Le Nove Masche di Rifreddo e Gambasca. Controluci, Profondità e Parallelismi con Altri Processi per Stregoneria nel Nord Italia
Collocazione storico-politica
Le coordinate socio-politiche e istituzionali, entro cui la vicenda delle Masche di Rifreddo si svolse, sono da collocarsi nell'ostile clima egemone, chiericale e laico, che sul finire del XV secolo, forse per autolegittimarsi e dominare, collocava qualunque fenomeno disciplinare religioso o sociale che non fosse rivolto verso di sé, all'interno di quella che venne chiamata stregoneria; d'altra parte sinonimo di mascarie divennero anche valdesia o gazzaria, in riferimento a Valdesi e Catari. Quella delle masche potrebbe essere la conseguenza di una serie di processi più ampi e più radicati, ovvero la ovvia continuazione di un disegno ben più profondo e consolidato nella mentalità oppressiva del tempo. Dal punto di vista del diritto, ovvero procedurale-canonistico, i provvedimenti contro le masche di Rifreddo e Gambasca, svoltisi negli ultimi tre mesi dell'anno 1495, furono così caratteristici da giungere a coinvolgere i vertici delle istituzioni del marchesato di Saluzzo e della diocesi di Torino, parti che affidarono a loro rappresentanti l’esercizio delle rispettive competenze locali. Il distretto di Rifreddo – dove, al tempo, il potere principale era nelle mani della badessa Margherita di Mantin, del Monastero di Santa Maria della Stella – godeva di una peculiare autonomia ma il cappellano della stessa, appartenente al medesimo ordine di Frate Vito dei Beggiami, l’inquisitore da lei prescelto per lo svolgimento degli interrogatori che si sarebbero tenuti nel suo Monastero, non proveniva dalla circoscrizione del marchesato di Saluzzo, bensì apparteneva al Ducato dei Savoia. Fu infatti sotto la dominazione sabauda, tra il 1488 e il 1489 che la badessa Margherita (in realtà proveniente da Fosano) era stata eletta, ciò poco dopo la sconfitta militare subita da Ludovico II di Saluzzo da parte di Carlo I di Savoia. Dal punto di vista procedurale, Vito dei Beggiami fu un funzionario “zelante e corretto”, ovvero impeccabile dal punto di vista del diritto, senonché la decisione finale di inviare nove donne al braccio secolare causò non pochi dissensi in coloro che erano attorno, primo fra tutti il procuratore e notaio Antonio Vacca, il quale nella fattispecie tentò di difendere la masca, Caterina Bonivarda, in assoluta correttezza, purtroppo invano...
Introduzione ed Excursus Etimologico e Folklorico
Il termine Masca, che apparse nell’Editto di Rotari, scritto
nel 643 d.C., per delineare la Strega, è di dubbia etimologia, forse a
prova di un sostrato stregonesco-magico locale preesistente e non del tutto
sondabile… A ogni modo, è comprendendo il significato della parola maschera che
è possibile intuire l'essenza liminare di Masca.
Ci sono due linee di pensiero sul caso(1) che, tutto
sommato, sembrano definire una realtà affine: la prima segue la derivazione da
una forma preindoeuropea “masca”, ossia fuliggine, fantasma nero.
La seconda suggerisce un legame con masca/strega, modo di dire regionale di
area ligure e piemontese a cui appartengono anche i derivati mascaria,
ossia incantesimo, stregoneria, magia e “mascassa” che sta per stregona,
stregaccia. Masca, a sua volta, deriverebbe dal latino tardo mascam,
che aveva già il medesimo significato, forse relitto del sostrato pregallico,
alternante con basca (dall’antico francese rabaschier, ossia far
fracasso, riferito ai rumori degli spettri, col “deverbale” rabast,
ossia strepito, dal verbo bascare, corrispondente al greco báskein,
glossato con légein, kako-legêin riscontrato in Esichio,
un termine di riferimento alla magia come báscanos, riferito a “chi
strega”, báskanion che vuol dire amuleto, oppure bascanìa, fascino. Lo stesso grammatico antico di Alessandria, (5 p.482) menziona un tipo
di gufo detto sirena e, in effetti; la sirena – secondo i miei numerosi
approfondimenti – è una creatura affine se non
addirittura parente preesistente della Strega, anch’essa legata agli
uccelli notturni e ad altre realtà che chiamo “di crepuscolo”. La Sirena (dal
sostantivo Seira, che significa corda o laccio) è in effetti colei che avvince,
lega (6) e, di conseguenza, strega colui o colei che la incontra. Un'altra figura basca pertinente
alla masca, che forse prova l'assimilazione delle masche alle benevole (o meno benevole) entità preesistenti, è la “Lamia” – associata alla sirena anche in Atlante
delle Sirene di Agnese Grieco – («Lamiak» al plurale) che nel folclore
possiede un pettine d'oro (legato all'azione dello snodare, filare, e quindi all'archetipo della filatrice) e ha zampe d'uccello come le sirene
greche, nonché si comporta come una ninfa, soggiornando presso fiumi e
boschetti che sacralizza, nutre, preserva.
Incredibile, a colpo d’occhio, notare la affinità con la
parola stessa, “Gambasca” – una delle località di provenienza delle masche
cuneesi, come si vedrà a breve... D’obbligo anche il collegamento con
l’argomentazione proposta dai fratelli Manciocco in “L’Incanto e
L’Arcano, Per una Antropologia della Befana”(2), dove emerge la chiara preesistenza
sia in Europa che altrove, di una figura dotata di una eccezionale ubiquità,
che si presenta mascherata e fuligginosa conosciuta come Grande
Antenata, custode di origine neolitica del focolare e in generale del fuoco
– sia celeste che casalingo – che all’atto pratico ha finito per nascondersi
quando non eclissarsi nelle varie figure del Natale e dell’Epifania, fino,
chiaramente, a essere trasposta nella nostra amata Strega. Uno dei
“caratteri” più antichi della suddetta, era quello di non voler essere
vista, così come trapela da alcune tradizioni sia italiane che europee sulla Befana – si pensi a
coloro che, in Grecia, si incappucciavano per essere iniziati a certi misteri –
l’obbligo del sonno e quindi del non-vedere in certe notti
particolari, dove caratteristici personaggi del folclore avrebbero camminato
infiltrandosi dal camino, un motivo che si perde nella notte dei tempi e che
permea persino fiabe come quella di Cenerentola e La Fata Madrina,
incredibilmente legata al mascheramento e al potere occulto della cenere
del caminetto.
Certi racconti orali, riguardo alcune entità un tempo ritenute vere quanto lo siamo io che scrivo e chi legge, sono forse stati distorti e pervertiti dall'ignoranza della gente coinvolta, per poi permeare i processi alle masche di Rifreddo e Gambasca, dove le donne, torturate per mesi fino alla sfinimento che inevitabilmente portava a una obbligata confessione, finivano per rivelare all'Inquisitore una “metarealtà stregonesca” identica a quella che questi, convinto della sua veridicità seppure non scientificamente sondabile, avrebbe indotto a dire, per ottenere la condanna anelata e concludere il suo lavoro.
Molto probabilmente è nell'antico che sia le vittime che i carnefici scavavano, facendo riemergere, consapevolmente o inconsapevolmente, elementi di un passato pagano perduto tra le nebbie..
Parallelismi con Altri Focolai tra Piemonte e Lombardia
In Rifreddo e Gambasca, rispettivamente nella provincia di
Cuneo, ma anche in Liguria e poi in generale nella regione subalpina era dunque così, Masche,
che venivano chiamate le presunte partecipanti alle tregende – termine,
quest’ultimo, dal latino “transienda” ovvero passaggio, in uso per delineare le
riunioni di stregoneria, riscontrato soprattutto nelle
terminologie dei processi alle streghe Antigorine (della Val Formazza, del
Borgomanerese e del Novarese).
