella polare o Orsa Maggiore, l’antenata orsa discesa sulla terra su una catena d’oro, protagonista dei racconti nello sciamanesimo artico e siberiano o la dimora sottomarina di Morgana, od ancora l’irlandese “Tirfo Thuinn”, letteralmente “terra sotto le onde”. 
Una “Isola dei Beati”, così è detta nel celebre libro “Fate” di Brian Froud e Alan Lee, che appare con nomi e coordinate differenti nel mito europeo come ritratto dei tempi di armonia che nella preistoria, forse, caratterizzarono anche la nostra terra. 
Si tratta infatti (torniamo al mito celtico di Avalon) di una particolare sede dell’altro mondo abitata da donne caratterizzate dalla eterna giovinezza come le mele che vi crescono, panacea che nutre e guarisce ogni male, proprio come la zucca lo era per Plinio e Dioscoride: curiosa sincronia...

Tratto da Uno studio sincretistico su Halloween: origini, fiabe e rotte mitiche per l'Aldilà e Misteri dal mondo Artico, Norreno, Celtico, Greco fino all'Egitto


Crediti fotografia: Pinterest di artista ignoto/a

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