Raperonzolo e Rudabè. La Fiaba Tedesca e l'Epopea Mediorientale a Confronto

C’erano una volta un uomo e una donna: da tempo desideravano un figlio, ma niente, non arrivava. Finché un giorno la moglie cominciò a sperar per il meglio. Nel retro della casa di questa brava gente si apriva una finestrella che dava sul giardino di una fata. Era pieno di fiori ed erbe di ogni tipo, ma nessuno poteva osare metterci piede. Un giorno la donna se ne stava affacciata alla finestrella e vide
un'aiuola di meravigliosi raperonzoli e ne provò una voglia, ma una voglia… Sapeva però di non poterne assaggiare nemmeno uno, così s’ammalò di tristezza. Il marito tutto spaventato le chiedeva che avesse: — Ahimè! Se non mangerò di quei raperonzoli del giardino dietro casa, morirò.
L'uomo, che l'amava tanto, ma proprio tanto, pensò: “Costi quel che costi, devi prendergliene qualcuno”, e una sera si calò lungo l'alto muro e svelto svelto strappò una manciata di raperonzoli e li portò alla moglie. Lei ne fece subito un'insalata e con la voglia che aveva se la mangiò di gusto.
Le erano piaciuti tanto, ma tanto, che il giorno dopo era tre volte più vogliosa. Il marito capì bene che non gli avrebbe dato pace; quindi, si calò di nuovo nel giardino, ma che terribile spavento quando gli si parò davanti la fata! Gliene disse di tutti i colori perché aveva osato tornare a derubarla nel suo giardino. Lui cercò le scuse che poteva – la moglie incinta, le voglie e quanto fosse pericoloso non assecondarle – e alla fine la fata disse: — Va bene, mi metto tranquilla ti lascio prendere dal mio giardino tutti i raperonzoli che vuoi, purché tu mi consegni il figlioletto che tua moglie porta in grembo.
Per paura l’uomo accettò e quando la moglie partorì una bambina subito la fata si presentò: la chiamò Raperonzolo ẹ se la portò.
Raperonzolo si fece la più bella bambina mai nata sotto il sole, ma quando ebbe compiuto il dodicesimo anno la fata la rinchiuse in un'alta torre senza porta né scala, dove solo in alto in alto c'era una piccola finestrella. Quando la fata voleva salire a trovarla si metteva sotto la torre e chiamava:
 
“Raperonzolo, Raperonzolo,
la lunga chioma lascia che penzoli!”.
 
Raperonzolo aveva dei capelli magnifici, fini come oro filato, e al richiamo della fata li scioglieva, li avvolgeva intorno al gancio della finestra e lasciava cadere le chiome per venti spanne, così la fata ci si arrampicava. Un giorno dal bosco giunse alla torre un giovane figlio di re. Vide lassù in alto la bella Raperonzolo che cantava con una voce così dolce che se ne innamorò. Ma non c'era porta ne scala per arrivare là in cima. E il principe cadde nella più nera disperazione, e ogni giorno traversava il bosco per tornare alla torre, finché un giorno vide arrivare la fata, che diceva:
 
“Raperonzolo, Raperonzolo
la lunga chioma lascia che penzoli!”.
 