Cito il parallelismo a dovere: alcuni tratti sia della
strega che degli elementi del famigerato Sabba accomunano, infatti,
testimonianze su stregherie locali talvolta molto lontane fra loro, sia nel
tempo – ovvero se si considerano le cronologie dei fatti e il momento
storico specifico – che nello spazio.
Ad esempio, sebbene il famigerato maxiprocesso alle Streghe Antigorine di Croveo di Baceno sia stato collocato dagli storici tra il 1609 e il 1611, l'area interessata vide una caccia alle streghe che ho individuato in tre ondate differenti, la prima incominciata nel 1519, ovvero ventiquattro anni dopo la vicenda di Rifreddo nel cuneese..
“Sebbene l’apogeo della persecuzione contro le streghe
nell'Europa occidentale sia stato raggiunto nel periodo tra il 1580 e il 1650,
ovvero nell’epoca della controriforma, la durata della Caccia alle
Streghe va collocata pressoché tra il 1300 e il 1700, con un picco tra il 1560
e il 1630 e, del resto, non si è mai conclusa veramente, dato che sono state
registrate accuse di stregoneria e relativi pestaggi e uccisioni di donne
innocenti anche a Ottocento inoltrato, ad esempio in Valsesia, ricordando la
povera Stria Gatina di Cervarolo”. (Streghe, Dee, Befane, Donne e Valchirie: alle origini della Stregoneria e la Vecchia Religione nell'Europa Antica e Occidentale – Testo di Claudia Simone, ottobre 2023)
Ci sono infatti delle sincronicità che ho riscontrato nella
narrazione degli inquisitori che emerge dai rispettivi archivi storici, le quali, come è
forse plausibile pensare, più che vere e proprie affinità o ancor più
difficilmente coincidenze (alle quali, personalmente, non credo),
potrebbero essere il risultato di ciò che costoro volevano cercare
e vedere in certe realtà, appositamente per demonizzarle e incastrarne
le protagoniste, tanto da “portare fuori” con ogni mezzo – anche il più deplorevole, pure se istituzionalmente previsto, come la tortura o la mutilazione, in casi estremi – i medesimi “tratti della strega” dovunque i focolai stregoneschi si
accendessero: forse erano loro a spingere le famigerate “malefiche” (così
chiamate in Valle Antigorio, nel caso del cuneese le Masche), a confessare
atti e gesti simbolici – come il calpestamento dell’ostia o sedersi su una
croce con il deretano – che, con tutta probabilità, più che realtà erano il
frutto della immaginazione della gente credula e della ignoranza dilagante, senza contare il deterrente economico; non mancò l’abuso alle tasche di questa
povera gente (oltre che l'ovvio fisico e psicologico) che, in molti
casi, diffusi ad esempio nel Piemonte novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola, è avvenuto proprio a danno delle streghe e
delle loro famiglie, spesso esiliate per la loro incapacità di pagare i pegni
che venivano imposti per poter essere reintegrate socialmente dopo la campagna diffamatoria la quale, inevitabilmente, portava alla consegna al braccio secolare. D’altra parte, alcune gestualità, come ad esempio lo stare
a cavalcioni su particolari conformazioni o soggetti naturali, come i bastoni o le rocce, rievocano riti
preesistenti delle donne che si trasfiguravano con la natura per invocare
guarigione e comunione con entità della terra e lunari – si veda il rito di
rispecchiamento delle parti intime delle antiche sacerdotesse della Grande Madre, che veniva compiuto (
l’Italia è costellata di queste rocce delle donne) tramite
l’ausilio delle coppelle incise nelle rocce erratiche di origine glaciale (3).
(…) “Identico era anche il rito della croce segnata a terra e calpestata col piede sinistro e il sedere “alla maniera delle scimmie”, in un cerchio, dove subito appariva un demonio che diventava signore ed amante dell'iniziata”. (Le Streghe di Croveo: fatti e prospettive sulla Triora Antigorina e cenni sulle Valli dell'Ossola, Formazza e sul Novarese – Testo di Claudia Simone, gennaio 2024)
Riassumendo il pensiero di Grado Giovanni Merlo, professore emerito di Storia del cristianesimo all’Università di Milano, che ha creato uno straordinario compendio delle vicende a Rifreddo, occorrono prudenza e attenzione nel leggere atti giudiziari che trasmettono realtà trasfigurate o, addirittura, create. In generale, l’azione degli inquisitori, cambia la realtà, la quale, è bene ricordarlo, muta a seconda della cultura (e dei pregiudizi) di chi la osserva ricorrendo inevitabilmente dei paradigmi interpretativi linguistici e simbolici che sono propri, da cui deriva un circolo pericolosamente vizioso, devastante.
Stregherie a Rifreddo. I Fatti e La Secta Mascharum
La domenica 4 ottobre 1495, Festa di San Francesco, Frate
Vito dei Beggiami Predicatore del convento di Savigliano(CN), si presenta come sacre
theologie doctor ed è inquisitore generale nella provincia di Lombardia e
della Marca genovese e di tutto il Piemonte, chiamato a sentenziare in aree
marginali e piccole località della Diocesi di Torino come Rifreddo e Gambasca
investendo un compito antiereticale.
Il suo intervento fu richiesto all’imbocco della Valle del
Po e si prolungò, concretamente, per poco più di due mesi (un tempo simile a
quello che servì per mandare al rogo Sette presunte Streghe anche in Lombardia, a Venegono Superiore, riportato nel Processus Strigiarum del 1520 rinvenuto da Anna Marcaccioli Castiglioni presso
l’archivio dell’Inquisizione dello Stato di Milano, agli inizi del Novecento).
Dall’Archivio storico di Rifreddo si apprende che nove donne, ovvero Caterina
Bonivarda di Gambasca, Giovanna Motossa, la figlia Giovannina Giordana,
Caterina Bianchetta “la Cathogia”, Giovanna della Santa, Romea moglie di
Bartolomeo dei Sobrani di Rifreddo, Caterina Borrella detta Forneria (poiché nel 1495 lavorava presso il forno del pane di Gambasca) , Giovanna
Cometta di Gambasca e Margherita Giordana erano masche. Naturalmente,
come avvenne anche nella Valle Antigorio, il Tempus Gratiae imposto di tre
giorni dalla chiamata all'accusa, atto a confessare i crimini contro la fede, non veniva rispettato
soprattutto perché veniva reso in qualche modo impossibile da usufruire, tanto
è vero che scrive Don Tullio Bertamini, in “Luci su Croveo” – e ciò a
questo punto presumo sia valso un po’ ovunque – “Se qualche strega ebbe modo
di “scusarsi” ed usufruire di questo tempo di grazia, non se ne sa il nome!”
(4, p. 310).
I Crocìcchi delle Streghe
Tra il 12 e il 17 ottobre 1495, Giovanna della Santa
affermava di essere entrata nella Coven delle Masche da oltre diciotto anni e
che “Di notte, in un incrocio di viottoli delle gravere del Po e nel prato
comune del forno di Rifreddo insieme con altre sue complici, danzava e aveva
rapporti sessuali con il demone suo maestro e schiacciava con i piedi e con il
deretano una croce che in quegli incroci veniva gettata a terra”. Dalla
confessione, emerge un dettaglio notevole, ovvero il tema dell’incrocio, il
crocicchio che richiama l’area di “competenza” di dee pagane come la greca Ecate o
la norrena Frigg, (parente della stessa Befana e delle altre filatrici del Natale) coloro che detengono le chiavi e soprassiedono
ai passaggi fra i mondi. Questo è un legame “particolare” con suggestioni del
passato, difficile da poter “inventare” o pensare che sia finito, negli atti processuali, per caso.. Come potevano donne così ignoranti – lo si apprende studiando il loro profilo socio-culturale e il contesto umile nel quale vivevano, spesso accompagnato dalla spettro di una povertà conclamata, se si esclude la Caterina Bonivarda – conoscere dettagli così puri di quella che, con tutta probabilità, sarebbe potuta essere una religione più antica? D'altra parte, nota già Grado Giovanni Merlo(2) in merito ad altri particolari emersi dai fascicoli, come poteva una povera donna di Rifreddo, conoscere espressioni latine (che qui non elenchiamo) che nel XV secolo erano, se va bene, rinvenibili solo in qualche testo agiografico, quindi in uso solo fra gente dotta, letterata e chiericale?