E vide finalmente quale fosse la scala per salire in cima. Si era ben impresso nella memoria le parole, e il giorno dopo, al calar del buio, giunse alla torre e chiamò:“Raperonzolo, Raperonzolo, la lunga chioma lascia che penzoli!”.
Lei calò le chiome, e quando toccarono terra lui le afferrò e venne tirato su.
Raperonzolo dapprima si spaventò, ma presto quel reuccio le piacque tanto che si accordarono per vedersi ogni giorno: lui arrivava, e lei lo tirava su. Così se la spassarono per un bel po', e la fata non si accorse di nulla finché un giorno Raperonzolo non le chiese: — Ma ditemi, Donna Gothel, perché i miei vestiti si fanno sempre più stretti e non mi entrano più?
— Ah, creatura disgraziata — disse la fata — che mi tocca sentire!  — e in un baleno si accorse di come l'avessero menata per il naso, e andò su tutte le furie. Così prese i bei capelli di Raperonzolo, se li avvolse un paio di volte intorno alla mano sinistra, afferrò le forbici con la destra e Zac Zac, li tagliò. Poi scacciò Raperonzolo in un deserto, dove la poverina dopo qualche tempo partorì due gemelli, un maschio e una femmina. Ma nello stesso giorno in cui aveva scacciato Raperonzolo, la fata aveva attaccato le chiome tagliate al gancio della finestra, e quando il figlio del re arrivò in cima e chiamò: “Raperonzolo, Raperonzolo, la lunga chioma lascia che penzoli!”, fu lei a calare la treccia. Ma che faccia fece il principe lassù, quando al posto dell’amata Raperonzolo trovò la fata!
— Sappi — disse la fata furiosa — che per te, mascalzone, Raperonzolo è perduta per sempre.
Il figlio del re cadde nella disperazione più nera e senza pensarci due volte si gettò dall'alto della torre; la vita l'ebbe salva, ma gli occhi se li era giocati, perciò vagava triste per il bosco, mangiando solo erbe e radici, e non faceva che piangere. Passarono gli anni, e il figlio del re capitò nel deserto dove Raperonzolo viveva miseramente coi bambini. La voce di lei gli parve così familiare, e nello stesso istante Raperonzolo lo riconobbe e gli gettò le braccia al collo. Due delle sue lacrime scivolarono sugli occhi di lui. Ed ecco tornare la luce, e la vista, e tutto fu come un tempo.


*****

Note

Nel racconto di Raperonzolo vivono, con tutta probabilità, i tratti di Santa Lucia e del suo “doppio oscuro” che echeggia in molte fiabe e leggende della tradizione tedesca, niente meno che nei panni della Tredicesima Fata che appare in Rosaspina dei fratelli Grimm, la quale, condivide con Raperonzolo i tratti della prigionia nella torre, dove la prima, incarnando il mito di Brunilde arde, come una stella. La luce è il legame inopinabile tra le due fiabe, ed è ciò che dentro guida e non mente, mai. A nessuno è dato il diritto di minacciarla e condannarla ad affievolire: talvolta è a questo che serve la propria torre, a permetterle di rimanere preservarsi e rimanere pura, per non spegnersi e ritornare, al momento giusto, a brillare nel mondo e guarire tutto ciò che sfiora, restituendo la vista dove non c'è. La fiaba di Raperonzolo incarna anche lo spirito del rinnovamento; spesso rinunciando a una parte di sé è possibile ottenere liberazione, finanche attraverso un esilio temporaneo, preludio alla gioia che verrà.


Il Fiore di Raperonzolo
Campanula Rapunculus L.

Il fiore di Raperonzolo, da cui la fanciulla prende il nome nella fiaba dei fratelli Grimm, è la “Campanula rapunculus”, la cui radice, priva di amidi e quindi adatta anche ai diabetici, ricorda quella di una rapa, per questo è detta rapunculus, raperonzolo, dal latino rapum ovvero rapa. Raperonzolo è una pianta erbacea selvatica ricca di inulina che fiorisce da maggio a settembre, con caratteristici fiori a forma di campanella che cresce spontaneamente in tutta la penisola italiana. Ricca in vitamina C, è considerata dalla tradizione una prelibatezza, edibile in insalate o decotti. Appartiene al genere delle Campanulaceae che annovera ben trecento specie, alcune delle quali – se non esattamente il fiore della fiaba – sono legate a delle leggende dove effettivamente appaiono le fate…