Le Sette Streghe di Venegono Superiore(VA), ad esempio, si
credeva – sulla base del Processus Strigiarum sopra citato – potessero attraversare
le porte...
A ogni modo, ritornando ai fatti, le riunioni delle Masche di Rifreddo e Gambasca
avevano presumibilmente tre momenti di passaggio principali e due
luoghi di interesse:
I Momenti del Sabba di Rifreddo. Corrizantes: “correre qua e là come danzando” e i rapporti sessuali con i demoni – secondo le confessioni riportate, anche consumati in atti di violenza tipici patriarcali contro la volontà delle Masche – e il rifiuto della croce e altre spregi alla religione e a dio.
I Luoghi delle Riunioni della Societas Mulierum
Le mete più gettonate del Sabba, nelle deposizioni furono le gravere del Po e il
“pascherio” nella Piazza del Forno di Rifreddo, ma i malefici testimoniati della “societas mulierum” (2, p.30) (la società delle donne) avvenivano anche “in Campagnola”, nel territorio di Revello.
La società era composta da quattro donne di Gambasca, quattro di Rifreddo, due di Sanfront e una di Martignana più un forestiero di Martignana, di nome Desnarrat.
Grazie soprattutto alle dichiarazioni delle altre donne
coinvolte, Frate Vito dei Beggiami apprese e si convinse che anche Caterina
Bonivarda – la quale però non confessò facilmente, subì ripetuti
interrogatori anche da parte del servitore della signoria Michele Rosso di
Sanfront, un paese confinante con Rifreddo – era una Masca, soprattutto per
la “pubblica voce e fama” della gente, che la accusava del nephandissimum
mascharie vitium, ovvero del “nefandissimo vizio della mascaria”, la quale
avrebbe commesso per mezzo del suo demone assetato di sangue, “molti e
vari malefici” contro uomini e animali – anche questo, un trait d’union
con le vicende antigorine per cui bastava “che la gente lo dicesse” affinché la
gogna incominciasse, e ciò rimase invariato in generale nel diritto almeno finché l'intervento di Cesare Beccaria, che aveva già avuto dei predecessori seppure meno incisivi, non avrebbe portato la consapevolezza della barbarie della tortura e della pena di morte. (C’è da sottolineare, però, che coinvolte nel Maxi
Processo di Croveo le streghe indagate non erano sette o nove, ma tante che se ne perde il conto e il nome; molte erano morte in carcere, pochissime andate al rogo, di altre “la fine” non è
ben documentata, mentre quelle venegonesi erano suppergiù quanto quelle di Rifreddo, in
totale sette, di cui sei bruciate vive, una bruciata da disseppellita, più un
uomo, fratello e figlio di streghe, esiliato).
Caterina Bonivarda di Rifreddo, oltre che essere caduta nel
“crimen mascarie”, risultava contumace in quanto presumibilmente si presentò in
ritardo all’ennesimo processo del 23 ottobre 1495, ma era in realtà incarcerata e con tutta probabilità impossibilitata a muoversi, presso il Monastero Femminile Cistercense di Santa Maria della Stella di
Rifreddo, una accusa improbabile, pertanto..
L’inquisitore, tra l’altro, la soggiogò a mentire con mezzi
manipolatori, tanto da provocare l’aggravante e accelerazione del processo,
dato che Caterina affermava di non essere stata spinta da alcun familiare a
confessare, quando invece il fratello Giaffredo, durante un colloquio, aveva
ben detto di aver tentato di convincerla, probabilmente per
aiutarla a salvarsi..
Le testimonianze e le accuse contro Caterina Bonivarda
crebbero tanto da toccare i vertici civili ed ecclesiastici del marchesato di
Saluzzo, rischiando di diventare una sorta di piccola questione di Stato(2), tantoché interrogata, di nuovo e di nuovo, questa volta alla presenza del testimone e
confratello del Frate dei Beggiami, Michele De Madeis e alla presenza di altri
uomini di nobiltà o ausiliari dell’inquisizione anche se, lo stesso 23
novembre, il notaio e procuratore della donna, Antonio Vacca protestò contrò
la nullità degli atti sino ad allora svolti poiché effettuati senza il
consiglio del consigliere marchionale De Madeis.
Dettagli emersi dall’Interrogatorio di Caterina Bonivarda
del 23 novembre 1495
“La notte è lunga e in una notte possono accadere molte cose buone” (2, p. 18) — venne sorpreso a dire da qualcuno dei presenti, una quindicina di giorni prima, tra gli spazi del monastero della Stella, il Bonivardo alla moglie Caterina, facendo il gesto del silenzio con il dito, il quale avrebbe donato anche “un oggetto segreto” alla moglie che lo consegnò alla terribile badessa del Monastero dopo che questa la minacciò di farle scucire tutta la pelliccia se non glielo avesse ceduto. Cosa fosse questo oggetto, non è dato saperlo, ma di certo suscita mistero e curiosità.
La frase di Bonivardo, che divenne pretesto per un ulteriore capo d’accusa, durante l’interrogatorio, fu in effetti trasformata in un ipotetico cenno a una via di fuga che solo delle Streghe, capaci di svolgere riti e probabilmente possedenti capacità ritenute sovrannaturali, avrebbero potuto mettere in atto – questo denotava che gli inquisitori credevano veramente a certe misteriose capacità delle masche, tanto è vero che la carcerazione pareva non bastare a far dormire loro sonni tranquilli… Risaputo è, infatti, che dalle testimonianze attribuite alle masche e scritte nei fascicola, nel mirino dei demoni vi fosse la Badessa Margherita (la quale con tutta probabilità si sentiva perseguitata dal male) e, in generale, il corpo della Chiesa. Il ché spiegava il motivo delle megalomani manie di controllo attuate al tempo, lì come altrove.
(…) “Ciò avvenne soprattutto a partire dal ‘400, quando il Canon Episcopi sarebbe stato a poco a poco abbandonato, che le riunioni dei benandanti vennero prese come “vere”, ossia il loro cursus – il volo – e il Sabba – il loro gioco, dal verbo «s'esbattre» (giocare) venivano considerati reali a causa della diffusione dei molti trattati di demonologia che avrebbero soppiantato i contenuti più razionali del primo. Fu a causa di queste nuove convinzioni che le campagne di ricerca incominciarono a perseguire migliaia di donne e uomini in tutto il mondo, portando a un vero e proprio delirio” . (Le Streghe di Croveo: fatti e prospettive sulla Triora Antigorina e cenni sulle Valli dell'Ossola, Formazza e sul Novarese – Testo di Claudia Simone, gennaio 2024)
Anche la lettera di di Innocenzo VIII del 5 dicembre 1484 fece del suo, un atto pontificio che trasformò esemplarmente l'immaginario minaccioso in realtà di fatto (2 p. 51), due anni dopo il quale venne pubblicato (lo ricordo quasi in ogni ricerca sulle Streghe) il Malleus maleficarum dei frati Predicatori Heinrich Kremer (Institoris) e Jacob Sprenger, che ebbe l'aggravante di ottenere la assoluta approvazione pontificia nonostante la sua frammentarietà e incosistenza a livello razionale.
È possibile che sia per questo, ovvero perché, in realtà, era tutto vero, che non si hanno notizie
sulla fine di queste Masche? Forse Caterina è fuggita veramente, servendosi dei
suoi poteri? Per una Strega è rincuorante fantasticare su questo, tutti gli altri,
probabilmente, la riterrebbero pazza. A ogni modo, forse piace solo immaginare un lieto fine mai avvenuto..
Nel caos dei ripetuti richiami a testimoniare, durati ben tre mesi, continuavano a mergere due gruppi di Masche: uno a Gambasca e uno a Rifreddo.
Ciò che era venuto a galla, era a quel punto di non ritorno diventato fatto incontrovertibile,
di cui persino le imputate, forse, si erano convinte! (2).
La Magia del Mezzogiorno e La Croce di Paglia
Il 25 novembre 1495 venne nuovamente interrogata Caterina Bonivarda (la più dura a confessare) presso il focolare della camera della badessa di Rifreddo e, “finalmente”, emersero le prime confessioni, da cui ho tratto elementi di rilievo per la mia ricerca: il Mezzogiorno (che, qui, si affianca alla più gettonata Notte del tipico Sabba che emerge dalle altre realtà stregonesche nel Nord Italia) e il dettaglio della Croce di Paglia.
Finalmente Caterina Bonivarda dichiara di essere masca della setta
delle masche da circa quattro anni, ovvero da quando un giorno del Tempo
delle Messi (il raccolto), verso Mezzogiorno, si era trovata sola in casa,
scontenta e inquieta per come stavano andando le cose nella sua vita, tanto da
invocare più volte il demonio che le sarebbe apparso come un uomo di bassa età
e statura, vestito di nero, con calzari e cappuccio neri, dalla faccia bruna,
livida (2 p. 20).
(…) “Le Sirene – come le Streghe – hanno subìto l'asprezza dei peggiori epiteti per mezzo dei quali sono rimasti conservati, però, aspetti che le collegano direttamente ad antiche dee preesistenti e agli animali loro sacri, come il toro (che le accosta alle dee boomorfe come Iside, di conseguenza alle Matronae Transalpine, che figuravano in trono affianco a questi animali) poiché in alcune raffigurazioni le sirene sono state dotate di corna, viste come sataniche, sebbene le stesse per R. Caillois (1936) siano per definizione “demoni meridiani”, custodi della “Magia del Mezzogiorno”, l'ora in cui si apre un varco tra il regno dei vivi e dei morti, l'ora che ritenuta in passato prescelta dai demoni per le loro apparizioni.. (Le Sirene, Miti e Rivelazioni Alchemiche dalle Origini – Testo di Claudia Simone, maggio 2024)
Allorché, una volta ascoltate le sue promesse di ricchezza –
qui, subentra il tema del dono fatato, tipico delle figure mascherate o “brune,
fuligginose” preesistenti di cui si ha accennato in introduzione – Caterina avrebbe accettato di
compiere un rito “sacrilego” e di legarsi strettamente all’entità e avrebbe promesso di
pagare in pegno un pollo bianco ogni anno, da sacrificare al suddetto demonio: “fece
per terra una croce con due paglie e poi pose il deretano sopra di essa,
rinnegando espressamente Dio, la fede e il battesimo; e prese il detto demone
in suo amante, signore e maestro, promettendo di servirlo e di obbedirgli e di
dargli ogni anno un pollo bianco” (2 p. 20).
Non solo emerge il dato fondamentale di una inconsapevole memoria della Magia del Mezzogiorno, fra l'altro praticata nel Tempo delle Messi, ma pure una reminiscenza di riti –
seppure, qui, distorti e dedicati a entità non benevole, forse per volontà dell’inquisitore o per semplice delirio del tempo – legati al raccolto,
alle Madri Matronae e, in particolare, compare una “parente”, seppure alla
lontana, della Croce della Dea Brigid celtica, la quale – affine alla
Diana preromana – subì la venerazione nelle medesime aree della Gallia che un
tempo copriva proprio i territori del Nord Italia che hanno subito la ferocia della Caccia alle Streghe. Non a caso, una delle
ipotesi etimologiche di masca citate in cima a questo compendio, lega questa
figura ligure e piemontese a un sostrato pregallico..
Si cita, allora, un altro aspetto, che lascia intravedere
altre figure che potrebbero aver concorso alla creazione della figura della
Strega per come ha finito per essere vista nel Medioevo:
(…) “Dal Medioevo le Fate avrebbero a ogni modo cambiato
volto, incominciando a incarnare anche una sorta di “femme fatale”, la donna e
amante soprannaturale, quella fata che abita i romanzi cavallereschi che tutti
ben conosciamo e che, in seguito, si sarebbe trasformata anche nella Strega,
figura “contenitore” (come del resto la sirena sopra discussa) di
peccati legati al moralismo cattolico quali la condanna della sessualità
slegata dal matrimonio e la capacità di vivere una vita tra più mondi, in
contatto con spiriti e forze considerati sovrannaturali che, con tutta
probabilità, davano quel sostegno atto a rendere una donna
indipendente dai corti lacci maschili e vincoli religiosi fideistici
patriarcali.
Figure alla base delle Streghe sono dunque le fate e
le Sirene, risultato di una miscellanea di attributi e comparse molto più
antiche rispetto a quando effettivamente la strega acquisì la parola stessa con
cui la definiamo ancora oggi.
Le streghe, è bene ricordarlo, non sono sempre state
chiamate così, ma conservano anche le tracce delle sacerdotesse dell’Europa
Antica.
Forse, le fate, erano già presenti nella immaginazione e
nella realtà di tutti i giorni delle genti celtiche romanizzate dei primi
secoli dell'era volgare(7).
Ciò potrebbe essere confermato da un altro appellativo
con cui venivano identificate le Matronae, prova iscrizioni scoperte a
Galliano, Milano e Pavia, ovvero “Adganae”(7) che diversi studiosi hanno
identificato nelle caratteristiche entità tutelari acquatiche, tipiche delle
zone alpine, le Anguane (affini a Ninfe, Ondine, Silfidi e Pelne).
Fra le Adganae gallo-romane e le Anguane delle leggende
alpine c'è inoltre un legame consentito dalla linguistica, ovvero una possibile
evoluzione da Adganae ad Anguane, forse attraverso l'intermedio Aggane,
presente tra le denominazione delle nostre fate(7).
Se le Matronae sono, come finora ipotizzato, le detentrici di un corredo tipico delle Anguane, (sopratutto nella Gallia Cisalpina)
allora potrebbero essere loro stesse discendenti delle progenitrici celtiche
delle fate, quelle medievali-cavalleresche e, in fin dei conti, delle Streghe”.
(Fatae, Excursus– Testo di Claudia Simone, 2024)
Nelle Streghe si sono tendenzialmente fusi i connotati di queste figure preesistenti, fino a essere stati, purtroppo, pervertiti, forse dalla progressiva perdita di contatto con le vecchie religioni naturali pagane, con i loro valori e la loro concezione di sacralità naturale della terra e della donna in quanto una delle sue massime espressione divine.
Se non altro, molti dei luoghi un tempo attribuiti alle
Fate, sono diventati luoghi delle Streghe, viceversa, a volte le due “entità” hanno finito per fondersi: un esempio è la Casa delle Fate della Alta Val Mastallone, un
luogo che ho intenzione di visitare con la bella stagione..
I Demoni Ghiacciati delle Masche di Rifreddo e Gambasca
Un dettaglio, non riscontrato, ad esempio, nelle testimonianze sulle Streghe Antigorine, che dai fascicoli su Rifreddo e Gambasca emerge, è quello del coito con il diavolo che a Caterina non avrebbe dato piacere, dato che il membro del demone “Giorgio” (e, ciò, è vero anche per il demone Martino della Giovanna Motossa e per il Costanzo della Caterina Borrella) era freddo come il ghiaccio e differente da quello degli uomini.
Un collegamento interessante che ho notato sta in un dettaglio cronologico su cui mi ero soffermata durante le mie ricerche sulle Streghe di Croveo di Baceno, nel Verbano-Cusio-Ossola, che a ogni modo testimonia una evidenza posteriore alla vicenda di Rifreddo, dove i demoni erano visti con aspetto spiacevole già nel 1495, non già nel 1542:
(...) “Si noti, che l'aspetto del Demonio, sarebbe
cambiato nel corso delle varie fasi della Caccia alle Streghe: quello descritto
nel 1519-1520, appariva come un giovane attraente che subito diventava amante
della strega; mentre nell'ultima campagna in Antigorio era descritto come
orribile e spaventoso, nudo e cornuto; suscitante un sentimento di rifiuto da
parte dell'iniziata piuttosto che il desiderio sessuale (4, p. 389).