Le Campanule delle Fate nella tradizione Europea
Campanula rotundifolia

Una delle Campanelle appartenenti alla materia fatata è la Campanula rotundifolia, le cui infiorescenze sono “cuoriformi” ed è diffusa nei prati delle Alpi e dell’Appennino settentrionale, ad accompagnare i magici rododendri. Simbolo di speranza e perseveranza, dato che resiste alle basse temperature che toccano quelle altezze – evocando, in qualche modo, l’altezza della torre e la pazienza alla quale si è sottoposte, lungo un periodo di prigionia e isolamento come quello di Raperonzolo – pare che il tintinnare dei suoi fiorellini fosse un richiamo alla preghiera per le care suore Clarisse, oppure ricorderebbe un “rintocco pasquale”: “uno di quei suoni larghi e trasparenti che vanno di campanile in campanile come nastri legati in fiocchi e gale, in lunghe sciarpe che si perdono fra le nuvole. Rintocchi che non sono sempre un suono, ma piuttosto una sensazione: odore d’erba nuova, mandorli e peschi fioriti, uova di zucchero dipinte in rosso e blu”. Cit. Gigliola Magrini (2).
Le immagini evocate dalla descrizione, senz’altro parlano della amata Rapunzel, dato che sono i suoi capelli come oro filato a ondeggiare nel vento, richiamo di gioia, salvezza e apertura su luoghi dapprima chiusi, introvabili e invalicabili.
Un altro spunto evocativo della fiaba tedesca è la leggenda che narra che le campanelle di cui detto siano abitate da fate maligne. Un prato traboccante di fiori da questa forma non sarebbe un luogo dove sarebbe sicuro sostare, poiché pregno di incanti e malie. In Scozia il fiore di campanella è detto “old man bell” ed è considerato la campanella del demonio. Sarebbero i minuscoli semi contenuti nella capsula bruna, a farne un fiore misterioso e temuto, secondo Giuseppe Sermonti(2), che li identificò come “aperture verso l’aldilà”...




Le Origini  Mediorientali della fiaba

Una versione di Raperonzolo, niente meno che il motivo della torre e dei capelli salvifici, secondo alcune ricerche è contenuta ne Il Libro dei Re, “Shah-nameh”, di Firdusi o Ferdowsi, ovvero l'epopea nella lingua originaria della Persia del XI secolo che conserva il patrimonio epico-storico dell'Iran, precedente l'islamizzazione ossia la conquista araba e narrante una protostoria e una storia preislamica sconosciute e misteriose. Il poeta che la scrisse, con tutta probabilità morì in assoluta povertà intorno al 1020. La protagonista del racconto che precede di ottocento anni Rapunzel, sarebbe la fanciulla Rudāba, la principessa di Kabul, la quale verrebbe rinchiusa in una torre dal padre, terrorizzato al pensiero di perderla. La parola “Rudābeh”, secondo il dizionario enciclopedico persiano è composta da “Rud” che significa bambina o bambino e “āb”, ovvero “splendente”; quindi, si riferisce a una bambina splendente – non a caso, la luce è il motivo peculiare della fiaba, dove Raperonzolo è in tutto e per tutto una portatrice di luce.


Compendio tratto da Il Libro dei Re, Firdusi

La “versione” orientale della fiaba, nella quale ci sono tracce di luce e magia della Raperonzolo “nostrana”, è contenuta nel capitolo di Re Minucihr che compare ne “Il Libro dei Re” di Firdusi. Nell’epica del contesto, la “regal fanciulla”, afferma di aver fatto crescere con cura i suoi capelli e così a lungo solo perché, un giorno, potessero srotolarsi giù dal castello per accompagnare un giovane prescelto – del quale, lei, evidentemente era in predetta attesa – a sé. In questo caso, si tratta di un amore dapprima segreto e pericoloso, ma reso legittimo dalle predizioni di potenti Magi capaci di “leggere i cieli” e veicolare i messaggi delle stelle – la stella, è una caratteristica del personaggio di Rudabè – i quali avrebbero predetto che dalla unione fra il giovane Zal e la luminosa principessa sarebbe nato un portentoso guerriero, “Rustem”, che “biondo aveva del capo il crine, e il volto qual di sangue acceso, e uscìa alla luce come radiante esce al mattino il sol”(3, p. 101).