Probabilmente, spiega Don Tullio Bertamini, autore di Luci su Croveo, a
questa immagine e quindi presumibilmente ad allontanare le donne e uomini dalla
tentazione della eresia; concorreva l'illustrazione che ne aveva dato Antonio
Zanetti ovvero Il Bugnate nel 1542; dipingendolo nella cappella degli
esorcismi, nella Chiesa di San Gaudenzio di Baceno ove si svolgevano i processi. (Le Streghe di Croveo: fatti e prospettive sulla Triora Antigorina e cenni sulle Valli dell'Ossola, Formazza e sul Novarese – Testo di Claudia Simone, gennaio 2024)
Da quel momento Giorgio, secondo la confessione della donna, avrebbe visitato Caterina una volta alla settimana, il giovedì e di giorno (2 p. 21), spesso contro la sua volontà. Si noti allora che in Valle Antigorio, le riunioni delle streghe erano presumibilmente sia diurne che notturne e fissate per il giovedì notte(4), appuntamento abitudinario del Sabba e del coito con il demonio. Sempre al giovedì, di notte, Caterina e le altre Streghe di Rifreddo e Gambasca si sarebbero lasciate condurre dai rispettivi demoni, per avervi rapporto contemporaneamente, nei luoghi di ritrovo di cui si ha parlato sopra.
Inquisitori diversi, di ordini diversi, in luoghi molto lontani fra loro,
avevano prodotto medesime confessioni, medesime accuse: erano le Streghe a
essere artefici di medesimi gesti e ritualità – seppure con piccole
differenze che non vanno a incidere sull'atto simbolico stesso – oppure erano gli inquisitori, animati dal
comune oscuro desiderio di incastrare quelle donne, a estorcere la stessa
realtà alla quale volevano credere, tanto da convincere le vittime, ovunque e comunque, a riferirla
tale e quale?
Le Missioni Malefiche in Collettiva
Un elemento peculiare del cuneese, emerso sempre dalla confessione di Caterina Bonivarda, pare essere quello delle “missioni malefiche”, svolte in collettiva, una a Revello, presumibilmente per ammazzare tre bestie bovine, una con la sola Caterina Borrella, per uccidere bambino di Giaffredo Moine di Gambasca, presumibilmente trovato morto al risveglio dei genitori, coi quali dormiva.
La Tempesta
In un altro interrogatorio, del 6 dicembre 1495, che
purtroppo versò Caterina in una condizione difficile, nonostante avesse alla fine confessato e dichiarato il suo pentimento, quindi era stata momentaneamente salvata
dalla consegna al braccio secolare, emerge un altro tratto d’unione con i
processi alle Streghe Antigorine, ovvero la presunta capacità – e la volontà –
delle Masche di Rifreddo e Gambasca di causare tempesta, per cui era
necessario, in questo caso (a Croveo era sufficiente dire delle formule con
dei legnetti o delle spighe immersi/e in un torrente) l’utilizzo
dell’ostia che avevano ricevuto all’ultima Pasqua, che in quel caso era stata spezzettata
durante uno dei loro convegni e calpestata, oltre che ci avrebbero orinato
sopra presumibilmente per compiacere i loro demoni…
Anche questa caratteristica ritualità naturale, lascia trapelare una pratica preesistente, legata al culto (ma anche al timore) di certe entità celesti.
Il Presunto Rito Antropofago
Un altro elemento del presente interrogatorio è il rito
antropofago, già riscontrato fra le antigorine sebbene in forma lievemente
diversa: le masche avrebbero disseppellito in una notte d’estate “un figlio di
quelli dei Francesi” che avevano ucciso loro stesse, per portarlo nella casa di
Margherita Giordana, a Rifreddo, cuocerlo e farne salsicce che poi avrebbero
mangiato (il ché ha chiaramente del tragico e dell’assurdo). Il grasso
sarebbe poi stato utilizzato per ungere i bastoni delle masche. Non è specificato,
ma quasi certamente lo scopo – presunto od attribuito – di tale atto era
quello di stregare il bastone affinché rispondesse al volere della
Strega sua padrona, almeno così accadeva fra le Streghe in Valle Antigorio. le quali utilizzavano un particolare unguento, un burro, come
reminiscenza di una credenza antichissima:
(…) “D'altra parte, il tema del volo magico, fa notare
Mircea Eliade in Lo Sciamanismo (op. cit. p. 511), ampiamente diffuso nei miti,
fa parte della ideologia della magia universale ed è caratteristica peculiare
degli esseri d'oltretomba, oppure di iniziati che compiono un viaggio estatico.
Dalla Siberia fino all'antico Egitto sono state molte le
rappresentazioni dell'albero-madre, che nel caso degli Egizi è considerato una
vera e propria dimora della progenitrice.
Nelle fiabe si sono infatti conservati i motivi del
bastone, della scopa o della bacchetta magica.
Del resto, l'opinione che le streghe si potessero librare
in volo ha radici nell'antico ed era diffusa in tutta Europa fin dalla
preistoria.
Anche la scopa è alla base della credenza che il defunto
o antenata celata nell'albero come potenza madre-arborea, potesse conferire a
rametti, bastoni e conseguentemente alla bacchetta fatata di causare il
movimento magico (ibidem).
Le streghe cavalcavano, nelle leggende, bastoni o animali
magici ‒ quando non direttamente i diavoli, secondo la degenerazione cristiana
della narrazione ‒ invero queste si ungevano con delle pomate magiche, di cui
sono girate anche alcune ricette sconcertanti, fatte di carne di bambini non
battezzati e altre diavolerie sostenute tra gli altri da Reginald Scott, autore
di The Discoverie of Witchcraft(1584)”. (Streghe, Dee, Befane, Donne e Valchirie: alle origini della Stregoneria e la Vecchia Religione nell'Europa Antica e Occidentale – Testo di Claudia Simone, ottobre 2023)
Caterina Bonivarda, affermava, d’altronde, in un ennesimo interrogatorio individuale svoltosi subito dopo quello collettivo, di tenere nel pagliericcio del letto, nella sua casa, un “bastone di grossezza di un pollice e della lunghezza di circa un raso” che aveva ricevuto dal “suo demone maestro”, lungo circa 60 centimetri.
(…) “Similmente, la demonologia credeva che mentre la
strega era in volo – e ciò fu confessato dalla stessa Margherita Turchelli –
un oggetto veniva posizionato al suo posto per ingannare marito e familiari.
Nel caso di questa testimonianza si trattava di un
bastone che lasciava al posto di sé che assumeva la sua figura e la sua voce e
per opera del suo amante e demone Andriolo prendeva le sue sembianze fino al
suo ritorno (4, p. 321).
Questo è un aspetto che trova reminiscenze nel culto
della Nonna del focolare risalente al neolitico, nondimeno quella che
conosciamo come Befana, alla quale la tradizione di molti popoli ha dato volto
e nomi differenti, ma con simili corredi e dotazioni, tra cui il fuoco, la
cenere, la maschera utilizzata nel folklore per evocarla (ovvero metafora
della impossibilità di vederla e l'obbligo del sonno fintantoché visitava le
case) e il bastone o la scopa, successivamente diventati grazie alle fiabe
le famigerate bacchette magiche delle fate madrine, che altro non sono che un
volto della Strega/Befana stessa. (Le Streghe di Croveo: fatti e prospettive sulla Triora Antigorina e cenni sulle Valli dell'Ossola, Formazza e sul Novarese – Testo di Claudia Simone, gennaio 2024)
La Corsa per L’Aria e Gli Interrogatori a Caterina
Borrella
Nello stesso tempo degli interrogatori alla Bonivarda,
avvenivano quelli a Caterina Borrella, scatenati dalle accuse, derivanti da
episodi avvenuto rispettivamente dai sei ai dodici anni prima, di coloro che la
giudicavano colpevole di aver fatto morire ben due bambini e un padre, dove
erano sempre state le sue parole – suscitate dal venir meno ad alcuni accordi
su delle bestie e delle castagne – a presagire (e a far accadere, a quanto
pare...) delle terribili conseguenze per chi non le avesse tenuto il giusto
rispetto.