Di sole, luce e stelle è la vicenda:

“Dal castel di Mihràb, (Rudabe) montava ad un terrazzo
ella che avea rosate guance ed occhi nerissimi.
Quel Sire d’eroi (Zal), come dall’alto di quelle mura udì tal voce, gli occhi
levò d’un tratto, e lei scoprì che volto avea di sol. Sì come gemma nitida
il terrazzo splendea, le gote accese
tutto il loco rendean splendente e chiaro
quel fulgido rubino.
Ed ei rispose (alla voce udita di Rudabe):
Oh! Quante notti per te, gli occhi fissando all’astro
della Spiga su in ciel, dinanzi a Dio
santo e verace sospirando stetti
e pregai che del mondo il Re sovrano
per via segreta il tuo veder mi fosse
volto sì bello!.
A che favelli mai de’ muri tu dall’alto, io dalla via?
E la leggiadra, la parola intesa di quel sire d’eroi, subitamente
sciolse le trecce sue dal capo nitide, sciolse dalla persona, alta ed eretta
quale arbusto gentil, pieghevol laccio,
qual sì nero e lucente unqua non scaglia
di lacci un vibrator, ricci su ricci
e serpentelli sovra serpentelli
e ciocche sovra ciocche in fino al mento.
Così cader lasciò dai merli sommi
i capelli che il piè, giù discendendo,
raggiunser della torre, indi una voce
mandò dall’alto delle mura e disse:
Sire, figlio di tal ch’ebbe i natali di un valoroso, or fa di salir ratto
e traggi in alto la persona tua,
dilata il petto leonino e adopra
il braccio tuo di re! Prendi un de’ capi
d’esti capelli miei, ché per te all’uopo
vennero intanto le mie trecce. A questo,
a questo fin voll’io crescermi il crine
perché un giorno porgessero a chi m’ama
valevole un’aita. – E Zal guardava
la vaghissima donna e si stupìa
meravigliando e del volto e del crine,
indi tal bacio sulle trecce brune
stampò che di quel bacio udì dall’alto
la giovinetta il suon.
Porgere allor si fe’ dal suo valletto
un laccio e il roteò. Non indugiando,
l’avventò all’alto, ed ecco entro a quel nodo
un de’ merli impigliarsi ed ei dal basso
fino all’alto levarsi in un baleno.
Sovra il terrazzo, là, dell’arduo muro
come fu assiso, venne essa, leggiadra,
e omaggio gli prestò.
Ambo movean com’ebbri.
Così ne vennero a una celletta aureo-dipinta, vennero
a un consesso regal, ché paradiso
era ben quello, splendidente, adorno…
Tu, dal seno sì come argento candido, e hai fragranza
d’intatto muschio, o vaghissima donna quale arbusto gentil, sappi che allora
(…) Or qui, per Dio signor, giudice nostro,
prometto ch’io giammai questo tuo patto
d’infranger ardirò. – Io pure accolgo
da Dio signor, Rudabè rispondea,
e la tua fede e il tuo patto!.
L’attorto laccio
Zal dall’alto avventò di quelle mura,
e il vago amante dal castel discese...” (3, pp. 88 - 92).

Fu grazie alle ancelle di Rudabè che il giovane Zal scoprì della misteriosa principessa; lo cercarono e gli dissero che se lui si fosse fatto guidare alla fanciulla, allora ella gli sarebbe stata donata in sposa per suo stesso volere:

(…)  “Che a Mihràb si sta in casa una fanciulla
Quale sovrasta al signor tuo del capo
veracemente. Pari ad un arbusto
è la donna gentil, bianca d’ebuurneo
candore e bella, e le fanno divino
serto alla fronte i bruni ricci attorno.
Son fieri gli occhi suoi, dolce piegate
le sopracciglia in arco, e il picciol naso
è qual d’argento un breve stelo. Angusta
reca la bocca come angusto è il core
di chi nel duol si sta. Ma li capelli
ampi hanno ricci qual monil che avvinghia
delle fanciulle il piede, e gli occhi sono
casti e pudichi, e d’un languor soave,
qual di sonno, van pieni, e son fiorenti
le gote sue, nero qual muschio il crine.
Il lieve respirar par che sua via
Tra quelle labbra non rinvenga. Oh! In terra
non è bellezza di fanciulla vaga
che la pareggi!” (3, p. 87).


Spica, La Stella che Guida e Incanta

Il giovane innamorato, Zal, non manca di promuovere la bella principessa Rudabè a materia celeste, per niente raro nell'Oriente antico, dove erano le stelle, un tempo considerate divinità femminili in divenire, a guidare uomini e Magi sulla rotta. La Stella Spica, che personalmente incontro, con gran meraviglia, per la prima volta sulla mia, di rotta, è ben visibile nel cielo di primavera. Il suo nome delicato, che deriva dalla parola latina spica virginis , il cui significato è spiga di grano della Vergine”, non lascia intendere, però, il piacevole eccesso della sua luce che, secondo gli studi, è duemila volte più brillante del nostro Sole. Spica splende, come una piccola spiga di grano d’oro, custodita tra le mani di una figura altrettanto luminosa nel cielo: la Vergine, una delle costellazioni più antiche e ricche di significato. Una particolarità, vuole che l'astro Spica sia composto, in realtà, da due stelle che danzano insieme, una accanto all’altra, influenzandosi a vicenda od occultandosi, come due sorelle celesti che si abbracciano ogni quattro giorni, in uno spettacolo di luce biancazzurra. Spica brilla così forte che è una delle stelle più luminose di tutto il firmamento: per trovarla nel cielo, basta seguire la coda dell’Orsa Maggiore e proseguire oltre Arturo. A un tratto, alla fine della coda, eccola là: si fa notare nei cieli notturni di aprile, prima di svanire tra i bagliori dell’estate. Spica è una stella che guida e incanta; tanto amata fin dall’antichità, si dice che fu lei a sussurrare a Ipparco, intorno al 130 a.C., il segreto della precessione degli equinozi. Nel 3200 a.C., il tempio di Tebe in Egitto fu allineato al suo splendore che, col tempo, fu lentamente spostato dal cielo mutevole. Anche Copernico guardò a lei per comprendere i misteri dei movimenti celesti.
Spica forma il cosiddetto Triangolo di Primavera e mostra il suo volto più chiaro in quei mesi in cui il Sole le cede il palcoscenico: la stella Sole, in effetti, passa vicino a Spica il sedici ottobre di ogni anno e la sua levata eliaca avviene due settimane dopo; per questo, la stella è meglio osservabile in primavera, quando il Sole è dalla parte opposta dell’eclittica, alla quale Spica talvolta è così vicina che si lascia nascondere finanche dalla Luna o da altri pianeti, come accadde con Venere nel 1783, che la velò per qualche istante, ma nulla può offuscare la sua luce...
D'altra parte, non è difficile considerarla una manifestazione di Demetra, l'antica Madre del grano della mitologia greca, la quale, nondimeno, ha una conclamata dietrologia egizia... Questo è uno dei motivi per cui la stella  – di cui la Raperonzolo mediorientale è umana manifestazione è diventata un raro dono celeste, simbolo di un fuoco che incessantemente arde ma purtuttavia si occulta, alternando  brevi periodi di visibilità a lunghi momenti di nascondimento.
Sicuramente, approfondirò – con un cammino dentro  e ogni volta che guarderò il cielo, da ora in poi, cercherò anche lei, nuova fra Le Mie Stelle sulla Rotta; Spica, una dea gentile che veglia sulla terra con la sua spiga d’oro, traboccante di doni in forma di storie antiche, fatte di campi, stelle e sogni oltre il velo.