Presto detto, è lungo la vicenda della Borrella che emerge il tema della “corsa nell’aria” (quod ibat ad cursum) ovvero gli accusatori sostenevano che era una masca e partecipasse alla corsa; chiara reminiscenza della corsa selvaggia, la quale nel tempo ha assunto diverse forme e attribuita al comando di figure quali Thor – alla base del Babbo Natale nordico, in Finlandia noto, ad esempio, come Joulupukki (“capra di Jól”), proprio in riferimento alle capre che trainavano la slitta del dio – fino a riversarsi nella Domina ludi (donna del gioco), o nella Signora Oriente(8) la quale, d’altra parte, se Massimo Centini in Streghe in Piemonte la definisce una entità “esotica”, si ricordi che la stessa Befana – assimilabile alla Strega Perchta delle Alpi – ha una parentela con le dee celesti semite, custodi del fuoco celeste e meteore vivide nel mito della Stella Cometa che avrebbe guidato i Re Magi, riscontrata ovvero in Astarte, la stella guida di Adone che salva la terra con il suo “volo luminoso attraverso l’aria”: una delle possibili etimologie di Berchta, oltre a quella alto-tedesca che significa luminosa, brillante (“peraht”, “berht” o “brecht” affine alla parola inglese “bright”(10)), è il sanscrito bhraj (latino fulgeo, attinente alla luce di una stella) e la sua figura delinea l'antenata preistorica celeste comune a quasi tutte le religioni primitive (9, p. 36). Fulgea è, dunque, la natura di una Strega?
(…) “Secondo una vecchia strega dei Grigioni, e ciò è
stato confermato anche dal II Volume del Taschenwörterbuch der
Österreischischen Volkskunde, il periodo di congiunzione dall'anno antico
lunare con 354 notti, all'anno solare giuliano con 365 giorni si chiama
“Dodicesimo”, e la Bercht, ovvero la Perchta, con il suo seguito di bestie
selvagge, andrebbe a cercare la gente a casa, trascinando nell'aria la corsa
selvaggia. Le Dodici Notti erano quindi in origine il tempo derivante dalla
differenza tra l'antico anno lunare e quello solare. In questo periodo le
streghe tenevano il loro antico tribunale, giudicavano gli affaristi, i
contadini e altre persone che si erano rese colpevoli di una mancanza contro
gli esseri umani, gli animali e la natura (10). Le notti dal Natale all'Epifania
sono inoltre notti di oracolo sul tempo e sul destino, ed è per questo che sono
connesse alle figure norrene di antenate (Dísir) e custodi del destino (Nornir).
Sono notti favorevoli per l'oracolo amoroso, per
interrogare il fato, per entrare in contatto con le energie sottili e di
tenebra e per svolgere incantesimi di riconoscimento della “Trud”. Invero le
Truden sono i folletti scompigliatori della Perchta e, curiosamente, il nome di
un delle valchirie è proprio Thrúdhr, che significa “donna” o “forza”.
Non a caso la famigerata caccia selvaggia attribuita a
Odino che avverrebbe durante queste notti, potrebbe essere stata, ab origine,
la marcia infernale della Perchta e delle sue Truden (affine in qualche modo alla famosa cavalcata delle Valchirie). ( Le Dodici Notti d'Inverno – Testo di Claudia Simone, gennaio 2024).
Caratteristiche delle Riunioni delle Masche a Revello
I tratti delle riunioni delle Masche a Revello, un altro paese coinvolto emerso dalle deposizioni, furono altresì il già detto volo, reso possibile dalla sovrapposizione del piede delle donne sul piede del rispettivo demone, la quercia come riferimento topico, la presenza di quaranta o cinquanta persone, dunque il raduno, e le danze collettive, insieme allo spregio della croce. Tra i malefici emersi dalle deposizioni, quello di aver fatto morire delle bestie con il tocco.
La congrega era composta da quattro donne di Gambasca, quattro di Rifreddo, due di Sanfront e una di Martignana più un forestiero di Martignana, di nome Desnarrat.
Questi elementi sopraggiunsero durante la prigionia, e dopo ripetuti interrogatori e pressioni psicologiche; similmente avvenne per tutte le altre donne coinvolte, le quali a poco a poco erano state tutte imprigionate nel Monastero femminile: “il verbale di questa seconda sessione di interrogatorio collettivo, è identico a quello di Caterina Bonivarda, ergo, sembra che il notaio riproduca un modello, cambiando solo alcuni connotati spaziale” (2 p. 32).
Lumen Blodum e Luce di Luna
Romea dei Sobrani di Rifreddo, una delle masche condannate presso il Monastero di Santa Maria della Stella, cita un dettaglio, forse indicativo di una innata consapevolezza magico-lunare legata a riti pagani femminili di comunione con la natura e le dee celesti preesistenti: “Aliquando luna lucebat” ovvero “Talvolta la luna riluceva”,
durante i riti stregoneschi, dove era l’ombra a far da padrona..
D'altra parte, Giovanna Motossa e sua figlia Giovannina Giordana affermavano di aver visto, durante le riunioni delle masche, il volto di Caterina Borrelli illuminato dalla luce fioca e blu emessa dai demoni (lumen blodum). In Valle Antigorio, niente meno che a Mozzio di Viceno, ovvero sul Monte Cistella delle Streghe di Croveo di Baceno, la leggenda narra qualcosa di simile: “Gesumaria! Il Cistella, che veglia sempre sui fratelli minori, era illuminato da cima a fondo da una striscia di luce verdastra e in mezzo a quella luce salivano, come per Incanto, strane coppie cornute, che appena raggiunta la cima, date le lunghe chiome al vento e alla luna, intrecciavano le loro danze diaboliche sul bianco tappeto di neve; poi la luce scomparve e più nulla vidi”. (Le Danze delle Streghe in Valle Angtigorio. Un Ballo sul Cistella – Testo di Claudia Simone, agosto 2024, Cfr:A. DA PONTEMAGLIO Novelle e leggende ossolane 1927, Cfr: Leggende delle Alpi, Paolo Crosa Lenz, Grossi-Domodossola, pp. 180-183 ).
Moventi
Tranne che per Caterina Bonivarda, per quanto riguarda le altre otto masche di Rifreddo e Gambasca, sicuramente protagonista fu lo spettro della povertà: Caterina Borrella, la presunta masca spinta a entrare nella setta delle masche,
nacque da un scontento nei confronti della propria vita ma, in questo caso, emerge
la sua difficoltà economica ad affrontare la difficile situazione di
ritrovarsi costretta ad alienare la sua dote, rimanendo sola e povera, per
poter risarcire un uomo, Bellavigna, ebreo di Revello, verso cui il marito,
Giovanni Borrelli, aveva un debito insoluto, tantoché nel periodo in cui
Caterina “cedette al male” si trovava incarcerato nel Monastero di Rifreddo, lo
stesso dove era detenuta Caterina Bonivarda, sotto la reggenza della badessa
Margherita della Manta. Il deterrente economico sembra in effetti connesso ai
processi, a Rifreddo e Gambasca come in Valle Antigorio..
Fu lì che un demone
dall’aspetto di un bel giovane, a quanto emerso, si impadronì di lei,
insinuandosi in un momento di dolore e promettendole molto denaro in cambio di
rapporti sessuali e spregi vari verso Dio e la corte celeste: anche qui, il membro del demone,
viene descritto come “un pezzo di ghiaccio”, il volto oscuro e livido, portava
stavolta il nome di “Costanzo” che avrebbe persino percosso la donna quando
ella si rifiutasse di obbedire. In tali percosse, gli storici e le storiche hanno visto una sorta di descrizione del tipico rapporto uomo-donna di stampo patriarcale dove, con tutta probabilità, i racconti delle accusate traboccavano un clima di violenza che in realtà subivano dall'Inquisitore che si serviva – lo sappiamo per certo dai fascicoli! – della tortura per costringerle a confessare.