Le Persiane Gelosia, Curiosità

Alla luce della leggendaria Rudāba – niente meno che “la Rapunzel mediorientale” – è sorta una riflessione in merito alla torre dove avrebbe vissuto la principessa, inaccessibile, come risaputo, se non attraverso una scala di capelli calata da una finestrella. È possibile che il termine “persiana”, tutt’oggi in uso, abbia un legame con la vecchia leggenda? D’altra parte, persiana è il sostantivo femminile dell’aggettivo “persiano”, ossia “di Persia” poiché, a quanto pare, l’uso di questo tipo di chiusura è frequente nei paesi orientali a trova lì le sue radici… Le “persiane gelosia”, in effetti, sono un tipo di serramento che si compone di stecche intelaiate e inclinate in modo che possa filtrare la luce dall’ambiente esterno, ma proteggendo da sguardi indiscreti ciò che una abitazione cela. Sembra che questo particolare tipo di infisso sia nato proprio nelle corti del lontano Oriente, dove gli uomini gelosi di mogli e figlie – forse come il padre di Rudabè – tentavano di preservarne la bellezza o magari proteggerle dal pericolo*. 

*****

Bibliografia

(1) Raperonzolo contenuta in Jacob e Wilhelm Grimm, Tutte le Fiabe, Prima Edizione Integrale 1812 – 1815, a cura di Camilla Miglio, Illustrazioni di Fabian Negrin. Titolo originale Kinder-und Hausmärchen. Ed. 2015, Donzelli Editore, Roma, pp. 52-55
(2) Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Alfredo Cattabiani, Mondadori, Ed. 1996, pp. 403-404
(3) I Libro dei Re, Firdusi, Luni Editrice, a cura di Francesco Gabrieli, Milano - 2022, pp. 79 - 113
(4) Pietro Greco, L'astro narrante: la luna nella scienza e nella letteratura italiana, Milano, Springer, 2009
(5) W. Carl Rufus, Copernicus, 1473–1543, in “Journal of the Royal Astronomical Society of Canada”, vol. 37, n. 4, 1943, pp. 129-142

Sitografia

L'Incanto di Santa Lucia e Cenni sulle Misteriose Deità del Natale affini
Rosaspina e Brunilde, Alle Origini di Una Valchiria Celeste
www.ideegreen.it - Campanula Rapunculus
www.marcovasta.net - Il Libro dei Re
Rudaba - Wikipedia
wiki/Dehkhoda_Dictionary
Persiane - Treccani
www.korusweb.com - Persiane Gelosia
www.astronomitaly.com
Spica - WIkipedia

*Per la riflessione sugli infissi e su quanto le vecchie fiabe abitino le nostre vite quotidiane, ringrazio mio marito Michele, che essendo del mestiere ha stimolato questo intuito. 

Testo di Claudia Lucina Simone. Tutti i Diritti Riservati.
Crediti Illustrazione: Rapunzel di J.L.M. 
Crediti Fotografie: Campanula rapunculus L. raccolte da Pinterest, di autore ignoto/a

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Crediti

L'Antro di Luce, ricerche dal 2018 al 2025. Portale di Magia, Culto Lunare-Dianico, Etimologia e Mitologia comparate. Studio della Tradizione, Fiabe e Leggende nelle loro versioni più pure e antiche. Sito web creato e gestito da Claudia Lucina Simone. Tutti i Diritti Riservati. La riproduzione anche parziale di qualsiasi contenuto senza il consenso scritto dell'autrice sarà punita secondo le norme di legge. Illustrazioni di Octonimoes, Deviantart.