D'altra parte, Giovanna Motossa, la quale venne sorpresa a rubare dall'orto del Monastero di Santa Maria della Stella da Maria, una inserviente diciottenne della Badessa Margherita di Mantin, con tutta probabilità poteva essersi macchiata di omicidio preterintenzionale (trasformato in atto demoniaco e stregonesco dall'accusa) per vendicarsi sulla ragazza, la quale aveva denunciato il fatto e contribuito a diffondere le voci circa l'appartenenza alla secta mascharum della donna. Nella fattispecie, sul corpo di Maria v'erano segni di reali percosse, ma confessare che le colpe fossero di un demone, il quale avrebbe fatto pressione sulle mani di Giovanna, spingendola a uccide, avrebbe potuto essere un deterrente per la difesa e il relativo assovilmento dall'accusa di omicidio, perciò non sorprende la confessione quasi immediata della Motossa, fosse ella strega o meno. I segni sul corpo di Maria, la quale morì dopo pochi giorni dall'attacco della Motossa al suo giaciglio, mentre era dormiente nel Monastero, parlavano chiaro e testimoniavano segni di percosse sul costato e sulla schiena, chissà perché si ha voluto vedere della magia macabra, in questo, e non ciò che effettivamente era, ossia la probabile vendetta di una donna satura d'essere continuamente battuta da una comunità di bigotte e bigotti giudicanti e molesti.
Se così fosse, non si vuole certo giustificare l'omicidio, bensì comprendere quale potrebbe essere stato il movente che ha spinto una povera donna di Rifreddo a una simile brutalità.
Giovanna Motossa. Il Soffio e Il Tocco della Strega
Nel terzo dossier inquisitoriale, si apprendono invece i
seguenti dettagli, relativamente alle deposizioni rilasciate all’inquisitore, da
parte di ben dieci uomini e una donna, ai danni di Giovanna Motossa, l’unica
che confessò subito anche d’aver indotto la figlia, Giovannina, alla setta delle
masche e ai rapporti col demone (che la figlia avrebbe persino consumato davanti alla madre, come atto di iniziazione); vedova di Benedetto Motosso di Rifreddo, venne accusata soprattutto di aver causato la morte di Maria, la inserviente
diciottenne della badessa, la quale l’aveva sorpresa a sottrarre erbe dall’orto
monastico. Ciò diede il via, anche in questo caso, agli interrogatori a partire
dalla proclamazione del tempo di grazia in data 4 ottobre 1495. Una
“inquisizione speciale” che non condusse a nulla di buono.
Il suo demone, apparso di notte al solo lume acceso della sua
camera, era diverso per un dettaglio: il berretto bianco; si chiamava Martino
– curiosamente, questo è lo stesso nome che il diavolo assunse a Venegono
Superiore, negli interrogatori ai danni delle sette streghe documentati nel
Processus Strigiarum del 1520! Che diavolo furbo, o che inquisitori ancor più
scaltri, decisi a cavare da donne diverse, in luoghi diversi e in tempi diversi, esattamente la stessa confessione, vero?
Un'altra peculiarità dell'interrogatorio a Giovanna Motossa, è il “soffio”(2 p. 35), ovvero che il demonio le avrebbe intimato di utilizzare per procurare maleficio alla badessa del Monastero di Rifreddo, durante i giorni di prigionia della masca.. Inoltre, Giovanna confessa che a quanto ne sapeva, i demoni erano capaci di passare attraverso piccole fessure, facendo riemergere, così, il tema delle porte e delle “preesistenti entità tutelari dei passaggi” di cui sopra si ha parlato.
“Il soffio (flatus) uscito dal corpo di Michele Rosso – una delle undici persone che erano accordi nel denunciare la Motossa come “masca” – restituendogli la sanità, dopo che la stessa gli avrebbe causato un dolore così forte alle spalla, quando l'uomo era passato davanti casa sua, presuppone che lo stesso fosse, in qualche modo, “entrato” nella spalla dell’uomo, con effetti dolororissimi”(2 p. 61).
Inoltre, Giovanna è la prima e forse unica Masca di
Rifreddo, che afferma di aver cavalcato il bastone, dapprima unto con
grassi degli infanti di cui le masche avrebbero procurato la morte, come già detto, durante una spedizione collettiva.
Dall'Omicidio alla Mascarie
A ogni modo, non bisogna dimenticare che in tutto e per tutto pare che quelli che dalle deposizioni sono emersi, a un occhio razionale, come omicidi preterintenzionali, potrebbero essere stati trasformati in crimini demoniaci, appartenenti alla sfera stregonesca, per un incomprensibile delirio che, come spesso accadeva al tempo, afflisse un villaggio che nel Quattrocento identificava il male soprattutto nelle morti inspiegabili, dove si aveva così terrore di certe forze da finire, forse, per attribuire mascarie dove, con tutta probabilità, c'erano solo delle donne povere, deperite, amareggiate perché non era concesso loro di cogliere un'erba od avere un pollo intero per sfamare la famiglia e che finirono, almeno nel caso della Giovanna Motossa, per ammazzare una inserviente per vendicare dissapori personali e altri scontenti tipici di un contesto socio-politico e culturale vittima di ignoranza e povertà. Fra l'altro, è possibile che gli infanti che venivano trovati morti, fossero semplicemente stati schiacciati inavvertitamente dai genitori durante il sonno, il ché significherebbe (e si crede che sia così) che nessuna masca abbia ucciso alcun bambino, a Rifreddo, men che meno mangiato. Dopotutto, questa è la chiave di lettura che ne fa, nello specifico caso di Rifreddo, Grado Giovanni Merlo, e va tenuto ben presente che potrebbe essere quella giusta. Forse una o alcune delle donne imprigionate erano delle omicide, forse non erano streghe, forse non erano nessuna delle due cose, ovvero vittime di una metarealtà creatasi dal connubio fra la tortura e l'universo folkloristico e culturale distorto che spingeva a confessare ciò che, secondo le idee del tempo e in base alla singolare condizione e capacità dell'accusata, era nell'immaginario della gente una strega, una masca. Le morti avvennero, così i segni sui corpi dei defunti richiamavano presumibilmente a un comune denominatore, il ché portò a credere che vi fosse il medesimo responsabile alle spalle.
Gli Esiti
In tutto, i provvedimenti inquisitoriali degli ultimi tre
mesi dell’anno 1495, ai danni di donne di Rifreddo e Gambasca furono nove – una sola masca, Elena, la scampò, dato che era di Sanfront e dunque non sotto la giurisdizione dove Vito dei Beggiami avrebbe potuto operare – tutti finiti con la condanna al braccio secolare per crimini di eresia,
apostasia della fede ovvero mascarie e, quindi, alla pena di morte, dato che
le leggi imperiali erano ancora quelle emanate dall’imperatore Federico II nei
primi decenni del XIII secolo, che prevedevano la pena di morte per gli eretici
e la relativa esecuzione capitale da parte dei detentori del potere civile.
Caterina Bonivarda e Margherita Giordana di Rifreddo, con
tutta probabilità, sono state consegnate al braccio secolare, ma i fascicoli
non lasciano ben intendere come e quando morirono.
Caterina Borrella e Giovanna
Motossa di Rifreddo restano anch’esse “senza un finale definito”.
Giovanna Cometta, Caterina Bianchetta detta Catogia,
Giovannina Giordana, Giovanna della Santa e Romea dei Sobrani vennero
sicuramente sottoposte a processo, ma non si sa nulla delle dichiarazioni
conclusive.
L’esecuzione, che sarebbe spettata a Margherita di Manton in persona,
badessa del Monastero Cistercense femminile di Santa Maria della Stella, non è
documentata e i tre fascicoli disponibili negli archivi sono frammentari, lasciando più intuire che conoscere molte delle verità che qui sono state solo brevemente presentate.
Prigionia e Tortura
Dai fascicoli, emerge che Bonivardo dei Bonivardi, il marito di Caterina Bonivarda, temeva più di tutto la badessa – quasi che, e così probabilmente era, fosse un indiscusso potere femminile ad avere la prima e ultima decisione sui casi di stregoneria, non già l’inquisitore, Frate Vito dei Beggiami. Con ogni ipotesi, fu infatti lei, la badessa, a richiedere l’intervento contro le masche, dunque la presenza del “magister” e “sacre theologie doctor” a Rifreddo. Non si esclude, infatti – ma, questa, è una intuizione personale che potrebbe non essere condivisa – il movente di una deliberata vendetta personale della badessa ai danni delle masche, dato che la Motossa aveva presumibilmente tolto la vita alla sua affezionata inserviente; ma l’accusa era stata mossa sia dalla gente che dal frate Predicatore Tommaso dei Binellati che, guarda caso, era il cappellano della badessa di Rifreddo e senz’altro aveva un interesse personale a compiacere la spietata badessa. Fu proprio della Motossa, che la badessa si occupò per prima, fra tutte e nove le donne rinchiuse nel suo “invitante” Monastero delle vergogne, morali ed etiche. La tortura, anche se non esplicitamente attestata nei fascicoli in quanto tale, era senz'altro stata utilizzata ai danni di Caterina Bonivarda, la quale inizialmente negava ogni capo d'accusa. Il 27 ottobre 1495 frate Vito dei Beggiami dichiarò di essere costretto, dunque, a ricorrervi. Inoltre, negli altri casi, era velata dalla espressione ricorrente“remotis ab ea di paura”, che sottintende le parole “extra torturam et locum torture” – trovate, ad esempio, nella trascrizione dell’interrogatorio di Margherita Giordana, il ché significa che “l’interrogatorio avveniva solo dopo aver rimosso da sé ogni paura e causa di paura” ovvero “fuori dalla tortura e dal luogo di tortura”, perciò un luogo di tortura c’era e l'efficacia della stessa è da considerarsi “fuori da ogni ragionevole dubbio”(2 p. 77), ovvero realtà assodata e innegabile nello svolgimento dei processi di Rifreddo.
Il Monastero Cistercense Femminile di Santa Maria della Stella. Cenni Storici di Aldo Molinengo
Fondato sotto diretta giurisdizione papale nel 1219 da Agnese di Saluzzo, figlia
di Manfredi II, Marchese di Saluzzo, che, rimasta vedova, decise di darsi alla
vita spirituale, il
Monastero di Santa Maria della Stella era un istituzione religiosa femminile,
cioè costituita da sole monache, appartenente dapprima alla regola benedettina
e poi a quella cistercense, come già altre presenti nel cuneese a Dronero e a
Pogliola. Divenne uno dei più ricchi e potenti della zona. Possedeva l'intero
territorio di Rifreddo e Gambasca e il diritto alle decime su tutta la valle
Po, nonché altri territori posti all'esterno della valle.
Il Monastero decadde nel corso del XV secolo e, nel 1592, fu
trasferito a Saluzzo. La facciata della chiesa, conservata nella parte
inferiore, è di impianto romanico, con archetti ciechi e resti del portale a
tutto sesto, con conci di pietra alternati a mattoni, e del rosone circolare.
Sopravvive inoltre parte dell'antico presbiterio della
chiesa, a pianta rettangolare, originariamente coperto da volta a botte e
aperto da due finestre simmetriche.
Dell'antico convento rimangono oggi pochi tratti di mura..
La sua influenza si estendeva con estrema fermezza,
addirittura arroganza, come testimoniano le frequenti controversie, su tutti i
paesi vicini, primo fra tutti quello di Gambasca situato esattamente sul lato
orografico opposto a quello di Rifreddo, ma anche in pianura, attraverso
possedimenti di terre a Racconigi e Scarnafigi. L'annessione al Convento di S.
Ilario, a Revello, rafforzò ulteriormente il potere del Monastero che,
nell'area circostante, aveva collegamenti con gli importanti insediamenti religiosi della
zona, l'Abbazia di Staffarda e la Certosa di Monbracco. La morale dubbia che
serpeggiava tra le religiose, perse notevolmente il suo prestigio, tantoché nel
1592 le monache si trasferirono a Saluzzo, su ordine del Vescovo, come
conseguenza delle deliberazioni del Concilio di Trento.
La loro ultima sede saluzzese fu la secentesca Chiesa di
Santa Maria della Stella, detta Crociata Rossa, posta poco sotto il
contemporaneo complesso religioso del Gesuiti, quest'ultimo, oggi, in
prevalenza occupato dal Municipio,
Dalla piazzetta antistante alla Chiesa prende inizio la
breve Via Rifreddo, a ricordo dell' antico Monastero che vide la sua fine con
l'era della dominazione francese in Italia. Nei primi anni dell'Ottocento,
infatti, Napoleone, con l'emanazione del decreto del 1802, che prevedeva la
soppressione di tutti gli ordini religiosi, cancellò anche questa secolare
istituzione.
Purtroppo, oggi, i pochi resti del Monastero non chiariscono
a fondo quale potesse essere la sua pianta originaria. La parte meglio
conservata è quella della Chiesa, della quale sono rimasti la facciata ed il
lato perimetrale a nord, che rivelano chiaramente le antiche linee
architettoniche richiamanti lo stile di altre Chiese coeve del Monferrato, non
a caso edificate
nelle terre dei Marchesi del Vasto, l'antica stirpe che,
attraverso un ramo laterale, diede origine a quella dei Marchesi di Saluzzo. Si
può pensare che l'edificio fosse costituito da una navata unıca, lunga circa 22
metri, mentre l'esistenza sul lato est di uno spazio rettangolare rimanderebbe
ad una probabile abside. Nel tempo la costruzione fu ampiamente rimaneggiata,
passando anche in mano a privati, che attualmente, ne detengono la proprietà principale. L'Amministrazione comunale di Rifreddo
si è fatta carico, recentemente, di acquisirne una parte per provvedere al
restauro.
La bibliografia completa di cui si è avvalso l'emerito professore di Storia del cristianesimo presso l'Università degli Studi di Milano è interamente indicata nella sua opera, 2 pp. 101-105.
(1) Enciclopedia Treccani
(2) Grado Giovanni Merlo, Streghe, Casa Editrice Il Mulino, 2006
(3) Le Rocce Madri del Lago d'Orta - Testo di Claudia Simone, aprile 2019 (Esplorazione di Ricerca)
(4) Luci su Croveo, Don Tullio Bertamini, 2011
(5) La Dea Bianca, Robert Graves, Casa Editrice Gli
Adelphi, p. 482, 1992
(6) Atlante delle Sirene, Viaggio Sentimentale tra le
creature che ci incantano da millenni; Agnese Grieco, Casa Editrice il
Saggiatore, Milano 2017, pp. 27-34
(7) Tracce Celtiche, curiose, misteriose ed inquietanti;
Piccolo viaggio all'interno di alcuni segni, misconosciuti o ignorati, del
passato celtico antico e medievale nell'Italia alpina e padana, Edizioni della
Terra di Mezzo, Marco Fulvio Barozzi, pp.152-153, (Milano 2000)
(8) Streghe in Piemonte, Pagine di Storia e di Mistero, Priuli&Verlucca, p. 145
(9) L'Incanto e L'Arcano, per una antropologia della Befana, Claudia Manciocco e Luigi Manciocco, Armando Editore
(10) Le Tredici Lune, Luisa Francia, Case Editrice Le Civette di Venexia, capitoli uno, due e tre; 2011, Collana Le Civette - I Saggi, a cura di Luciana Percovich.
(11) Domina et Madonna. La figura femminile tra ossola e Lago Maggiore dall'antichità all'Ottocento, Giambattista Beccaria, Tullio Bertamini De Giuli Alberto, Casa Editrice Oca Blu, 1997
Fotografie di Claudia Simone
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